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BIASSA, Giovanni

di Gaspare De Caro - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)
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BIASSA, Giovanni

Gaspare De Caro

Figlio di Baldassarre, nacque molto presumibilmente intorno all'anno 1480, poiché scrivendo nel 1510 alla Signoria veneta il provveditore Gerolamo Contarini lo dice trentenne. Secondo il Senarega, aveva titolo di marchese di Goano. La prima notizia che si abbia direttamente su di lui risale al luglio del 1507, allorché respinse un tentativo di sbarco nel golfo della Spezia compiuto dall'ammiraglio francese Pregent; quando suo padre, che aveva fiancheggiato nella sua lotta contro Alessandro VI il cardinale Giuliano Della Rovere, fu chiamato da questo, asceso al pontificato con il nome di Giulio II, al comando dell'armata navale pontificia, anche il B. passò al servizio del papa: non si hanno notizie precise, tuttavia, sulla sua partecipazione alle prime attività, del resto assai modeste, della squadra navale comandata dal padre. Pare probabile che egli prendesse parte, durante la guerra della lega di Cambrai, a qualche scontro navale con i Veneziani, poiché più tardi, nel 1510, si vantava scherzosamente con il provveditore veneto Contarini, come questo stesso scriveva alla Signoria, di "haver dannificato nostri navigli per el passato" (Sanuto, col. 807).

Maggiori notizie si hanno sull'attività del B. dopo che, denunciata da Giulio II la lega di Cambrai e realizzata l'alleanza dei pontifici con Venezia, la squadra navale romana prese ad agire di conserva con la flotta veneta nei ripetuti tentativi per strappare Genova ai Francesi.

Il B., al comando di una galera, si unì a Messina alla squadra veneziana del Contarini e poi, raggiunte a Ostia le navi pontificie al comando del padre, partecipò alle operazioni di sbarco sulla riviera ligure di Levante, a Chiavari, a Rapallo e a Sestri, e quindi al blocco di Genova, che secondo i piani del pontefice e della Repubblica veneta avrebbero dovuto portare alla resa dei Francesi e degli Adorno, attaccati per via di terra da un esercito pontificio al comando di Marcantonio Colonna e da diecimila Svizzeri assoldati dal papa. Il tentativo di blocco fallì perché le navi veneto-pontificie furono respinte dalla squadra francese e costrette a riparare dapprima all'isola d'Elba e poi a Civitavecchia. A questo tentativo un altro ne seguì nel luglio dello stesso anno, al quale pure partecipò il B., senza miglior successo, peraltro; infine, ancora nel novembre del 1510, egli prese parte a un terzo tentativo contro Genova, al comando di una galera pontificia che avrebbe dovuto sbarcare nel golfo di Genova i fuorusciti liguri capeggiati da Ottaviano e Antonio Fregoso e da Girolamo e Niccolò Doria: con lui era ancora il Contarini, con undici galere veneziane, ma il provveditore veneto non volle impegnarsi a fondo nell'azione, nonostante le sollecitazioni del B. e degli altri fuorusciti, e anche questo tentativo non ebbe pratico risultato.

Nel 1511 il B - sottoscrisse con la Camera apostolica un contratto in data 15 settembre, con il quale si impegnava alla guardia della costa tirrenica da Terracina al promontorio dell'Argentario, sia contro le incursioni dei corsari barbareschi, sia contro ogni tentativo di contrabbando, sia infine per operazioni di polizia contro delinquenti comuni che tentassero per quella via di sfuggire alla giustizia pontificia.

Il contratto del B., assai interessante per la storia delle consuetudini marinare del tempo, stabiliva che il capitano spezzino, con due galere e due brigantini di sua proprietà, o affittatigli dalla Camera apostolica, doveva assolvere a tale condotta per due anni, con diritto alla metà delle merci di contrabbando sequestrate, con poteri amplissimi per la lotta contro i pirati, i contrabbandieri e i loro fiancheggiatori, e con diritto di trattenere "in predam omnes et sigulos piratas, turbatores et alios mare ipsum infenstantes cum eorum navigli rebus et bonis ubicumque illos reperire invadere capere et habere possit" (Guglielmotti, p. 95); per conto suo, il B. si impegnava all'osservanza di varie norme, anche queste molto interessanti poiché sottintendono gli abusi che si compivano dai capitani di mare al servizio pontificio: tra queste il divieto di uscire dalle acque assegnategli, di commerciare in proprio con il naviglio destinato alle operazioni previste dal contratto e di mettere lo stesso naviglio a disposizione del pontefice in caso di necessità belliche. La Camera apostolica richiese al B. una malleveria di millecinquecento ducati d'oro, ed egli ottenne questa somma da due banchieri genovesi, Bartolomeo Doria e Sebastiano Sauli, e dal senese Agostino Chigi, in ragione di cinquecento ducati d'oro ciascuno, il che dimostra come la finanza del tempo fosse largamente interessata alle operazioni navali contro i pirati.

Questa condotta, tuttavia, benché fosse prevista contrattualmente per due anni, non durò che pochi mesi: secondo il Guglielmotti, infatti, il B. fu licenziato da Giulio II subito dopo la battaglia di Ravenna. Si ignorano i motivi di questo provvedimento: forse il B. aveva mancato a qualcuna delle clausole contrattuali; più probabilmente però egli era stato destinato dal pontefice ad operazioni di guerra. Secondo una notizia del Senarega, infatti, egli si trovava nel luglio del 1512 al comando di due navi pontificie nella flotta genovese comandata da Zaccaria Fregoso, al soldo tuttavia della Repubblica di Genova e non dello Stato ecclesiastico. Da allora per due anni, egli rimase al servizio della Repubblica, sempre al comando di due galere: tale servizio è certificato con sicurezza dal 3 febbraio al 3 luglio 1514. Non vi si coprì di gloria, peraltro, poiché quando, sempre nel 1514, le navi barbaresche compirono un'incursione nel golfo di Genova il B. si guardò bene dall'uscire contro di loro in mare aperto, preferendo il sicuro rifugio del golfo della Spezia.

Nello stesso anno il B. scortò con le sue galere l'inviato a Roma del re Luigi XII, signore di Rochefort, che faceva ritorno in Francia; fermandosi poi a Genova durante il viaggio di ritorno, fu incaricato dall'oratore pontificio presso la Repubblica, Giovanni Vespucci, di recarsi a Civitavecchia, dove avrebbe dovuto aggregarsi alla flotta pontificia al comando di Paolo Vettori.

Non si hanno ulteriori notizie sul Biassa.

Fonti e Bibl.: B. Senaregae De rebus Genuensibus commentaria ab anno 1488 usque ad annum 1514, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, pp. 115, 131, 132, 137, 151, 159, 174; M. Sanuto,Diarii, X, Venezia 1883, coll. 805, 807; XI, ibid. 1884, col. 428; A. Guglielmotti,Storia della marina pontificia, III, Roma 1886, pp. 56, 91 ss.; E. Rodocanachi,Le pontificat de Léon X, Paris 1931, p. 140; U. Formentini-T. Valenti,La Spezia e la sua provincia, La Spezia 1924, p. 77.

Vedi anche
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biasse bïasse agg. [comp. di bi- e asse3]. – In botanica, di pianta nella quale gli assi secondarî terminano con un fiore; sinon. di diplocaule.
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