CARBONE (Carboni), Giovanni Bernardo
Figlio di Pantaleone, nobile e notaio, "cittadino assai facoltoso" (Soprani-Ratti, II, p. 18), e di una Nicoletta, nacque in San Martino di Albaro (Genova) nel maggio del 1616; "pervenuto... all'età capace di far elezione d'impiego, si dichiarò per la pittura. Onde fu raccomandato a Giov. Andrea de' Ferrari..." (ibid., p. 19).
Questo periodo di alunnato, indicato dalla antica fonte, è facilmente riscontrabile nelle prime opere note: in particolare nella pala della Visitazione della parrocchiale di Lerici, firmata e datata 1647 (cfr. il catal. La Madonna nell'arte in Liguria, Bergamo 1952, p. 33), dove i modi del De Ferrari sono presenti nell'accentuata caratterizzazione dei personaggi, oltre che in alcuni brani veristici (il cane, il canestro, ecc.), vere e proprie "citazioni" dell'opera del maestro.
Sempre secondo il Soprani-Ratti (che resta la fonte antica più organica circa l'attività e la vita del pittore e al quale ci si riferisce se non altrimenti indicato), il C. avrebbe atteso, nel periodo giovanile, ad "argomenti storici o favoleggianti", dedicandosi solo in un secondo tempo alla sua più caratteristica e nota attività di ritrattista: "oltremodo piacendogli la singolar maniera del Vandik, diedesi ad imitarla; e se appieno non la raggiunse, almen vicinissimo andolle" (p. 19).
Andate disperse le uniche opere giovanili ricordate dal Soprani-Ratti (il S. Rocco e il S. Giovanni Battista della parrocchiale di San Martino di Albaro), l'unico riferimento sicuro è rappresentato dalla citata pala di Lerici del 1647 (che peraltro è da ritenersi opera di un artista che aveva già raggiunto un livello di sufficiente maturità).
Prima del 1659 (anno della morte di Valerio Castello, di cui il C. completò l'affresco con la Presentazione in S. Maria dello Zerbino a Genova), l'artista avrebbe compiuto un viaggio a Venezia, e infatti tracce di un certo venetismo, caratterizzato soprattutto dall'uso di toni cromatici accesi (per es. nel Ritratto di dama, Genova, pinacoteca di Palazzo Bianco), si riscontrano nelle opere del settimo decennio del secolo. Se è da interpretare come datazione la scritta che compare nel Ritratto di Alessandro Botta Adorno (già Ovada, coll. E. Belimbau), "...vivebat anno 1650..." (resta comunque certo che si tratta di un'opera anteriore al gruppo di ritratti della piena maturità: cfr. Fogolari, 1927), il 1650 può costituire il termine post quem per il viaggio a Venezia, questo dovrebbe essere avvenuto negli anni precedenti il suo matrimonio con la quindicenne Anna Maria Serravalle, celebrato il 10 dic. 1657 (data a cui segue la nascita, un anno dopo, del primo figlio; cfr. Alfonso, 2, pp. 43 s.).
Tale periodo, in cui appunto non si hanno notizie certe sull'attività del C., dovrebbe comprendere anche l'esilio al quale egli fu sottoposto, in una data imprecisata e per motivi sconosciuti, ma che peraltro è rimasto documentato in un atto del 30 aprile del 1661 (cfr. Alfonso, 33 p. 39).
Agli anni anteriori al viaggio a Venezia dovrebbero attribuirsi le due Sacre Famiglie (rispettivamente: Genova, coll. privata, e Arenzano, chiesa di N.s., delle Grazie; cfr. Castelnovi, dove peraltro sono ritenute alquanto posteriori); ad esse è avvicinabile la Sacra famiglia con s. Caterina e angeli (Torino, coll. Revelli di Beaumont; l'attribuzione è di Grosso, ma Castelnovi la mette in dubbio). Il S. Michele Arcangelo della chiesa di S. Margherita di Marassi a Genova, per certe affinità che presenta con la pala di S. Teodoro (Genova) del 1663, sembra debba essere collocato piuttosto verso gli anni di poco anteriori al 1660, anche se in esso permangono ancora stretti legami con l'esperienza di Giovanni Andrea De Ferrari. Nella stessa chiesa era presente un'altra tela, presumibilmente contemporanea: S. Carlo e s. Anna in contemplazione della Vergine, andata dispersa, sembra, dopo il 1880 (cfr. Grosso, che però, non conoscendo, a quanto pare, la datazione della pala di Lerici, colloca i due dipinti di S. Margherita di Marassi ai primissimi anni dell'attività del Carbone).
Sempre al periodo anteriore al 1660 vanno attribuiti probabilmente alcuni ritratti, in cui i modi vandyckiani sono assunti ancora in termini di semplice imitazione, secondo impostazioni formali non molto sciolte e abbastanza lontane dalle motivazioni compositive che determinano l'organizzazione delle opere del pittore fiammingo (si veda il Ritratto di dama con la figlia, Genova, coll., privata; cfr. Sborgi, ill. 201). Dello stesso periodo dovrebbero essere il Ritratto di dama (Torino, (Torino, Galleria Sabauda) e quelli di alcuni Personaggi della famiglia Raggio (Roma, Galleria naz. di arte antica; questi ritratti dovrebbero essere quelli celebrati dal Bendinelli: cfr. Zani, pp. 364 s.), in cui i modi vandyckiani vengono riproposti in termini di riferimento molto diretti. Per altre attribuzioni, cfr. Grosso, Castelnovi. Si può ricordare ancora il Ritratto del doge Luca Giustiniani (citato dal Ratti, 1780, oggi disperso; Luca Giustiniani venne eletto doge nel 1644 e morì nel 1651); il Ritratto del marchese Luca Spinola (già Genova, coll. Paolo Aleramo Spinola; esposto alla Mostra del ritratto italiano a Firenze nel 1911).
Il periodo fra il 1660 ed il 1670 circa è quello relativamente più ricco di indicazioni biografiche e di opere datate. Nel 1660 gli nacque la figlia Maria Antonia; nel 1661 egli risulta a Genova, in base all'atto citato; nel 1662 era padre per la terza volta (Giulio Cesare Pantaleo). Nel 1663 firmava e datava (Alizeri, 1846, II, pp. 1251 s.; ma cfr. Bosio) la citata pala con S. Teodoro e altri santi in contemplazione della Vergine, eseguita per la chiesa di S. Teodoro a Genova (oggi nella omonima chiesa ottocentesca); rispetto ai dipinti giovanili, quest'opera presenta un maggiore arricchimento della gamma cromatica che sembra una conseguenza logica, anche se non particolarmente vistosa, dell'esperienza veneziana. Intorno a questa data, e comunque dopo il 1662, il C. eseguì la pala con S. Luigi in preghiera di fronte alla Croce, per la cappella dei Francesi della chiesa dell'Annunziata del Guastato di Genova, ove tuttora si trova (la cappella fu progettata nel 1662 dal Puget e di lì a poco costruita; il dipinto, dopo varie controversie, fu infine collocato nell'attuale sede: cfr. Soprani-Ratti, II, p. 20).
Nel 1664 il C. è padre per la quarta volta (Maria Giovanna). Nel 1665 data un'altra pala d'altare, quella per la parrocchiale di Celle Ligure (tuttora conservatavi), raffigurante La Vergine che consegna il cilicio a s. Antonio, e, nella parte inferiore, il Martirio di s. Stefano. Quest'opera del C. (cfr. Grosso) sarebbe vicina al Ritratto di magistrato genovese (Genova, Civica galleria di Palazzo Rosso) e al Ritratto di E. Brignole Sale (Genova, Albergo dei poveri; il Brignole Sale, fondatore del ricovero di mendicità, vi viene raffigurato nell'atto di indicare l'edificio, terminato nella sua parte principale intorno al 1661; il dipinto è comunque più tardo, anche se forse è troppo avanzata la datazione 1671-1680 fornita dal Grosso; fu esposto a Genova nel 1938). Nel 1666, 1668 e 1670 la presenza del C. a Genova è documentata dalla nascita di tre figli (cfr. Alfonso, 2, p. 44).
Al periodo 1660-70 e agli anni di poco successivi appartengono verosimilmente le opere più interessanti dell'attività ritrattistica del C.: attività questa che procede su schemi "aulici", per così dire, secondo processi più descrittivi, meno sensibili all'aristocratica rarefazione dell'ambiente che costituisce il denominatore della ritrattistica genovese del Van Dyck.
Pur nella difficoltà di stabilire una cronologia di questi ritratti, essendosi per lo più persa ogni indicazione circa i personaggi raffigurati, la possibile sequenza potrebbe essere la seguente: Ritratto di prelato (Genova, Galleria nazionale di palazzo reale), dipinto sicuramente nella maturità, dove il C. raggiunge uno dei più alti risultati di penetrazione psicologica del personaggio; il Ritratto di giovane gentiluomo (Indianapolis, Herron Museum of Art; cfr. Suida Manning), che, nella ripresa dei modi del ritratto genovese tipico della prima metà del XVII secolo, è in parte riferibile al Ritratto di Costantino Gentile del Fiasella; il Ritratto di nobildonna (già conservato a Genova, coll. Gambaro-Ravano; esposto alla mostra del 1947); il Ritratto di dama (Faenza, Civica Pinacoteca: cfr. A. Archi, Pinac. di Faenza, Faenza 1964, scheda 16), molto vicino ai modi vandyckiani; il Ritratto di gentildonna genovese (Genova, Civica Pinacoteca di Palazzo Bianco), e ancora il Ritratto di dama (o Dama con le ciliegie; Genova, coll. privata; esposto alla mostra del 1969). Infine vanno ricordati per questo periodo il Ritratto del cardinale Giulio Spinola (già Genova, coll. marchesi Spinola; Giulio Spinola fu fatto cardinale nel 1667: tale data costituisce pertanto il termine post quem del dipinto, che deve forse identificarsi con uno dei due ritratti citati dal Ratti, 1780, p. 132; fu esposto alla mostra del 1947); e il Ritratto del cardinale Ippolito (?) Durazzo (già Genova, palazzo Tursi; un Marcello Durazzo cardinale nel 1672 era arcivescovo di Calcedonia, e con lui probabilmente si deve identificare).
Per quanto riguarda l'ultima fase dell'opera del C., si hanno numerose indicazioni biografiche, ma nessuna che serva a una datazione di dipinti. Negli anni 1672-1682 tra nuove paternità e altri atti è documentata la presenza del C. a Genova (cfr. Alfonso). Morì a Genova l'11 marzo 1683 e fu sepolto il 13 dello stesso mese nella chiesa di Nostra Signora del Monte.
A questi ultimi anni va riferito un gruppo di ritratti in cui la struttura compositiva va ulteriormente indebolendosi, mentre si sviluppa un nuovo modo di rappresentare i personaggi concentrando la ricerca psicologica pressoché esclusivamente sul viso e le mani, che contrastano nettamente, per precisione descrittiva, con il resto del dipinto. Si tratta di opere come il Ritratto di magistrato (o di senatore; Genova, coll. privata; proveniente da casa Della Torre: cfr. Rubinacci), il più vicino alle opere del decennio precedente; il Ritratto di un cardinale (già Genova, coll. marchese Marcello Gropallo, esposto alla mostra del 1947); il Ritratto di vecchio gentiluomo (già Venezia, coll. A. Connio); il Ritratto di gentiluomocon il crocefisso (Genova, coll. privata, pubblicato in Marcenaro, ill. X; secondo la stessa Marcenaro il dipinto presenta qualche affinità con la pala del Van Dyck nella parrocchiale di S. Michele di Pagana, Rapallo); e infine i due ritratti del Magnifico Girolamo Serra (l'uno già a Genova, coll. marchese O. Serra, esposto alla mostra del 1938; l'altro a Genova, coll. privata: v. Dellepiane, p. 133).
Troppo lungo l'elenco delle opere variamente attribuite al C., per cui vedi la bibliografia; ricordiamo, tra le opere citate dal Ratti (1780) di cui si è persa traccia: Ritratto di dama e Ritratto di AgostinoDurazzo (già Genova, palazzo di Marcello Durazzo); Ritratto di putto (già Genova, palazzo di Giacomo Gentile). Inoltre, nel testamento del C., che era stato redatto il 9 marzo 1683, si dà notizia di un lascito al genero Bartolomeo Montano, consistente in "quattro quadri di storie con cornici e filetto d'oro, due del figliol prodigo, altro con Abramo e i tre angeli e l'altro 'quando Labano corse presso Giacobbe per averle furato gli idoli'" (Alfonso, 3, p. 41).
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