BERGOMOZZI, Giovanni
Membro di una cospicua famiglia di Conselice, nel contado di Rovigo, trasferitasi a Modena agli inizi del sec. XVI, è detto "maior annis viginti" in un atto notarile del 1522.
Datosi all'esercizio della mercatura e del cambio, accumulò in breve tempo una notevole fortuna - La lettura del Sommario della Sacra Scrittura e dei Trattato utilissimo del beneficio di Gesù Cristo crocifisso verso i cristiani del benedettino Benedetto da Mantova svegliarono in lui profondi sentimenti religiosi. Nel 1542 non figura tra i firmatari del famoso "formulario di fede" imposto ai Modenesi, nell'agosto di quell'anno, dal cardinale Giovanni Morone al suo ritorno dalla Germania; ma dalle carte dell'Inquisizione modenese tracce consistenti dei suoi orientamenti religiosi in senso eterodosso si incontrano già in alcuni documenti che si riferiscono al 1543. Risale infatti a quest'anno la data del suo incontro, e l'inizio di una stretta consuetudine durata due anni, con l'eretico veneziano Bartolomeo Fonzio, dal cui insegnamento il B. trasse incitamento a tradurre in attività di proselitismo la sua passione religiosa. I frequenti viaggi a Venezia, donde portava a Modena libri eterodossi (le Prediche di Bernardino Ochino, la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri, la famosa lettera di Francesco Betti al marchese di Pescara, gli scritti di Antonio Brucioli, ecc.), nonché le sue larghe possibilità economiche, fecero del B. uno degli esponenti più ascoltati di una vasta "Comunità di fratelli" (detta anche "Congregazione di fratelli ") che, dal 1543 al 1567, svolse a Modena opera consistente di diffusione di dottrine eterodosse e intensa attività caritativa.
Oltre al B., membri ascoltati della "Comunità" erano anche Giulio Sadoleto, Giacomo Graziani, Pietro Giovanni Biancolini, Giovanni Rangoni; ma il B. esercitava un vero e proprio fascino sui "fratelli ", che lo consideravano - secondo l'ingenua espressione di uno di essi - "uno Santo Paulo" per la dedizione nel diffondere le nuove dottrine, per l'abnegazione nel profondere del suo in opere di carità e di soccorso, per l'efficacia suadente della parola e delle argomentazioni. Un centinaio di processi degli anni 1568-1570 documentano la notevole consistenza numerica degli aderenti a questa "Comunità" animata dal B., l'attività di essa, la complessa mescolanza di dottrine che vi si professavano. Gli aderenti erano numerosissimi, così tra la nobiltà come negli ambienti popolari: tessitori, rivenduglioli, mercanti, insieme con nobildonne come Bartolomea della Porta, Ippolita Beltrami e Dalida Carandini, alle quali il B. commentava le lettere di s. Paolo e il Beneficio di Cristo nella villa "Verdeda" dei Castelvetro; mentre un folto gruppo di mercanti si riuniva sistematicamente, sempre intorno a lui, in casa del ricco mercante Giacomo Cavazza.
Incerte, e comunque assai varie, erano le tendenze dottrinali della "Comunità ". Dai processi risulta, in generale, evidente il tentativo della maggior parte degli inquisiti d'allontanare l'esplicito sospetto di anabattismo da parte degli inquisitori (" Quanto alli Sacramenti della Chiesa nui tenevamo et credevamo solo il Sacramento dei Battesmo senza differenza alcuna di quello che tiene la Santa Romana Chiesa "). In realtà, da processi in cui le risposte alle domande dell'inquisitore appaiono meno velate, risulta che tendenze radicali erano ampiamente diffuse tra i "fratelli ". Così, per esempio, il tessitore Martino Savera testimonia che nella "Comunità" si discuteva "specialmente circa il Battesimo, dicendo non so che di primo Battesimo et di secondo Battesimo "; il maestro di scuola Giovanni Maria Tagliati confessa d'aver professato dottrine anabattistiche e d'aver letto "uno libro del Servetta qual trattava di Christo ", e così via.
Nell'agosto del 1566, intensificandosi, in seguito all'elezione di Pio V, l'opera di repressione dell'Inquisizione, la "Comunità" fu subito dispersa. Nel 1568, dopo che l'inquisitore di Ferrara fra' Paolo Costabili ebbe accertata la fuga del B. nei Grigioni, ne decretò il bruciamento in statua e la confisca dei beni. Intanto nei Grígioni, prima a Chiavenna e poi a Piur, il B. aveva propalato le sue idee e, tra la fine del 1567 e gli inizi del 1568, era stato escluso dalla Cena. Una relazione del sinodo di Coira del giugno 1572, scritta da Scipione Lentulo, informa minutamente sulle idee e sull'attività del B. negli ultimi anni dell'esilio. Convocato, nel maggio del 1568, dal Collegio dei pastori, sostiene che i rigenerati, se veramente tali, non possono peccare (" regeneratos… neque peccare neque peccare posse, hoc est non esse habendos pro regeneratis nisi prorsus impeccabiles "), e accusa i pastori di seguire gli stessi metodi dell'Inquisizione spagnola e dei papisti. Invitato a esporre per iscritto le sue idee sulla base di un formulario in venti punti, si rifiuta di rispondere, e, ai ripetuti inviti di recedere dalle sue idee, risponde che di esse rende conto a Dio e non ai pastori. Nel dicembre del 1568 viene pronunciata la sua scomunica, resa pubblica nel febbraio del 1569. Riammesso nella comunità per intercessione di Alessandro Trissino, rimase fermo nelle sue idee fino alla morte, avvenuta nel 1571.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Inquisizione,busta 4: Processi 1566-1568;busta 5: Processi 1568-1574;Berna, Bürgerbibliothek, A 93.7: Commentarii conventus synodalis convocati mense Iunio 1572 in oppido Chiavenna…,pp. 5r-11r; S. Lentulo, Responsio ortodoxa…,Genevae 1592, p. 44; C. Corvisieri, Compendio dei processi del Santo Offizio di Roma da Paolo III a Paolo IV, in Archivio della Soc. romana di storia patria,III(1879), p. 277; C. Cantù, Glieretici d'Italia. Discorsi storici, Torino 1867, p. 201; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze 1939, pp. 310-311, 315.