ZENO, Giovanni Battista
– Nacque a Venezia tra il 1439 e il 1440, dal patrizio veneziano Niccolò di Tomà del ramo di S. Fantin (talvolta dei Ss. Apostoli) e da Elisabetta Barbo, sorella di Pietro (dal 1464 papa Paolo II).
Zeno apparteneva dunque per parte di madre a quella consorteria Correr - Condulmer - Barbo che nel Quattrocento diede tre papi: Elisabetta era infatti nipote di Eugenio IV (1431-47) e pronipote di Gregorio XII (1406-15). Ebbe un fratello, Alvise, che morì prima che lo zio assurgesse al pontificato.
Crebbe a Roma presso lo zio cardinale, ma non conseguì alcun titolo di studio, tanto da rischiare di non esser ammesso al conclave del 1471. La scalata della gerarchia ecclesiastica ebbe inizio il 25 giugno 1467, quando fu nominato protonotario apostolico (Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Reg. Vat., 545, c. 12v). Appena diciassette mesi dopo, il 21 novembre 1468, fu creato cardinale insieme al cugino Giovanni Michiel, ottenendo la diaconia di S. Maria in Portico Octaviae (Arm. XXXI, 52, c. 39r). Nei primi anni di cardinalato rimase al di fuori degli incarichi più prestigiosi, probabilmente a causa della giovane età e per l’inesperienza nel governo, ma fu comunque premiato con numerosi e cospicui benefici ecclesiastici.
Già nel 1466 era stato nominato preposto della chiesa di S. Maria di Łęczyca nella arcidiocesi di Gniezno, in Polonia. Nel solo 1467 ricevette un canonicato a Padova, il decanato a Corone, la prepositura di S. Stefano nel patriarcato di Aquileia, la sagrestania della cattedrale di Saragozza per rinuncia del cardinale Luis Joan Milà, le commende del monastero benedettino di Carrara S. Stefano (oggi Due Carrare) nella diocesi di Padova e di S. Gallo a Moggio Udinese, il priorato di S. Perpetua nella diocesi di Faenza. Al 1469 risale l’assegnazione di un canonicato nella cattedrale di Toledo, cui rinunciò nel 1471 riservandosi una pensione annua. Nel 1470 scambiò la commenda del monastero di Assis nella diocesi di Soissons con quella del cenobio di S. Ambrogio nella diocesi di Langres.
Il primo incarico di peso gli fu attribuito nel maggio 1469, quando lasciò Roma per Perugia in qualità di legato pontificio, facendo ritorno nell’Urbe nel dicembre seguente. Nell’agosto 1470 fu nominato arciprete della basilica vaticana e optò per il titolo di S. Anastasia. Essendo obbligato alla residenza a Roma, per adempiere alle mansioni che competevano a quest’ultimo ufficio, acquisì e fece riedificare un palazzo nei pressi di S. Pietro, ove ospitò una ricca biblioteca e una collezione numismatica. Promosse altre opere di mecenatismo in Veneto e a Roma, tra cui la costruzione di una cappella nel palazzo vaticano, la tomba della madre in S. Maria delle Febbri (1480) e alcuni lavori presso la cosiddetta Casina del cardinale Bessarione sulla via Appia (post 1479).
Il 18 marzo 1471 Paolo II lo elesse vescovo di Vicenza (Reg. Vat., 538, cc. 119r-121r), pur non avendo il benestare della Repubblica di Venezia. L’improvvisa morte del pontefice, avvenuta il 26 luglio 1471, precedette uno scandalo che vide protagonista Zeno nell’autunno di quell’anno: il Consiglio dei dieci scoprì una rete spionistica, volta a far giungere a Roma i segreti di Stato veneziani, capeggiata dal porporato e dalla madre Elisabetta, e della quale fecero parte anche Giovanni Michiel ed esponenti delle famiglie Zeno, Barbo, Trevisan e Contarini (tutti in qualche modo imparentati tra loro). Le condanne per divulgazione di segreti di Stato, emesse nel 1472, furono assai dure per il cardinale e la madre: Elisabetta fu confinata a vita a Capodistria, mentre a Zeno furono sequestrati in perpetuo i redditi provenienti dai benefici siti nei territori della Repubblica, tra cui il vescovado di Vicenza, nonostante le proteste di Sisto IV (1471-84).
Zeno restò quindi a Roma, finché nel 1476 fu graziato dalla Serenissima e poté recuperare i benefici sospesi, a cui se ne aggiunsero molti altri in terra veneta negli anni seguenti. Papa Della Rovere lo utilizzò quindi nel 1477 come legato a Siena, Firenze, Ferrara e Venezia per discutere con i rispettivi governanti per promuovere la crociata.
Nel 1478 prese finalmente possesso della diocesi di Vicenza, che comunque governò tramite un vicario. L’8 ottobre 1479 fu promosso all’ordine episcopale e gli fu assegnata la sede suburbicaria di Tuscolo (Frascati). Fu eletto camerlengo del Sacro Collegio nel gennaio 1480 e tenne tale ufficio per un anno esatto. Nello stesso periodo fu anche legato del pontefice a Perugia.
Dall’elezione di Innocenzo VIII (1484), Zeno, non condividendo la politica del pontefice e del suo ‘grande elettore’ Giuliano Della Rovere, si defilò al punto di non presenziare alle messe papali e ai Concistori. Entrato poi in conflitto con Alessandro VI (eletto nel 1492), che, in cambio della ricca commenda di S. Maria delle Carceri a Este, gli tolse il palazzo presso S. Pietro per farvi risiedere Lucrezia Borgia, nel 1493 lasciò definitivamente Roma e si stanziò in Veneto, tra Padova, ove ottenne nuovamente un canonicato, e Vicenza, nonostante il pontefice minacciasse la riduzione dei benefici se non fosse tornato nell’Urbe.
Ammalato e pressoché inabile nel movimento, morì a Padova l’8 maggio 1501 e fu sepolto nella chiesa ducale di S. Marco a Venezia, dove il Senato fece erigere una cappella a lui dedicata.
L’ipotesi di avvelenamento, sostenuta da alcuni storici ottocenteschi per supportare la leggenda nera su Alessandro VI, non è suffragata da prove. Zeno era debilitato dalla malattia, e già settimane prima della sua morte il Senato veneto si interessò della cospicua eredità del porporato: infatti Sisto IV e Innocenzo VIII consentirono a Zeno di poter testare, in modo che egli non fosse obbligato a devolvere tutti i suoi beni alla Camera apostolica. All’apertura del testamento si appurò che il patrimonio del cardinale ammontava all’enorme cifra di 130.000 ducati, dei quali 80.000 vennero destinati al funerale e alla sepoltura, a opere pie, ai parenti e ai familiares, e i restanti alla Repubblica e al papa a condizione che fossero utilizzati per la crociata. Sebbene Alessandro VI cercasse di impossessarsi di tutto il lascito, inviando un’apposita legazione in laguna, la Serenissima riuscì a fermare i beni che le spettavano, trattenendo parte delle somme destinate in opere pie e investendoli nell’armamento di una ventina di galee per la crociata.
Insolito esempio di principe della Chiesa quattrocentesco, Zeno deve la sua fortuna al nepotismo dello zio papa, che gli fornì le basi per costruire un patrimonio non indifferente; tuttavia alla grandezza dei suoi beni non corrispose una carriera folgorante, arenatasi senza grandi slanci alla morte del suo patrono.
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