VOLPATO, Giovanni Battista
– Figlio di Bernardino, sarto nonché mercante di seta e filatore, e di Dorotea Solato, nacque a Bassano del Grappa il 7 marzo 1633 e fu battezzato due giorni dopo (Bordignon Favero, 1994, pp. 13, 355). Abbandonato l’abito religioso impostogli dal padre, che nel figlio aveva riconosciuto una propensione intellettuale, decise di dedicarsi alla pittura, per cui nutriva un’innata preferenza, scontrandosi però con i progetti del capofamiglia. Questi e altri spunti biografici affiorano nell’opera La Verità pittoresca, un trattato d’arte da lui stesso compilato verso il 1680, che, nonostante gli auspici dell’autore, rimase inedito ed è tutt’oggi tramandato da alcune redazioni manoscritte (ibid., p. 33).
Il testo si sviluppa sotto forma di dialogo tra due personaggi fittizi: Ottavio, il maestro in cui l’autore s’identifica, e il giovane allievo Florindo. Ottavio rievoca così gli ostacoli a intraprendere la professione pittorica, senza aiuti né maestri, attingendo a un topos assai frequente nella letteratura artistica. Si tratta di un’opera con una finalità didattica che snocciola una serie di nozioni tecniche: le ‘verità pittoresche’ che si propone di rivelare al lettore. Elencando i suoi modelli, l’autore non nasconde una grande ammirazione per Jacopo Bassano, l’illustre concittadino, della cui carriera distingue e definisce, per la prima volta, quattro diverse ‘maniere’.
Pur dichiarandosi autodidatta, Volpato, secondo la versione di Nadal Melchiori, avrebbe frequentato in gioventù la bottega di Giambattista Novello da Castelfranco, pittore seguace di Palma il Giovane, «dal quale apprese col dissegno le buone regole del dipingere», e solo dopo la sua morte «cercò di essere discepolo di sé stesso» (Melchiori, 1720, 1964, p. 106). Oltre ai pochi e brevi viaggi, nei quali poté osservare da vicino le pitture dei grandi maestri, si dedicò in particolare allo studio delle stampe dei Sadeler, di cui poteva vantare un’ampia raccolta (Verci, 1775, p. 246).
In un documento risalente al 1665, Volpato è indicato come «capo de’ pittori» bassanesi, segno di un’affermazione almeno nel panorama locale (Bordignon Favero, 1994, p. 17). Dalle parole del ben informato Giovan Battista Verci, che trovano riscontro nei documenti, risulta che nel 1663 Volpato si sposò con una tale Anna Veronese di Bassano, dalla cui unione nacquero Giovan Bernardo nel 1666, Dorotea nel 1668, Ottavia nel 1678 e Giulia Teodora nel 1680 (Verci, 1775, p. 255).
Nel 1670 operò al servizio di Cornelio Beltramini di Asolo, licenziando per un suo oratorio una Madonna con il Bambino in trono con i ss. Antonio di Padova e Andrea. In questa pala il pittore persegue un grafismo ricercato e un colorismo timbrico che, insieme alla struttura compositiva, sono mutuati da Jacopo Bassano (Bordignon Favero, 1994, p. 217). Nel duomo di Asolo, ma proveniente da villa Rinaldi, si trova una Madonna con il Bambino in trono con i ss. Giovanni Battista e Girolamo in cui, malgrado le condizioni precarie della tela dovute a un incendio occorso in epoca napoleonica, si riconoscono ancora evidenti le citazioni dapontiane (ibid., p. 218).
Intorno al 1671 Volpato si stabilì a Feltre, stringendo solidi rapporti con il vescovo Bartolomeo Gera e il podestà Antonio Boldù. La sua pittura dovette suscitare un discreto favore in ambito feltrino, se nel 1671 gli fu allogato un telero celebrativo che presenta Il podestà Antonio Boldù e i sindaci della città di Feltre, destinato in origine alla chiesa di S. Maria del Prato, ma esposto oggi nella sala consiliare del Comune di Feltre. L’opera si aggancia alla tipologia del ritratto ufficiale di magistrati, che nella Terraferma veneta aveva alle spalle una lunga e fortunata tradizione.
Nel 1672 Volpato firmò la decorazione della cappella del Santissimo nel duomo di Feltre su invito del vescovo Gera, che qui aveva fissato il sepolcro del proprio casato (Magani, 2008). Le pareti della cappella sono tuttora rivestite da diversi suoi teleri: a destra l’Adorazione dei pastori è sormontata da una lunetta con l’Adorazione dei Magi, a sinistra la Vergine annunciata e l’Angelo annunciante sono coronati dalla lunetta di Dio padre con lo Spirito Santo, mentre nell’arco trionfale si ammira l’Ultima cena. Qui l’artista dimostra un’ampia formazione artistica, ispirandosi a una serie di illustri maestri della pittura veneta del Cinquecento, le cui opere erano state ammirate di persona o tramite stampe di traduzione (Bordignon Favero, 1994, pp. 197-205).
Un’altra impresa, la cui esecuzione si ancora durante il proficuo soggiorno feltrino, è quella relativa al ciclo di tele della chiesa di S. Daniele Profeta a Lamon (Belluno). Per l’altare maggiore Volpato progettò un trittico recante al centro la Madonna del Rosario con i ss. Domenico e Caterina da Siena e ai lati S. Daniele profeta e S. Carlo Borromeo, cui si aggiungono le tele con l’Adorazione dei Magi, l’Ultima Cena e l’Incoronazione di Maria. Dopo alterne vicende, in tempi recenti gli otto quadri sono stati recuperati e ricollocati nel sito per il quale erano stati concepiti (Claut, 2014).
Il 15 giugno 1680 fu saldato a Volpato il compenso del «quadro alla sedia del corro» per il duomo di Vicenza, cioè uno dei dodici dipinti che sovrastano il seggio vescovile nel cosiddetto paramento Civran, dal nome del presule vicentino che ne fu il promotore. Il quadro, con il Sogno di Giacobbe, se da un lato desume la figura del patriarca dal Cristo deposto di Tintoretto (noto da un’incisione di Egidius Sadeler), nell’impostazione luministica aderisce alla proposta dei tenebrosi, seppure con una sensibilità per il colore di stampo neocinquecentesco (Bordignon Favero, 1994, pp. 235 s.).
L’appassionata e tutt’altro che disinteressata adesione alla pittura di Bassano indusse Volpato non solo a trarne delle copie, com’era prassi del resto a quei tempi, ma a condurre iniziative a dir poco discutibili. Fu infatti lui a sottrarre, forse con la complicità del vescovo, due tele di Jacopo Dal Ponte dalle chiese bellunesi di Tomo e Rasai che, all’insaputa dei paesani, sostituì con copie di sua esecuzione, riconosciute come tali solo qualche anno dopo (ibid., pp. 131-139). Le tele, replicate da Volpato in una stanza concessa da Francesco Angeli, uno dei cittadini più illustri e influenti di Feltre, non fecero più ritorno nelle sedi originarie. Dopo alcuni passaggi di proprietà, esse giunsero all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, dove ancora si trovano.
Scoperto l’imbroglio nel 1685, il pittore fu processato e condannato in contumacia al bando da Feltre per dieci anni (Bordignon Favero, 1978-1979, e 1994, pp. 131-147). Durante il processo, emerse infatti che aveva «havuto quelle palle dai preti havendogli datto tanta pittura per esse palle». Malgrado ciò, egli continuò a lavorare nella villa di campagna dei nobili veneziani Cappello, presso Cassola (ibid., p. 240). A Bassano godeva invece della protezione del nobile Giust’Antonio Bellegno, di cui era stato ospite nella casa veneziana ai Santi Apostoli.
Al 1687 si datano la Pentecoste, lo Sposalizio della Vergine e l’Adorazione dei pastori nella chiesa di S. Maria del Giglio a Venezia, tele interpretate secondo il collaudato neobassanismo. Fra il 1688 e il 1689 Volpato decorò il soffitto di S. Maria in Colle a Bassano: il lavoro forse più prestigioso della sua carriera. Le tre tele della serie, l’Assunta con la Trinità tra angeli e santi e i pannelli ottagonali con il Martirio di s. Clemente e S. Bassiano vescovo, nelle impalcature illusionistiche dichiarano un debito sostanziale nei confronti di Paolo Veronese e di Jacopo Tintoretto (ibid., pp. 239-254). Analogamente, nel soffitto del salone di Ca’ Rezzonico a Bassano la tela circolare, che rappresenta la Caduta dei giganti, esibisce delle invenzioni formali e compositive esplicitamente derivate dai teleri di palazzo ducale a Venezia pp. 269-272).
Morì a Bassano del Grappa il 7 aprile 1706 e fu sepolto nella chiesa di S. Donato (pp. 18, 361).
Prima che pittore, fu critico e teorico d’arte, come accertano i suoi scritti che si conservano nella Biblioteca civica di Bassano, per gran parte inediti. Oltre a La Verità pittoresca si ricordano Il Vagante corriero, La Natura pittrice e Modo da tener nel dipinger. Se i prodotti letterari riscossero l’approvazione della critica, non altrettanto si può affermare per i suoi dipinti. Verci (1775), forse troppo severamente, sentenziò che le opere di Volpato «non apportano alcun diletto», essendo colorite con «cattiva e stentata maniera», malgrado fossero «bene intese e dottamente disegnate» (p. 256). D’altro canto l’abate Luigi Lanzi (1796) lo definì «simile alquanto ne’ capricci e nello stile al Carpioni, ma più ordinario nelle sembianze e in tutto il disegno» (p. 180).
Fonti e Bibl.: N. Melchiori, Notizie di pittori e altri scritti (1720), a cura di G. Bordignon Favero, Venezia-Roma 1964, p. 106; G.B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ pittori, scultori e intagliatori della città di Bassano, Venezia 1775, pp. 246, 255 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, Bassano 1796, p. 180; T. Roberti, Di G. V., de’ suoi dipinti e de’ suoi scritti, Bassano 1865; N. Ivanoff, Le ignote considerazioni di G.B. V. sulla “maniera”, in Retorica e Barocco. Atti del III Congresso internazionale di studi umanistici, Venezia... 1954, a cura di E. Castelli, Roma 1955, pp. 99-109; E. Bordignon Favero, Il processo per furto e falso contro G.B. V. pittore del ’600, in Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, XCI (1978-1979), parte III, pp. 129-193; S. Claut, L’attività feltrina di G. V., in Arte veneta, XXXVII (1983), pp. 187-193; E. Bordignon Favero, G.B. V. critico e pittore, Treviso 1994; M. Binotto, Vicenza, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, I, Milano 2000, pp. 303, 305; S. Claut, Belluno, ibid., pp. 240-242; Id., G.B. V., ibid., II, 2001, p. 888; F. Magani, G. V. decoratore della “Cappella Gera” in cattedrale, in Feltre e territorio, a cura di F. Magani - L. Majoli, Belluno 2008, pp. 203-210; S. Claut, “È pittura di G.B. V.”, in La chiesa di San Daniele Profeta a Lamon e i dipinti di G.B. V. Atti della giornata di studio, Lamon... 2013, a cura di S. Claut, Seren del Grappa 2014, pp. 27-37.