VILLA, Giovanni Battista
– Nacque a Genova il 29 aprile 1834 da Filippo, armaiolo, e da Angela Lotier.
Sebbene di famiglia modesta, si formò presso i padri Scolopi (Villa, [1929]); giovanissimo, lavorò presso gli scultori Giambattista Drago e Carlo Rubatto e poi presso Santo Varni; frequentò l’Accademia Ligustica tra il 1847 e il 1857, conseguendo, negli anni Cinquanta, premi e medaglie.
Nel 1858 alla mostra annuale della medesima Accademia, espose un nudo in gesso raffigurante David, effigiato nell’atto di scagliare la fionda; opera apprezzatissima, gli guadagnò la medaglia d’oro e ne fu commissionata la traduzione in marmo dal marchese Filippo Ala Ponzone, mecenate e collezionista lombardo allora nel capoluogo ligure, poi presentata alla Promotrice genovese del 1863 (Alizeri, 1858, e 1866, p. 397; Resasco, 1892, p. 185; Olcese Spingardi, 1995).
Alla Promotrice aveva esordito, sempre nel 1858, con un’opera religiosa, La Madonna della Concezione; vi ritornò solo due volte, nel 1863, come detto, e nel 1892, con il modello in gesso raffigurante Il barone Martinez, realizzato in marmo per il Pio Ricovero Martinez di S. Fruttuoso a Genova (a un altro benefattore genovese, Giovanni Stefano Spinola, aveva già dedicato una statua per l’Istituto Paverano: Alizeri, 1866, p. 400).
Fu artista soldato: partecipò infatti alla seconda guerra d’indipendenza, nel corpo del Genio; dopo un periodo a Casale, come luogotenente nel 1860-61 assistette all’assedio di Gaeta, tema al quale dedicò un album di Vedute pittoriche, per cui fu nominato cavaliere dell’Ordine della corona d’Italia (Villa, [1929], pp. 10 s.); ricevette poi anche il titolo di ufficiale. Tra le onorificenze e gli incarichi si ricordano pure le nomine ad accademico a Roma, Urbino, Venezia, Carrara e la partecipazione alla Società Patria, al Circolo artistico e alla Commissione conservatrice dei monumenti genovesi.
Al 1863 risale la prima opera nel cimitero genovese di Staglieno, il cippo per Giacomo Chiappa, che, apprezzatissimo, gli aprì una lunga e fortunata carriera di scultore funerario; seguirono un cippo dedicato a Pier Antonio Assereto, benefattore del Collegio nazionale, e numerosi monumenti e stele (Sborgi, 1997, pp. 422 s., ne cita una quarantina); tra i primi realizzati si segnala quello, grandioso e imponente, commissionatogli dai marchesi Serra nel 1867 e terminato nel 1873, ove, su un alto basamento ottagonale ornato da bassorilievi, protagoniste sono le tre Marie al Sepolcro.
Nel frattempo, nel 1866 la Ligustica lo aveva nominato accademico di merito per la classe di scultura (Staglieno, 1862-1867, p. 230) e Federigo Alizeri (1866, p. 394), nelle sue Notizie, accostandolo ad Augusto Rivalta e a Giuseppe Benetti, confermava un giudizio espresso da tempo, ritenendolo uno degli allievi più promettenti dell’Accademia.
Elegante, dai modi gentili e ottimo conversatore, fu apprezzato dagli ambienti altolocati sia a Torino, dove, come membro dello stato maggiore, si stabilì per qualche tempo dopo l’esperienza del fronte, sia a Genova, ove ebbe commissioni importanti da esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, per cui eseguì ritratti (Dotti, 1866; Belle Arti, 1868; Villa, [1929], p. 15; suoi i busti di Teresa Durazzo Spinola, del duca Lodovico Melzi d’Eril, di una signora Gambaro, nonché dell’avvocato e senatore Tito Orsini e della figlia, contessa Emilia Dattili della Torre, tuttora a palazzo Orsini, a Genova) e monumenti funerari in chiese gentilizie, come quelli per Artemisia Brignole Sale Negrone, moglie del marchese Antonio Brignole Sale e madre di Maria, duchessa di Galliera, a S. Nicolò, nel santuario di Nostra Signora delle Grazie a Genova Voltri (1869: Rebaudi, 1869; Dall’Orto, 1962, e 1967; foto d’epoca in Vivere d’immagini, 2016, p. 12) e per Francesco Pallavicini e Luisa Sauli Pallavicini, nella basilica dell’Assunta a Carignano.
Nei decenni successivi fu ancora rilevante l’attività per Staglieno: oltre alla statua di Eva, collocata nel Pantheon (1878), nel porticato superiore, ove si susseguono i monumenti più prestigiosi dell’intero complesso, sue sono le tombe Pienovi (1879), Tomati (1880-81), Montanaro (1888) e Rivara (1896). Tra le opere più note e tuttora segnalate dell’intera necropoli (Valenti, 2000), esse sono caratterizzate da iconografie originali e complesse, in cui si compongono realismo, religiosità e clima di mistero, talvolta di tono quasi presimbolista, con accurate ambientazioni architettoniche, contrassegnate sovente da una ricca profusione di elementi di ornato.
Il monumento di Raffaele Pienovi propone drammaticamente e realisticamente il tema dell’Estremo addio, ovvero l’ultimo saluto della vedova che, china sul letto di morte del marito, solleva il lenzuolo funebre per poterlo guardare un’ultima volta (foto d’epoca in Vivere d’immagini, 2016, p. 12; Giubilei, 2020, p. 127); quello di Cristoforo Tomati, docente di anatomia all’università, fu ritenuto il suo capolavoro e perfino «il più bello e più ricco della necropoli» (Partecipazio, 1883, p. 126, nonché gli entusiastici giudizi di personalità come Arrigo Boito, Giuseppe Verdi, Luigi Mussini e altri: Villa, [1929], pp. 20-22, 48 ss.). Protagonista è una ‘sublime’ figura di Cristo, che appare alla figlia di Tomati, inginocchiata in preghiera ai piedi dell’urna su cui giace il padre; Ego sum resurrectio et vita si legge in alto, nel fregio di un’abside d’imitazione bramantesca. Questa contaminazione tra soggetto laico e religioso, reale e immaginario, ove ‘il Vero e l’Ideale’ si erano perfettamente accordati (cfr. il necrologio di Pietro Dotti, che più volte lo aveva recensito, in Villa, [1929], p. 74), venne ripresa nella successiva tomba Rivara, ove i familiari superstiti, radunati ai piedi del defunto e analiticamente descritti nella varietà di atteggiamenti e costumi, assistono all’apparizione della Vergine, in veste di Consolatrix afflictorum, come riporta l’epigrafe sull’altare neorinascimentale al centro del quale campeggia la figura. Il monumento di Antonio Montanaro è invece incentrato sul tema evangelico della Vergine prudente, con riferimenti alla continuità tra Antico e Nuovo Testamento, ebraismo e cristianesimo, nella presenza del grande candelabro a sette bracci accostato alla croce e con un’allusione simbolica al culto del ricordo dei defunti, nel gesto della giovane donna intenta ad alimentarne la fiamma.
Il successo dell’attività per Staglieno è attestato da recensioni e poesie, dedicate a opere là collocate (cfr. Pili, 1873, per il monumento Serra; il sonetto di Emanuele Lagomaggiore per il monumento Tomati, 1881, e la poesia di Emilia Alberti su Eva, 1883: Sborgi, 1997, pp. 94, 96, 109 s., n. 181, 185; i sonetti di Enrico Meraldi, 1921, sulle tombe Tomati e Montanaro; pure Giuseppe De Leonardis e l’avvocato Cesare Sanguineti, autore della raccolta Ore di solitudine di un cieco, edita nel 1869, composero poesie su suoi lavori: Villa, [1929]). Le fotografie dei monumenti Pienovi, Tomati e Montanaro, raccolte in album con testi introduttivi di Francesco Massuccone ed Ernesto Calligari (Micros), che lo scultore utilizzò ampiamente per promuoversi anche fuori di Genova (Villa, [1929]), contribuirono ad amplificarne la fama; a eseguire gli scatti fu il fotografo fiorentino Nereo Montelatici, allora residente a Sampierdarena e apprezzato dagli artisti genovesi (Vivere d’immagini, 2016, p. 252).
Villa fu attivo anche per altri cimiteri genovesi (come la Castagna a Sampierdarena: I luoghi..., 1985; Sborgi, 1997) e italiani (Torino, Cagliari) e realizzò lavori per committenti stranieri (Villa, [1929], pp. 13-15): sue opere furono inviate a Parigi, a Barcellona, a Biarritz, in Germania, perfino in India, a Bombay, e, in gran numero, in Sudamerica, a Caracas, a Guayaquil e soprattutto in Argentina, dove, alla Recoleta di Buenos Aires, si segnalano il monumento Roverano (1888, singolare effigie dell’emigrato giunto sano e salvo nella nuova terra, commissionatagli da una famiglia italiana orgogliosa della prosperità raggiunta) e la tomba Dorrego Ortiz Basualdo, replica, da lui stesso eseguita, del monumento Montanaro, ma con diversa ambientazione (Sborgi, 1997, pp. 335, 338, e 1999; López Mato, 2001; Sborgi, 2005; Lecci, 2012).
Nei primi anni Ottanta significative furono le presenze di Villa alle esposizioni nazionali di Torino nel 1880 (gesso del monumento Pienovi), Milano nel 1881 (Eva, di minori dimensioni rispetto a quella di Staglieno, ma ritenuta molto più riuscita) e Torino nel 1884 (statua in marmo di un’altra Eva, busto in marmo della Marchesa Vittoria Negrone ed Ego sum resurrectio et vita, statua in gesso).
Tra le opere religiose, nella cappella dell’Immacolata Concezione della basilica di S. Giovanni Battista a Finalmarina (Finale Ligure; Chiesa di S. Maria Immacolata, 1979), sue sono le statue di Ester e Giuditta (1878); nella basilica dell’Immacolata, a Genova, è autore del S. Giovanni Battista, collocato in nicchia, a sinistra dell’ingresso, nella parte inferiore della facciata; all’interno realizzò architettura e ornati della cappella di S. Giuseppe Calasanzio, su disegno di Maurizio Dufour e su commissione di Giacomo Montano (Cervetto, 1904; Gravina, 1937; Chiesa di S. Maria Immacolata, 1979).
Secondo la figlia di Villa, Ester, autrice di un volumetto monografico databile al 1929, l’elenco delle sue opere, ch’egli ricostruì due anni prima della morte, annoverava almeno centoventuno lavori, a realizzare i quali collaborarono Filippo Giulianotti, Lorenzo Massa, Francesco Fasce e Giuseppe Bancalari (Villa, [1929], pp. 13-15).
Morì a Genova il 3 agosto 1899 dopo una lunga malattia che lo ridusse in difficoltà economiche (Villa, [1929]).
Uno studio recente (P. Baghino, Indizi per la storia del collezionismo delle arti industriali a Genova nel secondo Ottocento: il ruolo di Giovanni Battista Villa, in Studi di storia delle arti, 1991-1994, n. 7, pp. 267-290) ha consentito di individuare e delineare la personalità di un altro Giovanni Battista Villa a lui contemporaneo (1824 circa-1900), separando definitivamente le rispettive identità storiche ed eliminando la frequente confusione tra i due; pure genovese e quasi coetaneo, il secondo, aspirante pittore e allievo della Ligustica, fu importante conoscitore e collezionista.
Fonti e Bibl.: F. Alizeri, Accademia Ligustica di Belle Arti. Esposizione dei saggi per l’anno scolastico 1857-58 dal 15 al 22 agosto, in Gazzetta di Genova, 24 e 25 agosto 1858; M. Staglieno, Memorie e documenti sulla Accademia Ligustica di Belle Arti, Genova 1862, p. 230; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, III, Genova 1866, ad ind.; P. Dotti, Belle Arti. Di un busto del Professore Giambattista V., in Gazzetta di Genova, 30 agosto 1866; Belle Arti, ibid., 2 marzo 1868; G. Rebaudi, Appendice. Una passeggiata artistica. II. Monumento alla Marchesa Artemisia Brignole Sale nata Negrone, di G.B. V., ibid., 18 maggio 1869; C. Pili, Le Tre Marie. Monumento in marmo opera dello scultore G.B. V. di Genova. Relazione critica letta nella Società di letture e conversazioni scientifiche il 24 aprile 1873, in Effemeridi. Giornale della Società ligure di letture e conversazioni scientifiche, IV (1873), pp. 257-268; Partecipazio (G. Minuto), Staglieno. Guida del visitatore, Genova 1883, pp. 53, 60, 64, 68-70, 74, 76-78, 86, 88, 90 s., 97, 109-111, 126-130, 138 s., 143, 144; F. Resasco, La Necropoli di Staglieno. Opera storica descrittiva-aneddotica, Genova 1892, pp. 184-188, 195-208, tavv. XXXIV-XXXVI; L.A. Cervetto, Genova e l’Immacolata, Genova 1904, pp. 80, 94; E. Villa, Lo scultore G.B. V. Cenni biografici e critici, Genova [1929]; L. Gravina, La basilica di S. M. Immacolata in Genova. Ricordi di fede e di storia (1854-1937), Genova 1937, pp. 7, 15; C. Dall’Orto, Voltri. Antologia di cose fatti e personaggi, I, Genova 1962, p. 93, II, 1967, p. 259; Chiesa di S. Maria Immacolata, a cura di F. Boggero, Genova 1979, pp. 12, 14; I luoghi della memoria. Immagini di Mariagrazia Federico (catal.), a cura di F. Sborgi, Genova 1985, pp. 22, 24, 51, 63, figg. 23, 33; F. Sborgi, L’Ottocento e il Novecento. Dal Neoclassicismo al Liberty, in La scultura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, ad ind.; Id., Fra Positivismo e Modernismo. Il dibattito sulle arti figurative, in La cultura del sapere. Antologia della “Riviera Ligure” (1870-1917), Genova 1991, pp. 20 s.; Dizionario degli artisti liguri, a cura di G. Beringheli, Genova 1991, p. 316; C. Olcese Spingardi, Un mecenate lombardo nella Genova di metà Ottocento: Filippo Ala Ponzone, in Arte lombarda, n.s., CXII (1995), 1, pp. 66-73 (in partic. pp. 68, 72 s. nota 33); F. Sborgi, Staglieno e la scultura funeraria ligure tra Ottocento e Novecento, Torino 1997, ad ind.; A. Granero, Il culto dell’Immacolata Concezione a Finalmarina. Note storiche, in G.A. Silla, L’Immacolata e i finalesi, Finalborgo 1999, p. 15; F. Sborgi, Alcune note sulla diffusione della scultura italiana fra fine Ottocento e inizi Novecento, in L’architettura dell’Eclettismo. La diffusione e l’emigrazione di artisti italiani nel Nuovo Mondo. Atti del I Convegno internazionale... Jesi... 1998, a cura di L. Mozzoni - S. Santini, Napoli 1999, pp. 173, 174, figg. 21-22; P. Valenti, in Arte y arquitectura funeraria. Arte e architettura funeraria. Funeral art and architecture (XIX-XX), Dublin, Genova, Madrid, Torino, a cura di S. Diéguez Patao - C. Giménez, Madrid 2000, schede nn. 9 (pp. 232 s.), 17 (pp. 248 s.), 22 (pp. 258 s.); O. López Mato, Ciudad de Angeles. Historia del Cementerio de la Recoleta, Buenos Aires 2001, pp. 324 s., 390; S. Berresford, Italian memorial sculpture 1820-940. A legacy of love, London 2004, ad ind.; La Cappella dei Suffragi, Pantheon del civico Cimitero di Staglieno, studi e restauri 2001-2004, a cura di R. Pizzone, Genova 2004, pp. 24, 98 nota 42; F. Sborgi, Considerazioni sulla diffusione della scultura italiana in America Latina, in Migrazioni liguri e italiane in America Latina e loro influenze culturali, a cura della Fondazione Casa America, Roma 2005, p. 131; L. Lecci, Un modello per la scultura funeraria internazionale: il cimitero genovese di Staglieno, in Lo splendore della forma. La scultura negli spazi della memoria. Atti del Convegno ASCE e AGEC..., Verona... 2006, a cura di M. Felicori - F. Sborgi, Roma 2012, p. 267; Vivere d’immagini. Fotografi e fotografie a Genova, 1839-1926, a cura di E. Papone - S. Rebora, Milano 2016, pp. 12, 89, 252; M.F. Giubilei, “Abitare significa lasciare tracce”: interni narrati, dipinti, scolpiti, in Mogano Ebano Oro. Interni d’arte a Genova nell’Ottocento da Peters al Liberty (catal.), a cura di L. Leoncini - C. Olcese Spingardi - S. Rebora, Genova-Milano 2020, pp. 121-127.