VERGERIO, Giovanni Battista
VERGERIO, Giovanni Battista. – Fratello del più celebre Pier Paolo il Giovane (v. la voce in questo Dizionario), nacque a Capodistria forse nel 1492 dal notaio Giacomo, mentre ignota è la madre.
Il 15 gennaio 1532 fu consacrato vescovo di Pola, probabilmente anche grazie alla mediazione di Girolamo Aleandro (Jacobson Schutte, 1977, trad. it. 1988, p. 67 nota 110), mentre la nomina a conte palatino apostolico avvenne per iniziativa del fratello Pier Paolo, che come nunzio papale aveva eccezionalmente questa prerogativa.
Sappiamo poco della sua vita, trascorsa all’ombra dell’ingombrante Pier Paolo, tanto che si può dare ragione a chi ha detto che «il vescovo di Pola rimane una figura indistinta» (ibid., p. 286 nota 32). Le incertezze che gli storici hanno sul momento in cui Vergerio abbracciò idee di critica alla Chiesa sono le stesse che hanno nei confronti di Pier Paolo, che pose la «spirituale regeneratione» del fratello a poco più di un anno dalla sua morte, cioè intorno al 1547. È probabile però che, come appunto per Pier Paolo, vada abbandonata l’idea della conversione come evento subitaneo, per considerarla invece un percorso più lungo, maturato nel passaggio dei fratelli Vergerio attraverso i diversi ambienti che frequentarono e accelerato dalla consapevolezza del malcontento nei confronti della Chiesa cattolica, assai profondo negli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento.
Già nel 1536, per esempio, tenne un sinodo (i cui atti non sono conservati) volto a correggere i comportamenti scandalosi del clero. Da una sua lettera al cardinale Agostino Trivulzio sappiamo poi che nel 1543 scrisse e inviò ai suoi corrispondenti un resoconto di come una ragazza di un villaggio aveva ingannato i suoi compaesani facendo loro credere che avrebbero potuto trovare la vera Chiesa sotto forma materiale. Dal concorso di popolo che aveva seguito questa fanciulla, i Vergerio trassero una lezione importante: se il sentimento religioso era così diffuso e radicato per forme di culto superstiziose ed erronee, tanto più lo sarebbe stato se si fosse compresa la «necessità di che ha la Santa vigna et Chiesa di Christo d’esser purgata da alcune spine che dentro vi sono» (Nuovo libro di lettere dei più rari auttori della lingua volgare italiana, Venezia, P. Gherardo, 1544, c. 148rv). L’invio di lettere simili (con accluso lo stesso aneddoto) da parte di Pier Paolo ad altri personaggi in vista dentro e fuori le gerarchie ecclesiastiche fa pensare a un certo coordinamento tra le iniziative riformatrici dei due fratelli e al fatto che cercassero degli appoggi prima di procedere in maniera più scoperta (da qui l’uso più selezionato del manoscritto rispetto alla stampa, cui il fratello ricorrerà invece sistematicamente negli anni dell’esilio).
Legata all’attività del fratello (divenuto feroce polemista anticattolico dopo la sua fuga prima nelle Leghe grigie poi in Germania) è anche la sua unica opera a stampa, l’Espositione et paraphrasi sopra il salmo CXIX, che Pier Paolo rivide per le stampe e fece uscire postuma a Basilea presso Jakob Kündig nel 1550 con una dedica a una non meglio precisata «signora Eva». Nel commento al salmo versetto per versetto e nella semplicità teologica dell’esegesi, traspaiono quelle preoccupazioni pastorali che non furono esenti dalle medesime critiche che coinvolsero l’azione riformatrice del fratello. Come Pier Paolo, anche Giovanni Battista provocò scontento tra il riottoso clero della sua diocesi, scontento che si scaricò in accuse di tipo dottrinale, ben visibili anche nella Espositione et paraphrasi, dove la scelta di riferirsi al testo della Vulgata viene giustificata «acciocché almanco li miei preti non dicessero, come sogliono, quando vedono che io adopro altra tradutione, cioè che io mi fo dei salmi a mia posta per farli dire ciò che voglio» (Espositione, Epistola al pio lettore, cc. n.n.).
Lo scontro con il clero della diocesi di Pola portò al suo coinvolgimento nelle indagini a carico del fratello (si veda in particolare la lettera di Antonio Loschi a papa Paolo III del 15 ottobre 1546, citata da Buschbell, 1910, pp. 286-288).
L’Inquisizione non fece però in tempo a mettere le mani sui fratelli Vergerio. Se Pier Paolo fuggì dall’Italia nel maggio del 1549, Giovanni Battista, che era ancora a Pola il 3 aprile 1548, trasferitosi nella città natale, forse per curarsi, vi trovò la morte nell’agosto.
Sappiamo che ebbe una figlia, Lodovica, che andò in sposa a Francesco Grisoni, futuro sostenitore di Pier Paolo nel corso del processo per eresia intentatogli dalle autorità ecclesiastiche.
Paradossalmente abbiamo più notizie sulla sua vita postuma che su quella terrena. Alla sua morte – avvenuta, si disse, per avvelenamento – fu nominato come suo successore l’odiato Antonio Elio, protetto dei Farnese e spina nel fianco del fratello, il quale per anni gli dovette corrispondere una pensione che indeboliva di molto le entrate della sua diocesi. La nomina di Elio fu prontamente ratificata dalle autorità veneziane, forse influenzate dalla notizia del ritrovamento nella casa del suo predecessore di materiale luterano e dallo scandalo provocato dalle sue esequie che, secondo una lettera anonima al cardinale Alessandro Farnese poi rilanciata da Girolamo Muzio nelle sue Vergeriane, si sarebbero svolte in maniera non conforme alla tradizione, senza cioè il consueto conforto del clero regolare (Cantù, 1866, pp. 119-121). Tali voci non sembrano però essere giunte fino a Roma, visto che l’atto concistoriale in cui si nomina Elio definisce il suo predecessore «bonae memoriae» (Stancovich, 1828, p. 306).
Secondo una voce diffusa dopo la sua morte (e che ha trovato una rappresentazione figurativa a metà Seicento in un affresco di Pietro Della Vecchia nella sagrestia della cattedrale di Pola), Vergerio fuggì a Ginevra abbandonando la tiara vescovile. Di questa leggenda, nata da una sovrapposizione con le vicende del più celebre fratello, fece già giustizia Pietro Stancovich, che mostrò invece come nel 1572 si avverò un auspicio già formulato da Girolamo Muzio in una lettera al cardinale Gian Pietro Carafa del 21 gennaio 1554, cioè che le ossa del vescovo morto in odore di eresia fossero rimosse dal loro sepolcro all’ingresso del duomo di Pola e disperse in mare.
Fonti e Bibl.: P. Stancovich, Biografia degli uomini distinti dell’Istria, Trieste 1828, pp. 294-348; C. Cantù, Gli eretici d’Italia, II, Torino 1866, pp. 119-121; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI Jahrhunderts, Paderborn 1910, pp. 286-288; A. Pitassio, Diffusione e tramonto della Riforma in Istria: la diocesi di Pola nel ’500, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia. Università degli studi di Perugia, X (1971), pp. 5-65; A. Jacobson Schutte, Pier Paolo Vergerio. The making of an Italian reformer, Genève 1977 (trad. it. Pier Paolo Vergerio e la Riforma a Venezia, 1498-1549, Roma 1988, ad ind.); A. Miculian, La Riforma protestante in Istria (IX): la diocesi di Pola nel XVI secolo, in Atti del Centro di ricerche storiche di Rovigno, XVIII (1987-1988), pp. 73-91.