VARÈ, Giovanni Battista
– Nacque a Venezia il 12 settembre 1817 da Vincenzo e da Elisabetta Pilon. Fu il primogenito di una famiglia di estrazione borghese ed ebbe tre sorelle: Augusta, Fanny e Catterina.
Fin dagli anni giovanili si interessò alla causa dell’indipendenza dal dominio straniero: nel febbraio del 1831, sull’onda dei sollevamenti avvenuti nelle Romagne, fu coinvolto, insieme all’amico Daniele Manin, nella stampa clandestina e nell’affissione nottetempo lungo le calli di Venezia di un proclama insurrezionale antiasburgico, che non ebbe alcun seguito nella popolazione e di cui la polizia non riuscì a scoprire i responsabili.
Nell’agosto del 1839 conseguì la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova con una tesi Sui limiti che dividono le attribuzioni dell’autorità amministrativa da quelle dell’autorità giudiziaria. Si dedicò quindi alla carriera forense, presso l’ufficio fiscale di Venezia, ma il 4 marzo 1843 accettò la nomina a segretario della sezione veneta della Società per la ferrovia Ferdinandea, incaricata della costruzione del collegamento tra Milano e Venezia. Il primo progetto dell’opera era stato presentato nel 1835 alla Camera di commercio di Venezia dall’ingegnere Francesco Varè, zio di Giovanni Battista, e dal commerciante veneziano Sebastian Wagner, ma dopo la morte di quest’ultimo, avvenuta nell’ottobre del 1835, la costruzione era stata affidata a una nuova società mista italo-austriaca, l’Imperial regia privilegiata strada ferrata Ferdinandea lombardo-veneta. Il 12 dicembre 1842 era stato inaugurato il primo tratto della strada ferrata, da Padova a Marghera, nel momento in cui il tracciato definitivo dell’intera linea non era stato ancora deciso, ed era anzi oggetto di un confronto serrato tra i diversi gruppi degli azionisti. L’attività di Varè, da un lato, e quella di Carlo Cattaneo, fino all’agosto del 1838 segretario della sezione lombarda, dall’altro, sotto l’apparenza della gestione dei contatti tra i finanziatori italiani e la cordata dei banchieri austriaci, rappresentò in realtà un’occasione di collegamento tra i sostenitori della causa dell’unificazione nazionale, proprio nel momento in cui la scelta del tracciato poteva favorire gli interessi non solo imprenditoriali e finanziari delle parti, incidendo pesantemente sullo sviluppo economico delle regioni interessate. Tuttavia, a seguito della nomina di Karl Friedrich Kübeck von Kübau come presidente della Camera Aulica del governo austro-ungarico, avvenuta il 25 novembre 1840, il governo imperiale maturò progressivamente la decisione di intervenire direttamente nella gestione di questa importante infrastruttura di comunicazione, con il risultato che nel gennaio del 1846 le sezioni italiane della Società Ferdinandea vennero sostituite da un organismo unificato, e i rispettivi segretari in carica vennero rimossi dalle funzioni loro assegnate.
Varè tornò allora a dedicarsi all’esercizio dell’avvocatura, dapprima a Camposampiero, in provincia di Padova, e quindi nuovamente a Venezia.
L’insurrezione che il 17 marzo 1848 portò alla liberazione di Niccolò Tommaseo e di Manin dalla prigione determinò il coinvolgimento diretto di Varè, al fianco di Manin, nelle vicende politiche della città. Infatti, dopo aver partecipato con lui all’assalto dell’Arsenale del 22 marzo 1848 e alla proclamazione della Repubblica di San Marco, Varè continuò a sostenere le posizioni del governo provvisorio guidato da Manin dalle colonne del quotidiano Il Libero italiano, di cui fu uno dei principali redattori, e quindi da quelle dell’Indipendente, da lui personalmente diretto a partire dal 1° luglio 1848.
In seguito, come segretario e autorevole membro della prima Assemblea rappresentativa della Repubblica Veneta, si dichiarò favorevole all’annessione al Regno di Sardegna, approvata con voto del 4 luglio 1848; mentre nel 1849, come vicepresidente della seconda Assemblea rappresentativa, fu fra coloro che decisero la resistenza a oltranza agli austriaci e l’affidamento dei pieni poteri a Manin.
Caduta la Repubblica il 22 agosto 1849, Varè fu inserito dal governo austriaco nella lista dei proscritti e costretto all’esilio in Svizzera, prima a Ginevra, dove giunse il 1° settembre 1849, e poi, dal 9 ottobre, a Losanna. Qui, nel 1850, strinse amicizia con Giuseppe Mazzini, collaborò al giornale L’Italia del popolo e si dedicò con passione alla propaganda rivoluzionaria. In particolare, Mazzini si avvalse di lui in quanto avvocato esperto di transazioni finanziarie, per commissionargli l’organizzazione di un grande prestito nazionale finalizzato al sostegno della causa italiana e al riscatto dal dominio straniero. Alcune sue comunicazioni rivolte ai sottoscrittori del prestito, apparse sulla Gazette de Lausanne del 28 novembre 1850, determinarono però la reazione delle autorità elvetiche che, preoccupate di veder compromessa la condizione di neutralità politica del Paese rispetto al confinante Impero asburgico, revocarono a Varè il permesso di asilo e lo espulsero dal territorio svizzero con decreto del 26 febbraio 1851. Trasferitosi a Genova, dove poteva contare sull’ospitalità di una sorella, collaborò ancora con Mazzini nella redazione del quotidiano Italia e popolo, ma ben presto anche le autorità liguri si opposero al suo soggiorno e nel settembre del 1851 fu costretto a spostarsi a Torino, dove riprese a esercitare con successo la professione forense.
Continuò comunque a rimanere in contatto con altri esuli e patrioti italiani, e in particolare con Mazzini, che incontrò nuovamente nel 1856, in occasione di un suo clandestino passaggio nella capitale sabauda. Progressivamente Varè prese però le distanze dalle posizioni più radicali, confortato dalle aperture del conte Camillo Benso di Cavour rispetto alle prospettive di unificazione nazionale, e al contempo critico rispetto al velleitarismo degli ultimi tentativi insurrezionali dei patrioti repubblicani. In particolare, la definitiva maturazione delle sue posizioni avvenne a seguito del fallimento del moto insurrezionale in Sicilia, conclusosi con la morte di Francesco Bentivegna, fucilato il 20 dicembre 1856 dalle truppe borboniche a Mezzojuso, nei pressi di Corleone. In seguito, venne coinvolto nella repressione del sommovimento mazziniano di Genova del giugno 1857, cui peraltro non aveva aderito e che anzi aveva vivamente sconsigliato. Arrestato a Torino il 3 agosto, insieme con il veneziano Domenico Giuriati, suo amico e compagno di esilio in Piemonte, venne internato per un paio di mesi nel carcere di Sant’Andrea a Genova, malgrado si dichiarasse ormai apertamente contrario ad atti sovversivi contro l’unico governo costituzionale allora vigente in Italia e la sua posizione politica, come pure quella che andava esprimendo Manin dall’esilio parigino, fosse favorevole all’accettazione del ruolo di guida esercitato in quel momento dalla dinastia sabauda. Conclusasi l’istruzione penale con la dichiarazione di non esservi luogo a procedere nei suoi confronti, venne rimesso in libertà, ma contrariamente ad altri patrioti espulsi dal Piemonte, dopo aver soggiornato per breve tempo tra Sanremo e Bordighera, nel 1859 stabilì la sua dimora a Torino, dove riprese l’attività forense e divenne membro del Consiglio dell’ordine degli avvocati.
In seguito all’annessione della Lombardia, si spostò a Milano, ove era stata nel frattempo trasferita la Corte di cassazione, per esercitarvi la professione di avvocato, acquisendo un ruolo importante in seno al partito radicaleggiante e assumendo nel contempo alcune cariche pubbliche: fu, infatti, presidente del sodalizio dei carabinieri milanesi e, dal 1863, responsabile della società provinciale di tiro a segno.
Come candidato della Sinistra liberale si presentò senza successo nelle elezioni generali del 1865 come rappresentante del II collegio di Milano, ma nelle successive consultazioni del 1866 venne finalmente eletto deputato per il collegio di Portogruaro. Gli elettori di questo collegio non gli rinnovarono tuttavia il mandato nelle votazioni della legislatura successiva, e analoghi insuccessi Varè ottenne nelle consultazioni suppletive del marzo del 1869, allorché si presentò come candidato della Sinistra per il I collegio di Milano, resosi vacante alla morte di Carlo Cattaneo, come pure nelle elezioni generali dell’XI legislatura, dove si era candidato per il collegio di Rovigo. Solo con le elezioni suppletive del gennaio del 1871 per il collegio di Palmanova, ebbe inizio per lui un’ininterrotta carriera parlamentare.
Venne infatti sistematicamente rinnovato nell’incarico nel corso della XII, XIII e XIV legislatura per opera degli elettori del II collegio di Venezia, e nella XV, nelle elezioni suppletive del collegio di Belluno, allorché nel febbraio del 1883 prese il posto dell’amico Giuriati, che aveva nel frattempo optato per il collegio di Treviso.
Nel 1871, a seguito del trasferimento della sede del governo e del Parlamento a Roma, Varè si stabilì nella nuova capitale del Regno, dove l’anno successivo prese parte alle riunioni del primo Congresso giuridico italiano, occupandosi di questioni inerenti alla riforma del codice di procedura civile.
Durante la permanenza a Roma ebbe occasione di fare la conoscenza di una giovane donna di origine scozzese, in viaggio in Italia con la madre e le sorelle: lady Elizabeth Chalmers of Aldbar. Nel luglio del 1874, ormai giunto all’età di cinquantasei anni, si unì in matrimonio con lei a Londra; nel 1880 ebbero un figlio, Daniele Benedetto, così chiamato in onore dei fraterni amici Manin e Cairoli.
Nella sua attività parlamentare, in cui poteva far valere la sua solida esperienza come avvocato, Varè si mise da subito in luce per gli autorevoli discorsi sulle più svariate questioni. Particolarmente significativo fu il suo contributo nella progettazione del codice penale negli anni 1875-77, ma ebbe un ruolo significativo anche nelle discussioni relative al codice della Marina mercantile e al codice di commercio. Partecipò inoltre al progetto di riforma della legge comunale e provinciale; fu membro delle commissioni per la riforma elettorale e per le incompatibilità parlamentari; fu presidente di quella per l’amministrazione del fondo per il culto e di quella sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico; presentò relazioni ai progetti di legge sull’unificazione legislativa del Veneto.
Salita la Sinistra storica al potere, Varè divenne una delle più significative figure del partito di governo, schierandosi con la corrente che faceva capo a Cairoli. Nel 1878 Zanardelli, allora ministro dell’Interno, gli affidò il difficile incarico di commissario regio a Napoli, dove il Consiglio comunale era stato sciolto a seguito di disordini amministrativi e finanziari causati dal sindaco, Gennaro Maria Sambiase Sanseverino, nel corso del biennio precedente. L’ufficio venne ricoperto con la massima trasparenza e correttezza, la città venne restituita alla sua normale gestione e il mandato straordinario fu rimesso da Varè dopo aver consentito l’insediamento di un nuovo Consiglio comunale e di un nuovo sindaco, Girolamo Giusso.
Tuttavia, poco dopo l’insediamento della nuova amministrazione comunale, il 17 novembre 1878 ebbe luogo il tentato regicidio di Umberto I da parte di Giovanni Passannante che, insieme ai disordini verificatisi a Firenze e a Pisa nei giorni successivi, determinò la caduta del primo gabinetto Cairoli, inutilmente difeso da Varè nel corso della seduta parlamentare del 9 dicembre 1878.
Dopo la parentesi del terzo governo Depretis, Varè venne impegnato nel secondo dicastero Cairoli nel ruolo di ministro di Grazia e Giustizia, ricoprendo tale carica dal 14 luglio al 25 novembre 1879, senza tuttavia riuscire a portare a termine particolari riforme. Nel rimpasto di governo del successivo terzo gabinetto Cairoli, Varè venne estromesso dal suo ruolo e decise da quel momento di aderire al gruppo della cosiddetta Sinistra dissidente di Francesco Crispi, Giuseppe Zanardelli e Giovanni Nicotera, proprio alla vigilia delle elezioni di maggio del 1880.
Divenuto uno dei personaggi di spicco della costellazione politica che si riconosceva nella leadership di Zanardelli nell’ex Lombardo-Veneto, dal 26 maggio 1880 al 20 gennaio 1883, durante la XIV e XV legislatura, fu vicepresidente della Camera, ma fu costretto a rimettere tali funzioni prima della scadenza del mandato a seguito dell’annullamento della sua elezione a deputato, avvenuta per problemi procedurali.
Morì a Roma per un improvviso malore nella notte tra il 19 e il 20 aprile 1884.
Scritti e discorsi. Ragionamento pel Dott. Agostino Bertani parte civile ricorrente nella causa contro Giacomo Dina e compagni innanzi la Corte di Cassazione, Torino 1864 (con F. Crispi - G. Carcassi); Alla suprema Corte di Cassazione in Torino. Ricorso di Giuseppe Tonani, Casale 1866; Alla Corte di Cassazione in Torino [...] la Compagnia delle Assicurazioni Generali in Venezia [...] in confronto di Carlo Antonio Dondi, Torino 1867; Richiesta alla Suprema Corte di Cassazione di Torino [...] per la reiezione del ricorso notificato ad istanza di Antonio Figari, Torino 1868; Alla Corte di Cassazione in Torino. La Compagnia delle Assicurazioni Generali in Venezia [...] in confronto di Carlo Antonio Dondi, Torino 1869 (con G. Ceneri); Eccellentissima Corte di Appello in Bologna. Causa commerciale [...] fra Dondi Carl’Antonio di Bologna [...] e Compagnia delle Assicurazioni Generali di Venezia, Bologna 1869 (con G. Ceneri - E. Baravelli); Corte di Cassazione in Torino. Sentenze [...] della Corte di Appello d’Ancona e [...] della Corte di Appello di Bologna, denunciate in Cassazione con note spiegative dei ricorsi nella causa delle Assicurazioni Generali in Venezia contro Carlo Antonio Dondi di Bologna, Torino 1870 (con G. Ceneri); Agli elettori del collegio di Palmanova-Latisana-Mortegliano, Torino 1874; Intorno al progetto di legge per modificazioni dell’ordinamento dei giurati, Roma 1874; Agli elettori del secondo collegio di Venezia, Torino 1876; Relazione letta al Consiglio comunale nel giorno del suo insediamento 10 agosto 1878 dal delegato straordinario Giovanni Varè, Napoli 1878; Commemorazione funebre per la morte di donna Genevieffa Farini madre del presidente della Camera dei Deputati, Roma 1882; Jus pascendi e jus seminandi nei quarti aperti di Bracciano. Memoria a favore di S. A. la signora principessa donna Sofia Branicka Odescalchi contro il signor Remigio Cionci, Roma 1882 (con R. Marchetti - R. Scifoni); Nella discussione del Codice di commercio. Discorso del deputato Varè pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 21 gennaio 1882, Roma 1882; Parole del vicepresidente della Camera dei Deputati Giovanni Varè dette nella solennità d’inaugurazione del monumento di Arnaldo da Brescia, Venezia 1882; Parole del vicepresidente della Camera dei deputati Giovanni Varè dette nella solenne inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele in Verona il 9 gennaio 1883, Roma 1883.
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