SPACCINI, Giovanni Battista.
– Nacque a Modena il 19 luglio 1570 da Giberto e da Bianca Pazzani (o Pacciani). Il battesimo, celebrato il 24 luglio 1570 nella parrocchia della cattedrale, ebbe come padrino Giovanni Maria Barbieri, cancelliere della Comunità di Modena, e come madrina Francesca Cervarola.
La famiglia, di origini milanesi, aveva iniziato ad accumulare ingenti fortune e proprietà grazie a Giovanni Battista senior (m. 1568) che, negli anni Trenta del XVI secolo, acquistò terre a Soliera, nella campagna modenese. Furono i suoi due figli, Annibale e Giberto, a trasferirsi in città. Dal matrimonio del secondo nacquero Orazio (m. 1598), Giovanni Battista iunior, Marcello e una figlia, Barbara (m. 1607).
Intorno ai venticinque anni Spaccini scoprì la cronaca cittadina stesa, tra Quattro e Cinquecento, da Iacopino e Tommasino Lancellotti. Dopo averne predisposto un rifacimento – con aggiunte e integrazioni che gli costeranno i rimproveri dell’erudito Girolamo Tiraboschi –, diede avvio all’impresa che lo avrebbe reso celebre: la compilazione di una propria cronaca.
I suoi interessi si estesero anche alla musica, cui fu introdotto da Leonardo Ricchetti, e all’astronomia, alla quale si dedicò fabbricando strumenti di osservazione sulla scorta degli insegnamenti del cappuccino e matematico bolognese Marco Volpara. Non minore attrazione ebbe per le arti, sia come collezionista, in particolare di iscrizioni e marmi antichi, sia come disegnatore. In quest’ambito si distinse a tal punto da essere ingaggiato dal duca Cesare d’Este in qualità di maestro «di prospettiva e di fortificatione» per i suoi figli (Vedriani, 1662, p. 143) e da tenere un’accademia pubblica di belle arti presso la propria abitazione. Tra i suoi discepoli, a detta dello storico Lodovico Vedriani, sono da annoverare l’architetto Cristoforo Galaverna e l’incisore di rami Giuseppe Zarlatti.
A partire dal 1599, oltre a insegnare disegno ai principi, gli fu chiesto di svolgere le funzioni di calligrafo per il cardinale Alessandro d’Este, cui dedicò, il 10 giugno di quell’anno, i capitoli sul vestiario di un cardinale nei vari periodi e occorrenze.
Cedendo alle insistenze paterne, si sposò, in età avanzata, con Francesca Caula, esponente di un’importante famiglia di Sassuolo. Stabiliti i patti nuziali il 18 ottobre 1614 e ottenuto il consenso del duca, il 26 dello stesso mese si recò dalla promessa sposa per prenderla in moglie, e il 9 novembre Francesca si portò a Modena. I due vissero sotto il tetto che Spaccini condivideva con il padre Giberto – morto nel giro di un anno – e il fratello Marcello, che se ne sarebbe allontanato solo nel 1626. L’unione non fu allietata da figli.
Pochi anni dopo le nozze, nell’ottobre del 1617, Spaccini venne iscritto tra i salariati di corte: in precedenza, infatti, i suoi uffici non erano stati stipendiati, se non saltuariamente. Fu impiegato come guardagioie e guardarobiere della principessa Isabella di Savoia, moglie del principe Alfonso (poi Alfonso III). Durante il suo servizio tenne un registro, ancora conservato, in cui annotò prestiti, acquisizioni e inventari dei beni legati all’ufficio svolto per l’infanta, che accompagnò a Torino nel 1620 in occasione della visita alla famiglia sabauda.
Continuò a servire a corte anche dopo la scomparsa della principessa (1626) e l’ascesa al trono di Alfonso III. Con l’improvvisa abdicazione del sovrano, che scelse di vestire l’abito cappuccino, la sua vita subì tuttavia un repentino cambio di direzione: Spaccini venne progressivamente allontanato dall’entourage ducale, che, con il nuovo principe Francesco I, procedette a un minore coinvolgimento di funzionari ed esponenti dell’élite cittadina. Questa estromissione spiega, in parte, i toni disincantati e polemici con cui Spaccini descrisse i comportamenti del giovane duca, dipinto come incurante delle virtù cristiane, dedito al lusso, agli agi e alle imprese militari, senza riguardo al benessere dei sudditi.
La situazione si aggravò poi con la grande epidemia di peste che nel 1630 colpì anche il ducato estense e che Spaccini descrisse puntualmente nei suoi diari. Negli anni successivi, fu spettatore del rinnovamento edilizio che interessò la capitale dopo la faticosa uscita dal contagio: in quel periodo si avviarono i cantieri del nuovo palazzo ducale, della fortezza e di varie chiese cittadine, tra cui la cosiddetta chiesa del Voto, eretta dalla Comunità in segno di riconoscenza per la fine dell’epidemia. E fu proprio quell’edificio che Spaccini designò come luogo per la sua sepoltura. L’11 luglio 1636 stilò infatti le sue ultime volontà, disponendo di esservi seppellito con un semplice saio cappuccino e il crocifisso in mano.
Morì a Modena il 3 agosto 1636. Con una sistemazione provvisoria, le sue spoglie furono collocate nella chiesa che aveva scelto. Lasciò dietro di sé una cospicua eredità, composta da vari immobili, tra cui la casa di città, e numerose proprietà fondiarie nella campagna modenese (tra Soliera, Magreta e San Donnino).
Nell’agosto del 1657 la vedova fece realizzare a proprie spese il sepolcro marmoreo per il marito: l’inadempienza del Comune, cui l’eredità era stata lasciata, fu all’origine di un lungo contenzioso, terminato con il recupero di molti beni di Spaccini da parte dei parenti.
Ma il vero monumento lasciato dal modenese furono, come detto, le sue cronache: dei nove volumi che produsse, i primi due sono un rifacimento dei diari di Iacopino e Tommasino Lancellotti, mentre i restanti riportano gli episodi di cui Spaccini fu testimone tra il 1588 e il 1636. Si tratta di resoconti preziosi, che offrono un quadro vivo degli avvenimenti che accompagnarono la devoluzione di Ferrara alla S. Sede e il passaggio degli Este a Modena nel 1598. Nelle pagine dell’opera, la personalità di Spaccini emerge in tutte le sue sfumature: devoto cattolico, non mancò di scagliarsi contro gli appetiti degli ordini religiosi che, tra Cinque e Seicento, si insediarono in città sottraendo risorse economiche e spazi alla popolazione. Fedele ai duchi, difese strenuamente gli organismi di autogoverno cittadino e manifestò a più riprese un’identità civica che, soprattutto durante la vecchiaia, gli rese difficile comprendere le nuove dinamiche determinate dal governo di Francesco I. Osservatore attento degli eventi modenesi, annotò con dovizia di dettagli fatti e rivolgimenti della politica europea, nel concitato contesto della guerra dei Trent’anni.
Gli originali delle Cronache di Spaccini sono nell’Archivio storico comunale di Modena, Camera segreta.
Editi dalla Deputazione di storia patria modenese limitatamente al periodo 1588-1604 (G.B. Spaccini, Cronaca modenese, I-III, Modena 1911-1936), i testi sono ora pubblicati in versione integrale in G.B. Spaccini, Cronaca di Modena, I-VI, a cura di A. Biondi - R. Bussi - C. Giovannini, Modena 1993-2008. Disponibile in edizione moderna è anche Il registro di guardaroba dell’infante Isabella Savoia d’Este (1617-1630), a cura di G. Biondi, Modena 2001.
Fonti e Bibl.: Modena, Archivio storico comunale, Sala V, Opere pie, bb. 31-32 (testamento e i documenti relativi alla eredità); Archivio parrocchiale del Duomo, Registro dei battesimi dal 1563 al 1577, c. 60r; Registro dei defunti dal 1630 al 1664, c. 19v; L. Vedriani, Raccolta de’ pittori, scultori, et architetti modonesi più celebri, Modena 1662, pp. 143 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, V, Modena 1784, pp. 136 s.; G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, II, Modena 1974, pp. 349-351; A. Biondi, G.B. S. (1570-1636) e la tradizione delle cronache modenesi, in G.B. Spaccini, Cronaca di Modena, cit., I, pp. IX-XXII.