SOMMARIVA, Giovanni Battista
– Nacque a Sant’Angelo Lodigiano il 12 agosto 1757, quarto e ultimo figlio di Agostino, piccolo possidente di modeste origini, e di Margherita Grassi.
Studiò giurisprudenza a Pavia, nella cui Università si laureò nel 1779. Avviatosi all’avvocatura, nel 1784 contrasse matrimonio, a Milano, con la figlia di un noto causidico cittadino, Giuseppa Verga, con la quale ebbe due figli, Emilio (1790) e Luigi (1791). Il suocero molto lo aiutò a muovere i primi passi nel foro, dove presto si distinse quale patrocinatore dei circoli di possidenti che – in occasione dell’ascesa al trono asburgico di Leopoldo II – chiedevano attenzione nella composizione delle istituzioni locali. Contro i gruppi aristocratici, pronti a dar credito al nuovo sovrano per recuperare quelle rendite di posizione che la politica del predecessore Giuseppe II aveva fatto loro perdere, Sommariva si fece interprete di un’idea di rappresentanza dove la proprietà e non il ceto fosse il discrimine per poter concorrere al potere locale. Sulle sue posizioni facevano certo gioco i concomitanti avvenimenti rivoluzionari di Francia, che lo portarono, nel corso del 1790, a fare addirittura cenno alla creazione di un organo di rappresentanza generale fondato sul censo. La cosa non ebbe seguito, ma bastò a indicare Sommariva quale esponente di quei gruppi che guardavano con interesse alle novità d’Oltralpe: nel maggio del 1796, al momento dell’arrivo di Napoleone Bonaparte a Milano, fu d’altronde tra i primi a sostenere il nuovo ordine e venne subito scelto per far parte della nuova Municipalità in sostituzione dell’aristocratico Consiglio dei Sessanta. Nel mese di agosto entrò poi nell’Amministrazione generale della Lombardia e qui – assieme a Gaetano Porro, un aristocratico ostile al proprio ceto – dette prova di spregiudicatezza, tanto da venire accusato di aver assoldato una legione che lo assistesse, armi alla mano, nell’azione di governo. Di certo Bonaparte dovette molto apprezzarlo, perché nel dicembre del 1796, Sommariva venne inviato a Reggio per sostenere le ragioni dell’unione con la Repubblica Cispadana, da cui sarebbe poi sorta, nel giugno del 1797, la Repubblica Cisalpina. Nel nuovo ordine a Sommariva venne affidato il segretariato generale del Direttorio esecutivo, un incarico che gli consentiva di fungere da soggetto equilibratore all’interno del nuovo governo – composto di cinque membri – nonché da elemento di raccordo con i singoli ministeri.
Le sue fortune politiche durarono però poco, perché nell’aprile del 1798 le resistenze del governo cisalpino alla ratifica di un trattato di alleanza con la Repubblica francese che molto sembrava ledere l’autonomia del nuovo Stato portarono gli alleati transalpini a destituirlo dall’incarico. Questo non significa che ne venisse meno la sua partecipazione alla vita politica della Cisalpina, perché quando nell’aprile del 1799 gli austro-russi rientrarono a Milano, a conferma di quanto Sommariva fosse considerato un elemento di spicco della caduta Repubblica, sottoposero subito a confisca i suoi beni. Parve allora chiaro come, nella sua breve stagione di governo, egli avesse accumulato ingenti ricchezze. Tra il 1798 e il 1799 aveva infatti, quasi dal nulla, acquistato case e terreni, grazie alla compartecipazione in alcune ditte fornitrici del ministero della Guerra cisalpino e a disinvolte operazioni sul mercato creditizio. Trovato rifugio in Francia, i buoni contatti con i politici e i militari transalpini gli permisero di gravitare ancora attorno a Bonaparte, del quale tornò fiduciario non appena questi, preso il potere con il colpo di stato di Brumaio, si decise a scendere nuovamente in Italia. La ricostituzione della Cisalpina, stabilita dalla vittoria di Marengo del 14 giugno 1800, segnò l’apice delle fortune politiche di Sommariva: rientrato a Milano, venne chiamato a far parte della commissione di governo incaricata di gestire i territori liberati, per poi essere inserito, già nel settembre 1800, assieme a Sigismondo Ruga e a Francesco Visconti, nel comitato di governo provvisorio. In quelle vesti, Sommariva divenne presto l’uomo forte dell’esecutivo milanese e si rese responsabile di una scelta di governo asfittica, dove le grandi aspettative pure dischiuse dal ritorno di Bonaparte in Italia erano mortificate a tutto vantaggio di una politica di acquiescenza nei confronti del possente alleato, che gli garantiva non di meno la possibilità di arricchirsi prontamente. Sono questi, d’altronde, i tempi delle grandi fortune accumulate da Sommariva, il quale, controllando tutti gli appalti e mai comparendo negli affari compiuti, passò all’acquisto di grandi appezzamenti di terra, nonché della prestigiosa villa Carlotta a Termezzo sul lago di Como, presto arredata con capolavori d’arte che la resero indiscussa meta di viaggio degli appassionati.
Quando, ormai sul finire del 1801, Bonaparte si decise a dare un definitivo assetto istituzionale alla Cisalpina, le fortune politiche di Sommariva vennero però presto meno, perché i circoli aristocratici, sui quali i francesi facevano gran conto per stabilizzare la Repubblica, ne chiesero la destituzione a tutto vantaggio di un loro esponente. Impossibilitato per legge a partecipare ai Comizi di Lione, che agli inizi del 1802 trasformarono la Repubblica Cisalpina in Italiana, Sommariva venne escluso da ogni incarico e al suo posto venne fatto vicepresidente il suo avversario, Francesco Melzi d’Eril, esponente della tradizionale aristocrazia milanese che mai aveva nascosto il disprezzo nei suoi confronti. Inserito nel collegio elettorale dei possidenti – incarico che giusto testimoniava le ricchezze nel frattempo accumulate, ma nulla implicava sotto il profilo politico –, Sommariva avrebbe inutilmente tentato di proporsi quale punto di riferimento per i molti delusi dall’esito dei Comizi. Il presunto complotto di Giulio Ceroni contro l’esecutivo (1803) venne infatti utile a Melzi d’Eril per toglierlo definitivamente di mezzo. Da quel momento il confronto con Melzi d’Eril si portò dalla politica allo stile di vita: trasferitosi nel 1805 a Parigi, in un lussuoso immobile nel centro di Parigi, Sommariva iniziò una seconda vita, dove la cura meticolosa degli affari privati faceva incrocio con la passione per il collezionismo e lo portò a spendere autentiche fortune per raccogliere ogni sorta di oggetti di belle arti. In questa sua passione stava il tentativo di contestare le forme di collezionismo dell’aristocrazia per suggerire una nuova figura di mecenate, ormai propriamente borghese, cui si guardasse con ammirazione per l’originalità delle scelte.
L’estro al riguardo dimostrato – e presto destinato a condizionare il successivo collezionismo – lo indusse a commissionare e ad acquistare lavori di Antonio Canova e di Jacques-Louis David e a incoraggiare i migliori artisti dell’epoca, quali Angelica Kauffmann, Anne-Louis Girodet, Jean-Baptiste Wicar, Pierre-Paul Prud’hon, Bertel Thorwaldsen, Andrea Appiani, Giuseppe Bossi e Francesco Hayez. Accanto a quadri e sculture, che definivano il gusto neoclassico e romantico del tempo, Sommariva – sempre servendosi dei migliori artisti del tempo – ebbe poi cura di collezionare miniature che riproducevano capolavori dell’arte antica e contemporanea. La passione per l’arte non andò mai disgiunta, tuttavia, dall’investimento economico, nonché dalla pretesa di inserirsi comunque, pur indicando un nuovo stile di vita, nel mondo aristocratico che sempre lo aveva sdegnato. Nel primo caso, sono note le sue considerazioni al figlio Luigi in occasione della morte di Canova, con il quale pure aveva sempre intrattenuto ottimi rapporti – «Ora le sue opere acquistano il doppio del valore primitivo» (Lettere.., 1825, p. 161) –, nell’altro molti furono i tentativi di acquisire un titolo comitale, giunti a buon fine solo negli anni Venti con una concessione in terra di Baviera. In questo ritardato ingresso nelle file dell’aristocrazia, che tutto dice del complesso d’inferiorità nutrito da Sommariva, avevano giocato contro, da un lato, le umili origini e il vistoso arricchimento, ma, dall’altro, anche un trascorso di adesione ai valori rivoluzionari che per la verità l’uomo aveva da tempo archiviato.
Morì a Milano il 6 gennaio 1826.
Lasciò al figlio Luigi una fortuna immensa, dove torreggiavano proprio le molte collezioni d’arte, tutte andate però disperse alla morte senza eredi di quest’ultimo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Fondo famiglie, cart. 1431, f. Sommariva. Inoltre: Lettere del conte G.B. S. a suo figlio Luigi dall’anno 1809 al 1825, Paris 1825; Catalogue de la galerie du comte de S., Paris 1839; L. Auvray, Inventaire de la Collection Custodi (autographes, pièces imprimées et autres documents biographiques) conservée à la Bibliothèque Nationale, in Bulletin italien de la Faculté des Lettres de Bordeaux, V (1905), 4, pp. 349-379; I carteggi di Francesco Melzi d’Eril, a cura di C. Zaghi, I, Milano 1965, ad nomen; S. Cuccia, La Lombardia alla fine dell’ancien régime, Firenze 1971, pp. 40-44; M. Gregori, Il conte S. e l’Appiani, Firenze 1972; F. Haskell, An Italian patron of French neoclassic art. The Zaharoff lecture for 1972, Oxford 1972; Id., More about S., in Burlington Magazine, CXIV (1972), pp. 691-695; F. Mazzocca, S. o il borghese mecenate, in Itinerari. Contributi alla storia dell’arte in memoria di Maria Luisa Ferrari, a cura di A. Boschetto, II, Firenze 1981, pp. 18-33; A. Montenegro, G.B. S., in Sant’Angelo Lodigiano tra storia e memoria. I luoghi, i fatti, gli uomini, Sant’Angelo 2005, pp. 97-106; G. Tassinari, Incisioni in pietre dure e collezionisti a Milano nel primo Ottocento: il caso di Antonio Berini e G.B. S., in Le gemme incise nel Settecento e Ottocento. Continuità della tradizione classica, a cura di M. Buora, Roma 2006, pp. 27-49; S. Levati, G. B. S.: avvocato, politico e affarista (1757-1826), in Committenti, mecenati e collezionisti di Canova, a cura di G. Ericani - F. Mazzocca, Bassano del Grappa 2008, pp. 267-291.