SCANAROLI, Giovanni Battista
– Nacque a Modena nel 1579 da Nicolò, di un casato gentilizio veronese radicato in città da oltre tre secoli. Non ha riscontro la notizia riportata da Luigi Ughi (1804, p. 162) che lo dice nato a Ferrara da una famiglia modenese; tuttavia una parte degli Scanaroli si sarebbe trasferita nella città pontificia nel 1625.
Da adolescente frequentò i gesuiti e più tardi, giunto a Roma per completarvi la formazione, entrò nel noviziato della Compagnia in S. Andrea al Quirinale (1598). Forse per volere della famiglia, contraria alla sua scelta di indossare l’abito ecclesiastico, con altri giovani modenesi passò a Macerata per apprendervi il diritto al seguito di Bartolomeo Carandini, suo compromotor, e nello Studio marchigiano il 25 maggio 1604 si addottorò in utroque (Serangeli, 2003, p. 75, nota 335).
Tornato a Roma, cominciò a esercitare in qualità di avvocato dei poveri e in tale veste entrò a far parte del tribunale della Visita, la magistratura di sorveglianza delle carceri dell’Urbe riformata da Sisto V, diventando civis Romanus (1613). La sua profonda religiosità, tuttavia, lo spinse ad abbandonare la carriera di giurista e a prendere gli ordini sacri: secondo Giovan Battista Spaccini (1993-2008) fu ordinato sacerdote il 29 settembre 1622 dall’arcivescovo di Modena; secondo Patrizio Gauchat (1935) il 17 dicembre 1622 a Roma. Dal 1625 circa fu prelato dell’Arciconfraternita di S. Girolamo o della Carità e protonotario apostolico e venne nominato vescovo in partibus di Sidone il 15 luglio 1630 (ma secondo Vedriani, 1669, p. 176, il quale si basa forse su Spaccini che riporta la notizia al 28 giugno, l’elezione risalirebbe al 10 giugno). Fedele cliente dei Barberini, che gli garantirono laute rendite, divenne amministratore dei beni della famiglia pontificia, vescovo suffraganeo dell’Urbe (1632) e, dopo la morte di Urbano VIII, vicario della basilica vaticana. Un suo fratello fu paggio di Taddeo Barberini, forse il conte Alessandro che si occupò delle elargizioni pie di Scanaroli, tra le quali spiccavano i cinquanta scudi annui investiti nel Monte di Pietà romano per dare sollievo ai prigionieri.
La figura di Scanaroli è nota soprattutto per l’imponente trattato in tre libri De visitatione carceratorum (Romae 1655), che ebbe una seconda edizione post mortem nel 1675.
Parto di una mente senile, come l’autore stesso lo definì con ironia nella dedica a s. Girolamo, il testo (con ricchissimi indici) riflette l’esperienza del vescovo all’interno delle confraternite romane dedite all’assistenza dei carcerati (la Carità, ma anche S. Maria della Pietà dei Carcerati) e nel lavoro di sorveglianza demandato al tribunale della Visita, che come le due confraternite godeva del privilegio di chiedere, in precisi momenti dell’anno, la liberazione di un prigioniero (recluso per reati non atroci o per debiti). Già Paolo V, con la costituzione Universi Agri Dominicis (1612), era intervenuto per limitare gli abusi commessi dai secondini e dai birri durante la carcerazione, rafforzando l’istituto della visita settimanale che coinvolgeva le confraternite, il governatore, il procuratore fiscale, l’avvocato dei poveri, e comportava il conforto religioso, l’assistenza medica dei prigionieri e l’obbligo di stilare l’elenco dei carcerati. E tuttavia, come altre in antico regime, le carceri romane (Tor di Nona, le principali, poste sotto tutela della confraternita della Carità e del tribunale della Visita; Corte Savella, Ripa e Borgo, con un regime simile; Castel Sant’Angelo, destinate ai reclusi illustri; nonché le carceri del Campidoglio, dipendenti però dalla magistratura senatoria) rimasero luoghi affollati nei quali si perpetravano molte violenze ed estorsioni (una storia a sé hanno le celle del S. Uffizio). Il libro di Scanaroli era ispirato precisamente dalla volontà di migliorare la condizione degli istituti di reclusione dell’Urbe e apparve negli anni in cui Innocenzo X dispose la costruzione delle Carceri Nuove di via Giulia, architettate da Virgilio Spada e terminate nel 1657 per sostituire quelle di Tor di Nona, di Borgo e di Corte Savella. Si trattava di un edificio di nuova concezione che doveva servire quasi tutti i tribunali romani, con cortili, stanze di servizio e spazi separati secondo il sesso, la condizione dei prigionieri e la gravità dei reati da loro commessi; e prima delle trasformazioni del XVIII secolo ebbe pochi istituti paragonabili in tutto il continente europeo.
Scanaroli non fece in tempo a vedere le riforme di Innocenzo XI e la casa di correzione di S. Michele in Ripa (1703), ma non vi è dubbio che quella prima stagione di interventi pontifici nell’ambito degli istituti urbani di detenzione fu favorita dal suo lavoro. Come scrisse, bisognava distinguere la detenzione ad custodiam da quella ad poenam (De visitatione, cit., p. 5), limitare ogni abuso dei carcerieri (pp. 12-17), evitare la promiscuità e il sovraffollamento, esercitare i privilegi di grazia e la misericordia cristiana. In un testo spesso esaltato per la presunta modernità, che rivela una profonda conoscenza del diritto e riporta una selva di provvedimenti in volgare e in latino citati nei singoli libri o pubblicati nell’ampia appendice di documenti (bolle, editti, bandi, fedi, elenchi di carcerati, consulti medici, decisiones), Scanaroli ha parole significative contro gli eccessi della tortura (pp. 285-293) e fornisce i dati sul numero dei reclusi di quegli anni, tracciando un vivido affresco delle opere di carità svolte dalle confraternite, dei benefici derivati dalla visita periodica e della condizione carceraria romana, con informazioni attendibili sugli alimenti, l’igiene, le spese, le cure dei malati e dei feriti, la prostituzione. Di rilievo, oltre alle pagine dedicate alle magistrature e alla prassi giudiziaria cittadina, all’arresto e all’avvocato dei poveri, alle cauzioni e alla crudele pena della galera, al vagabondaggio dei poveri e al modo per affrontarlo, è la pubblicazione delle relazioni dei cerusici Giulio Cesare Magno e Antonio Gallina sull’applicazione della tortura, la cui durata, nei tribunali romani, era stata moderata per volontà dei pontefici (appendice, pp. 43 s., 74).
Scanaroli finì i suoi giorni il 10 settembre 1664, a Roma, presso il noviziato dei gesuiti, a cui aveva donato la sua personale libreria.
Venne seppellito in S. Giovanni in Laterano, dove egli stesso, molto prima di morire, aveva fatto apporre una lapide in memoria, che andò distrutta e fu fatta ricollocare dall’Arciconfraternita di S. Girolamo nel 1841. Una seconda lapide era stata fatta scolpire da Scanaroli per la chiesa di S. Francesco a Ferrara (Raggi, 1842, p. 24), città che gli aveva concesso la cittadinanza e dove ormai si erano radicati alcuni suoi familiari. Secondo diverse testimonianze, un suo ritratto ornava le pareti nelle Carceri nuove. La Biblioteca apostolica Vaticana e la Biblioteca Estense e universitaria di Moderna conservano un’incisione con epitaffio che è tratta dalla raccolta di biografie di Ludovico Vedriani (1669). Ludovico Antonio Muratori lo lodò nel trattato Della carità cristiana (1723).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Arciconfraternita S. Maria della Pietà dei Carcerati, 37 (già 51), cc. 17, 257, 261-263, 269, 276, 399, 401 (strumenti di donazioni); 39 (già 53), c. 60r (elenco di scritture di Scanaroli); Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. Lat., 2425, pp. 504-508, 528 s., 584 (copia di uno scambio di lettere tra Scanaroli, Felice Contelori e Taddeo Barberini circa la prefettura di Roma, 17 e 30 agosto 1629, 9 giugno 1630, 16 maggio 1631); 2609, cc. 234r-235r, 237r, 253r (originali delle stesse); 10042, cc. 5r-10v; 13r-14v, 15r-16v, 17r-18v (lettere di Taddeo Barberini a Scanaroli, 1631-32); 10046, c. 4r (lettera di Antonio Barberini a S., Pesaro 22 settembre 1631); Vat. Lat., 8474, cc. 4v, 43rv (minute di due lettere di Mario Filonardi a Scanaroli, gennaio e 21 aprile 1633); Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Autografoteca Campori, G.B. Scanaroli (due lettere, 1641 e 1660).
L. Vedriani, Catalogo de’ vescovi modonesi, Modena 1669, pp. 174-176; A. Libanori, Ferrara d’oro imbrunito, III, Ferrara 1674, pp. 145 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, V, Modena 1784, p. 40; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, pp. 162 s.; O. Raggi, Elogio di Giovanni Battista Scanarolo vescovo di Sidonia, Roma 1842; E. Sala, Della vita e degli scritti di Monsignor Giovanbattista Scanaroli, Modena 1866; D. Ricci, Di Giov. Battista Scanarolo modenese, Modena 1889; P. Gauchat, Hierarchia Catholica, IV, Münster 1935, p. 315; G. Bedoni, G. B. S. e L.A. Muratori, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 8, XI (1959), pp. 222-235; V. Paglia, «La pietà dei carcerati». Confraternite e società a Roma nei secoli XVI-XVII, Roma 1980, p. 154 nota; R. Canosa - I. Colonnello, Storia del carcere in Italia dalla fine del ’500 all’Unità, Roma 1984, pp. 37-46; C.C. Fornili, Delinquenti e carcerati a Roma alla metà del ’600. Opera dei papi nella riforma carceraria, Roma 1991, pp. 111-133; G.B. Spaccini, Cronaca di Modena, a cura di A. Biondi et al., Modena 1993-2008, alle date 29 settembre 1622, 28 giugno 1630; L. Fiorani, «Charità et pietate». Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Storia d’Italia, Annali 16, Roma, la città del papa, a cura di L. Fiorani - A. Prosperi, Torino 2000, pp. 429-476 (in partic. p. 472 e nota); S. Serangeli, I laureati dell’antica Università di Macerata (1541-1824), Torino 2003, pp. 75 s.; A. Pastore, Le regole dei corpi. Medicina e disciplina nell’Italia moderna, Bologna 2006, pp. 70, 108; G. Angelozzi - C. Casanova, La giustizia criminale in una città di antico regime. Il tribunale del Torrone di Bologna (secc. XVI-XVII), Bologna 2008, pp. 377 s., 535-540, 561 s.; A. Prosperi, S., G.B., in Dizionario storico dell’Inquisizione, Pisa 2010; M. Di Sivo, Il braccio del tribunale: birri e carceri a Roma tra Cinque e Seicento, in La giustizia nello Stato pontificio in età moderna, a cura di M.R. Di Simone, Roma 2011, pp. 259-266 (in partic. p. 263).