RISTORI, Giovanni Battista
RISTORI, Giovanni Battista (Giovanni nell’uso familiare e storiografico). – Nacque a Firenze il 23 giugno 1755 da Gaspero, scrivano delle decime del contado di Firenze, e da Elisabetta Francesca Spandò.
Alla morte di Gaspero, sopraggiunta nel 1756, il piccolo Giovanni venne accolto insieme alla madre e a due sorelle nella casa di uno zio prete, Cosimo, che lo mantenne agli studi in buoni collegi e poi per cinque anni all’Università di Pisa, dove si laureò in utroque jure il 1° giugno 1779. Un altro zio paterno, Antonio Maria, libraio di mestiere, lo iniziò alla letteratura conducendolo ai ritrovi dei più noti eruditi fiorentini, dei quali Ristori conservò un vivo ricordo, attestato dal Colpo d’occhio su lo stato presente della letteratura italiana. Su quelle prime esperienze si innestò l’assiduo studio che egli fece a Pisa della giurisprudenza antica e moderna, sotto la guida di validi docenti fra i quali Giovanni Maria Lampredi, professore di diritto pubblico, e Cristoforo Sarti, docente di logica e metafisica.
A questa formazione dovette, da un lato, l’approccio storicistico allo studio del diritto romano e l’assorbimento delle moderne teorie del diritto di natura, da Grozio a Samuel von Pufendorf, a Jean Berbeyrac, Jean-Jacques Burlamaqui, Emmerich de Vattel; dall’altro, l’impostazione sensistica e utlitaristica che sarebbe rimasta il fondamento delle sue riflessioni sull’uomo e sulla società e avrebbe fatto tutt’uno con la sua adesione alle correnti più avanzate dell’Illuminismo europeo.
Le riforme del granduca Pietro Leopoldo, che dal liberismo economico si andavano estendendo proprio in quegli anni alle strutture amministrative e giudiziarie, sembravano offrire un terreno favorevole a un giovane brillante e fresco di studi com’era Ristori che, prima ancora di conseguire la laurea, cominciò a fare ‘pratica di criminale’ presso il nuovo tribunale supremo di giustizia.
Ma non minore fu per lui l’attrattiva dell’attività giornalistica, allora in notevole sviluppo. Nel dicembre del 1777 insieme a due coetanei, Francesco Xaverio Catani e Modesto Rastrelli, presentò al governo il progetto di un nuovo periodico, il Giornale fiorentino istorico-politico letterario, che cominciò a uscire con cadenza mensile dal gennaio 1778. Accanto agli ‘estratti’, cioè alle recensioni di libri nuovi, vi trovavano posto una rubrica di varietà (lettere al giornale, contributi originali, annunci e polemiche di varia natura), un’altra di Riflessioni politiche sui vari Stati europei e su temi d’attualità, e infine poesie.
Gli articoli non erano di regola siglati, e ciò rende non facile la loro attribuzione. Mentre i contributi di maggior peso sembrano essere in genere opera di Catani, autore di tragedie e futuro polemista anticuriale, quelli di contenuto più leggero e giocoso erano spesso dovuti alla penna di Ristori, anche se contrariamente a quanto affermato da Capra (1968, p. 33), il ‘filosofo gelopolitano’ che figura autore di una serie di articoli sui riti, gli svaghi, gli aspetti ridicoli della bella società fiorentina sembra da identificare almeno per gran parte con Catani (Parrini Cantini, 2002, pp. 276-282).
Era però sicuramente di pugno di Ristori una Lettera da Porto d’Ormus situato nel mar Pacifico pubblicata nel numero di marzo 1780; si trattava in realtà di un reportage da Livorno, una città spesso visitata da Ristori, che qui si faceva beffe di alcuni personaggi piuttosto noti in procinto di esibirsi sulle scene teatrali. Le loro reazioni spinsero il governatore di Livorno, Filippo Bourbon del Monte, a denunciare la satira al governo centrale, che decise di dare un esempio di severità anche perché non era stato osservato l’obbligo incombente ad autori e stampatori di sottoporre i loro scritti alla censura preventiva. Le dure sanzioni proposte il 12 giugno dall’auditore fiscale Brichieri Colombi, incaricato delle indagini, furono attenuate dal sovrano: a Ristori venne inflitto «l’esilio a beneplacito da tutto il granducato», ma non la privazione del titolo e del privilegio dottorale. Messo per tempo sull’avviso, in realtà, fin dagli ultimi giorni di maggio egli aveva preso la fuga dirigendosi oltre confine a Modena, dove subito presentò al governo ducale una supplica per il permesso di continuare lì l’attività giornalistica; naturalmente il permesso venne negato, e Ristori fu anzi invitato a cercare asilo altrove.
Le cose andarono meglio a Bologna, tappa successiva del suo esilio, seconda città dello Stato pontificio per popolazione e ricchezza, che manteneva una larga autonomia dal potere centrale in campo amministrativo e finanziario e la fama di centro culturale di primaria importanza per la presenza di un’antica e prestigiosa Università e dell’Istituto delle scienze, con annessa accademia, fondato al principio del secolo da Ferdinando Marsili. Qui Ristori poté contare sulla protezione di alcuni potenti, come il marchese Francesco Albergati Capacelli, in relazioni d’amicizia con Catani, e probabilmente su appoggi procuratigli da Flamminio de’ Bardi titolare della contea di Vernio, feudo imperiale a mezza via tra Firenze e Bologna, che si era a lungo avvalso dei servizi del defunto zio Cosimo. Fu così che ottenne la carica puramente onorifica di giudice dell’Orso, sufficiente a permettergli di intitolarsi ‘giudice consultore del podestà’; e fu così che poté costituire una società letteraria cui appartennero alcuni esponenti dell’élite cittadina (come Carlo Filippo Aldrovandi, Ferdinando Marescalchi, Antonio e Giovanni Aldini, tutti futuri protagonisti dell’età rivoluzionaria e napoleonica) e dell’Istituto delle scienze. Sotto l’egida di questa società uscì a partire dal gennaio 1781 una nuova rivista, intitolata Memorie enciclopediche e poi (dal 1785 al 1787, quando ebbe termine) Giornale enciclopedico. Del periodico erano distribuiti quaranta numeri all’anno, suddivisi secondo il programma originario in cinque rubriche: Estratti; Esame dei giornali europei; Storia politica dell’anno; Scoperte, invenzioni, problemi; Poesie e prose. Ma tale articolazione non poté essere a lungo mantenuta, dato che il materiale per la seconda e la quarta rubrica cominciò presto a scarseggiare, mentre la Storia dell’anno dopo soli quattro numeri dovette essere tolta dalla rivista e stampata a Modena, dove visse due anni sotto il velo dell’anonimato.
Inizialmente le Memorie enciclopediche erano compilate quasi per intero da Ristori stesso e da alcuni ex gesuiti spagnoli, residenti a Bologna e a Roma, che facevano largo posto a libri e temi attinenti alla loro patria dando prova di spirito polemico e nazionalistico. A partire dal 1782 Ristori trovò un prezioso collaboratore nell’abate lughese Giuseppe Compagnoni (1754-1833): su posizioni più moderate del direttore in campo politico e soprattutto religioso, vantava però una vasta cultura e una penna pronta e scorrevole, soprattutto adatta alla compilazione di ‘estratti’ di libri d’ogni genere. Per la parte scientifica qualche contributo era fornito da Sebastiano Canterzani, segretario dell’Accademia delle scienze, e dal canonico Girolamo Saladini, mentre una trentina di ‘estratti’ di argomento politico-giuridico (tra i quali alcune attente recensioni della Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri e delle opere di Gabriel Bonnot de Mably) era siglata F.M., iniziali di Ferdinando Marescalchi.
Il pensiero di Ristori stesso in queste materie non è facile da ricostruire sulla sola base della rivista bolognese, non solo per le incertezze circa la paternità di non pochi articoli, ma a causa della prudenza con cui egli si esprimeva su molte questioni, dopo la disavventura toccatagli in Toscana. Costretto a ricorrere spesso all’arma del sottinteso o dell’ironia, scriveva ad esempio, nel commentare due opere dai titoli significativi di L’anticandido e L’Emilio cristiano: «Con tutta ragione la Chiesa romana ha proibito due libri, che potevano essere perniciosi alla vera credenza dei suoi fedeli. Al contrario quelli, che annunziamo, non hanno alcuna di queste proprietà e possono esser letti senza scrupolo da tutti i buoni cattolici» (Memorie enciclopediche, I, 1781, p. 108). Tale prudenza si estendeva anche agli oggetti interessanti la città di Bologna, per esempio il piano di riforme progettato nel 1780 dall’energico legato cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, che minacciava il tradizionale primato economico-sociale della nobiltà senatoria.
Già nel 1784 il fondatore delle Memorie aveva tentato di uscire dalle angustie della sua situazione presentando domanda per una cattedra di economia pubblica all’Università di Modena. L’occasione buona parve presentarsi l’anno dopo, quando il già citato conte Flamminio de’ Bardi gli propose di recarsi a Milano per sostenere la sua procura nella trattativa che aveva in corso con il granduca di Toscana Pietro Leopoldo, desideroso di fare acquisto della contea di Vernio. Ma Pietro Leopoldo, spazientito delle lungaggini della controparte, improvvisamente pose fine ai negoziati, e così il soggiorno di Ristori a Milano nell’estate del 1785 non poté durare più di qualche settimana, permettendogli tuttavia di fare la conoscenza personale di Pietro Verri, Cesare Beccaria e Paolo Frisi. Tornato a Bologna, cadde in uno stato di depressione e per un anno, secondo quanto riportato da Compagnoni nelle Memorie autobiografiche, visse presso il suo collaboratore senza neppure indennizzarlo delle spese e senza più occuparsi del giornale. Un tentativo per ottenere una cattedra all’Università di Ferrara, alla fine del 1785, si concluse con un nuovo fallimento, e cadde nel vuoto, un anno e mezzo dopo, anche la proposta di un impiego presso la Corte arcivescovile di Trento rivoltagli da un amico giurista, Francesco Vigilio Barbacovi.
Nell’ottobre del 1786 Compagnoni accettò l’ufficio di segretario offertogli dalla marchesa Bentivoglio e partì con lei per un lungo viaggio nell’Italia del Nord. Ristori riprese svogliatamente a dirigere il Giornale enciclopedico; ma pochi mesi dopo rinunciò a proseguire l’impresa, che incontrava sempre maggiori ostacoli da parte delle autorità ecclesiastiche e civili bolognesi. Nel corso di due brevi viaggi a Venezia compiuti nel 1787 si accordò invece con il poligrafo ex gesuita Andrea Rubbi per una collaborazione al Nuovo giornale letterario d’Italia che questi intendeva pubblicare presso il libraio Storti a partire dall’anno seguente. Tra i suoi contributi al periodico veneziano fa spicco per ampiezza e interesse un Colpo d’occhio su lo stato presente della letteratura in Italia, pubblicato in dodici puntate nel 1788-1789; il lungo articolo ebbe molti lettori: venne fra l’altro riprodotto nel Giornale enciclopedico d’Italia, edito a Napoli e fu all’origine di una ristampa dell’intera prima annata del Nuovo giornale letterario d’Italia fatta a Venezia nel 1797 con il titolo Gli ozi letterari dell’avvocato Giovanni Ristori «Effettivamente, nonostante l’apparenza scanzonata e nonostante le numerose omissioni e le altrettanto numerose arbitrarietà di giudizio, si tratta di un notevole sforzo di sistemazione, secondo chiare direttive illuministiche, dei dati della cultura italiana contemporanea, non letteraria soltanto, ma scientifica, economica e giuridica» (Capra, 1968, p. 100).
Il Nuovo giornale letterario, cui Ristori contribuì anche con recensioni di opere di Paolo Frisi, Pietro Verri, Mario Pagano e con una divertente Rinunzia alla letteratura, concluse un decennio di attività giornalistica svoltasi tra Firenze, Modena, Bologna e Venezia. In un diverso clima ideologico e politico si collocò la successiva opera periodica intrapresa da Ristori, Appendice politica a tutte le gazzette e altri foglietti di novità, o sia la Spezieria di Sondrio, stampata in realtà a Modena nel biennio 1789-1790 dai torchi della Società Tipografica, la stessa editrice della Storia dell’anno compilata da Ristori nel 1781-82.
L’identità del luogo di stampa non è l’unico nesso tra i due giornali, che non si possono però considerare, come voleva Renato Soriga (primo scopritore della paternità ristoriana della Spezieria) «evidente continuazione l’uno dell’altro» (L’idea nazionale e il ceto dei ‘patrioti’ avanti il maggio 1796, in R. Soriga, L’idea nazionale italiana dal secolo XVIII all’unificazione, Modena 1941, p. 6, n. 4); ma sono espressione di due momenti storici diversi, separati da quel grande spartiacque che fu la Rivoluzione francese. Entrambi i periodici – il primo mensile, il secondo settimanale – furono scritti interamente da Ristori e ne riflettono con un’organicità assai maggiore degli altri scritti giornalistici il pensiero politico e sociale; la formula è però diversa nei due casi, perché la Storia dell’anno prende a modello un noto periodico veneziano dallo stesso titolo per darci una «storia politica e filosofica» dei principali avvenimenti del giorno, corredata dalle riflessioni di «un pensatore italiano», mentre la Spezieria di Sondrio si presenta come la trascrizione, a opera di un personaggio identificato come Lazzaro Jona, dei discorsi tenuti tra lo speziale Giuseppe Balsamo e gli avventori della sua farmacia, rifacendosi alla finzione letteraria dello Spectator e del Caffè dei Verri e di Beccaria.
La Storia dell’anno si apriva con la narrazione dei fatti d’America, rievocati sotto l’influsso di Raynal, uno degli storici più ammirati da Ristori insieme a Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini, Tacito, David Hume, William Robertson, Claude Fleury e naturalmente Voltaire; e alternava all’esaltazione dei despoti illuminati (Caterina II, Pietro Leopoldo e, soprattutto, Giuseppe II) e dei ministri riformatori (William Pitt, Étienne François de Choiseul, Pombal, Ensenada e, soprattutto, Jacques Necker) un notevole radicalismo egualitario, che si spingeva fino alla proposta delle leggi agrarie e di ‘opifici pubblici’ che dessero lavoro alle migliaia di disoccupati delle città italiane.
Nel secondo giornale l’oggetto principale delle conversazioni e il metro di giudizio per ogni altra valutazione era invece costituito dalla Rivoluzione francese, i cui progressi erano seguiti e commentati passo passo. Dei quattro partecipanti ai dibattiti di cui il periodico forniva i resoconti, lo speziale Balsamo era il più entusiasta cronista e apologeta degli avvenimenti di Versailles e Parigi, e le obiezioni degli altri, specialmente del reazionario abate Trifonio, servivano di pretesto a ulteriori manifestazioni di consenso e fiducia. L’uguaglianza naturale tra gli uomini, l’origine contrattualistica della società e dei governi e l’adesione al principio della sovranità popolare erano a più riprese ribadite nei fogli della Spezieria, e le basi costituzionali di una «monarchia repubblicana» erano chiaramente delineate in un «Discorso che si suppone recitato nella seconda adunanza dell’Assemblea Generale da un ottuagenario stato amico di Montesquieu, Elvezio, Rousseau, Raynal, Mably» (Spezieria di Sondrio, I, 1789, pp. 82-85). Ne veniva di conseguenza ridimensionato il sostegno ai sovrani riformatori: Federico II di Prussia era paragonato, ad esempio, a «un bravo pollajolo […] che ingrassa bene le sue galline, affinché gli facciano molte uova, e se gli viene la fantasia, rendano in pignatta un brodo squisito nel giorno di festa» (p. 3); e le vicende della spartizione della Polonia erano oggetto di una dura condanna.
Nei «riflessi politici» che concludevano la prima annata del giornale, lo speziale Balsamo delineava un piano di suddivisione dell’Europa, secondo criteri etnico-geografici, in dodici nazioni, tra cui l’Italia, dove «adottata con piccole variazioni la costituzione che sta per nascere in Francia, ciascun uomo sarebbe libero e felice» (p. 208). Non era questa l’unica traccia della presenza nell’autore di un’aspirazione all’unificazione politica dell’Italia, che forse non si limitò agli auspici verbali. Molto citato dagli studiosi è un preciso riferimento al principe dei settari italiani, Filippo Buonarroti, con ogni probabilità già conosciuto da Ristori all’Università di Pisa: «Spira ancora nei petti italiani il vigore dell’animo latino. In Corsica è d’uopo andare a conoscerci. Per tutto saremmo gli stessi, si fata dedissent. Eccovi un Giornale patriottico di Corsica, col motto Salus publica suprema lex esto. Esso è scritto con tutta l’energia di un patriotta; ed è un toscano per quel che mi vien supposto l’estensore» (Speziera di Sondrio, II, 1790, p. 34).
Significativa era anche la difesa a spada tratta non solo della Libera Muratoria in generale, ma della setta bavarese degli Illuminati di Baviera, cui apparteneva un nobile bolognese noto a Ristori, Alessandro Savioli. E forse non erano casuali i rapporti epistolari e personali che Ristori intratteneva con due noti affiliati alla loggia cremonese, Isidoro Bianchi e Lorenzo Manini. Adeguata attenzione meriterebbero altre prese di posizione della Spezieria di Sondrio, come quelle a favore della parità dei sessi e del divorzio, quella contro la schiavitù dei neri, la richiesta di un’istruzione pubblica universale da attuarsi attraverso le scuole normali o di una nuova codificazione del diritto, la proposta di un’imposta progressiva e di una tassazione dei consumi di lusso. Nella seconda annata del periodico, tuttavia, si attenuarono le punte ugualitarie e anticuriali prima percepibili negli scritti di Ristori. L’uguaglianza, certo, era ancora proclamata «ultimo grado della felicità dei popoli» (p. 160); ma subito si chiariva che si trattava di uguaglianza giuridica, e non economica; e scompariva ogni accenno alle leggi agrarie. Ciò non toglie che la Spezieria di Sondrio vada considerata, nei due anni in cui visse, l’eco forse più aperta, libera ed entusiastica che i grandi avvenimenti francesi suscitarono a sud delle Alpi.
I governi italiani tardarono a prendere coscienza del pericolo che la propaganda rivoluzionaria rappresentava per la loro stabilità, ma nel corso degli anni 1791-92 presero dovunque a stringere le maglie della censura e della vigilanza poliziesca su ogni manifestazione del pensiero. Ristori non poté dunque, secondo ogni probabilità, realizzare il suo proposito di continuare l’Appendice politica almeno per un altro anno. Chiusa ogni via alla libera espressione delle idee, pensò di riprendere gli studi giuridici coltivati in gioventù e si dedicò alla compilazione di una vasto lavoro che, riordinando le diverse parti dell’opera di Giustiniano, ponesse le basi per una nuova codificazione del diritto. Di questo trattato comparve però un solo volume, pubblicato a puntate tra il 1792 e il 1795 con il titolo di Corpus juris regestum. Ristori si proponeva di seguire una via intermedia tra «la ristrettezza» di Robert Joseph Pothier, autore delle Pandectae justinianee in novum ordinem digestae, e «la sazietà» delle Loix civiles dans leur ordre naturel di Jean Domat; ma il suo contributo personale si limitava alla traduzione in italiano dei testi latini e all’aggiunta di note critiche relative alle storture sociali e ai difetti della giurisprudenza.
L’anno 1794 vide in tutta Italia una recrudescenza di manifestazioni di protesta e di moti rivoluzionari, in coincidenza con l’avanzata dell’armata francese lungo la Riviera ligure. Fin dal maggio del 1794 Ristori venne espulso da Bologna; fece probabilmente tappa a Vernio, ma poi si trasferì in Toscana, dove per due anni visse in clandestinità, spostandosi da un luogo all’altro e indirizzando varie lettere e pareri legali al conte Flamminio de’ Bardi, suo protettore.
Non sappiamo precisamente quando Ristori rientrò a Bologna, conquistata dalle armi francesi il 19 giugno 1796 e subito affidata dal generale Napoleone Bonaparte a un governo provvisorio. Nell’autunno del 1796 egli partecipò al concorso indetto dall’Amministrazione generale della Lombardia sul tema «Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia».
Il suo Discorso, datato 19 novembre 1796, si apriva con la considerazione che l’Italia non era ancora matura per la libertà, a causa del suo plurisecolare asservimento al dominio di preti e tiranni. «Per edificare di nuovo – scriveva – bisogna abbattere gli avanzi dell’antica ruina», cioè le «consuetudini feudali» (in Saitta, 1964, p. 94), i titoli e i privilegi nobiliari, i fedecommessi, le esenzioni, le privative, la confusione tra peccati e delitti e tutto quanto si oppone a una perfetta eguaglianza. Quando ciò fosse stato fatto, allora si sarebbe potuta adottare la «costituzione unica per un popolo libero» (p. 102), che coincideva in sostanza con la costituzione francese dell’anno III, basata sulla tripartizione dei poteri (un’assemblea bicamerale elettiva, un sistema giudiziario indipendente pure eletto dal popolo, un potere esecutivo affidato a un Direttorio di nomina parlamentare); come già nella Spezieria di Sondrio, Ristori accettava anche la limitazione del diritto di voto ai percettori di «qualche rendita certa», garanzia di libertà di giudizio e di attaccamento alla patria, ma aggiungeva che uno dei principali doveri del governo sarebbe stato quello «di operare in modo, che non vi sia più alcun indigente sul territorio della Repubblica» (p. 103). Tale ordinamento si sarebbe applicato inizialmente ai territori italiani già liberati, ma avrebbe avuto carattere di repubblica unitaria e non confederale; essa avrebbe potuto suddividersi in 21 dipartimenti e scegliere come capitale Reggio Emilia. Chiudevano il breve scritto due appendici, riguardanti l’una la riforma della giurisprudenza, l’altra i Mezzi di allontanare dal popolo la miseria e l’ignoranza. Il complesso delle idee qui esposte, che si collocava a mezza strada tra le due correnti in cui si dividevano i patrioti italiani, la neogiacobina e la moderata, sembra aver costituito il punto d’arrivo dell’evoluzione politica di Ristori e avere anche in seguito accompagnato la sua carriera di funzionario e di giudice all’interno dell’amministrazione cisalpina e italica.
A Bologna tornò per alcuni mesi, tra il dicembre del 1796 e la primavera del 1797, al suo vecchio mestiere di giornalista, stampando contemporaneamente un periodico di taglio ideologico, Discussioni preparatorie sopra gli affari pubblici, e una gazzetta dedita alla cronaca, L’abbreviatore degli Atti della Repubblica Italiana e delle novelle politiche degli altri popoli. L’unione alla Cisalpina della Repubblica Cispadana, in un primo tempo costituita con le province di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara, consentì a Ristori di cercare a Milano un impiego più stabile. Il 5 settembre 1797 il ministro della Giustizia, Giuseppe Luosi, antico associato delle Memorie enciclopediche, gli conferì la carica di capo della sezione civile del dicastero, con un salario di 4000 lire annue. Dopo il crollo della Repubblica Cisalpina, nell’aprile del 1799, Ristori si rifugiò nuovamente a Bologna, dove riuscì a pubblicare cinque numeri di un periodico intitolato Varietà letterarie (ottobre-dicembre 1799); doveva seguire un altro foglio, Il nuovo Caffè, che non riuscì però a vedere la luce.
Nel giugno del 1800 la battaglia di Marengo mise fine alla parentesi austro-russa e portò alla ricostituzione della Repubblica Cisalpina, nel cui ambito a Ristori toccò l’ufficio di commissario di governo per il dipartimento del Basso Po (Ferrara), un paese in parte ancora occupato da truppe nemiche e battuto da bande di insorgenti. A liberarlo da quella vita di pericoli e di stenti giunse la nuova nomina a ispettore agli studi per la Comune di Bologna, il 27 novembre 1800. Il non facile incarico, che lo poneva in contrasto con un corpo accademico da tempo non pagato e assai poco propenso al nuovo ordine, fu anche questa volta adempiuto con impegno e abnegazione, fino al nuovo trasferimento a Milano determinato dalla carica conferitagli nell’aprile 1801 di segretario centrale del ministero di Giustizia, con 6000 lire annue. Questa volta Ristori conservò le sue mansioni per quasi due anni, prima con il ministro Antonio Smancini, poi con Francesco Pancaldi e infine, dopo i Comizi di Lione e la trasformazione della Cisalpina in Repubblica Italiana, sotto Bonaventura Spannocchi, come lui toscano. Al riparo di una nuova carica, assai meno impegnativa della precedente, cui venne trasferito nell’ottobre del 1802, egli svolse un ruolo importante non soltanto nella costruzione del nuovo sistema giudiziario, ma nella grande opera di elaborazione dei nuovi codici che sarebbe poi stata vanificata dalla decisione di Napoleone di imporre anche all’Italia i codici francesi. Gli interventi di Ristori all’interno della commissione per la revisione del progetto di codice penale rivelavano la sua fedeltà agli insegnamenti di Beccaria e di Filangieri.
Dopo la trasformazione della Repubblica in Regno d’Italia e la nomina di un nuovo ministro della Giustizia nella persona di Luosi, Ristori fece ancora parte della commissione incaricata di tradurre in italiano e latino il codice civile francese.
All’inizio del 1805 si era sposato con Carolina Bugatti, nipote del presidente della Corte di cassazione, che lo avrebbe reso presto padre di Rosa (1808), Marianna (1810), Giovanni Battista (1812), Giulia (1816) e Giovanni (1817).
La sua carriera si concluse nel 1807 con la nomina a giudice della corte d’appello di Milano, che avrebbe mantenuto fino alla caduta del Regno e anche dopo, sotto il restaurato regime austriaco.
Morì a Milano dopo una lunga malattia, il 24 dicembre 1830.
Fonti e Bibl.: Tra le fonti a stampa, oltre alla Necrologia pubblicata nella Gazzetta privilegiata di Milano del 23 gennaio 1831, sono di particolare interesse le Memorie autobiografiche di Giuseppe Compagnoni (a cura di A. Ottolini, Milano 1927) e gli spunti autobiografici sparsi negli scritti giornalistici, in particolare nel Colpo d’occhio del 1788-89, ristampato in M. Berengo, Giornali veneziani del Settecento, Milano 1962, pp. 618-654. Quanto alle fonti inedite, un’ampia messe offrono gli Archivi di Stato di Firenze, di Modena, di Bologna, di Milano, la Biblioteca civica di Trento (dove è conservata la corrispondenza di Ristori con Francesco Vigilio Barbacovi), la Biblioteca universitaria di Bologna, la Biblioteca nazionale braidense di Milano, la Bibliothèque nationale di Parigi. La più importante ristampa di uno scritto di Ristori è il Discorso sopra il quesito Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia, in A. Saitta, Alle origini del Risorgimento: i testi di un ‘celebre’ concorso, III, Roma 1964, pp. 87-115. La ricostruzione biografica più completa, nonostante alcune inesattezze e lacune, è ancora quella di C. Capra, G. R. Da illuminista a funzionario, 1755-1830, Firenze 1968, cui si rinvia per i non numerosi studi precedenti. Molte notizie nuove, per quanto riguarda lo sfondo familiare, gli anni giovanili, i rapporti con il conte Flamminio de’ Bardi, feudatario di Vernio, e il soggiorno in Toscana nel 1794-96, sono fornite da M.A. Timpanaro Morelli, Autori, stampatori, librai: per una storia dell’editoria in Firenze nel secolo XVIII, Firenze 1999, ad indicem. Un pregevole studio del primo periodico è quello di E. Parrini Cantini, Il «Giornale fiorentino istorico-politico letterario»: un profilo, in Studi italiani, XIV (2002), 1-2, pp. 265-291, monografico: Periodici letterari del Settecento. Studi e ricerche, a cura di G. Nicoletti. Sulle bolognesi Memorie enciclopediche e il loro successore Giornale enciclopedico da vedere, tra gli altri, A. Giacomelli, La Bologna tardo-illuministica e prerivoluzionaria di Giuseppe Compagnoni, in Giuseppe Compagnoni. Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, a cura di S. Medri, Bologna 1993, pp. 33-83. Anche sulla Spezieria di Sondrio non sono mancate analisi attente: si vedano M. Cuaz, Le «Nuove di Francia». L’immagine della Rivoluzione francese nella stampa periodica italiana, 1787-1795, Torino 1990; S. Nutini, Il ‘dispotismo’ nella «Spezieria di Sondrio» di G. R., in I linguaggi politici delle Rivoluzioni in Europa, XVII-XIX secolo, a cura di E. Pii, Firenze 1992, pp. 305-317; M. Mirri, Il manifesto-programma della «Spezieria di Sondrio», in Ricerche di storia in onore di Franco Della Peruta, a cura di M.L. Betri - D. Bigazzi, I, Politica e istituzioni, Milano 1996, pp. 90-116. Per i contributi di Ristori alla ricostruzione del sistema giudiziario e alla codificazione napoleonica, si vedano: E. Dezza, Il codice di procedura penale del Regno italico (1807). Storia di un decennio di elaborazione legislativa, Padova 1983, ad ind.; A. Cavanna, Codificazione del diritto italiano e imperialismo giuridico francese nella Milano Napoleonica. Giuseppe Luosi e il diritto penale, in Jus Mediolani. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996, pp. 659-760; Giuseppe Luosi, giurista italiano ed europeo. Traduzioni, tradizioni e tradimenti della codificazione, a cura di E. Tavilla, Modena 2009, ad indicem.