RESASCO, Giovanni Battista
– Nato a Genova il 4 marzo 1798 da Pietro e da Santa Rosa Penco, a differenza di altri architetti genovesi dell’epoca non frequentò l’Accademia ligustica; come ricordò egli stesso (Resasco, 1892, p. 15), nel 1816, diciottenne, era già «praticante architetto», al servizio della pubblica amministrazione locale, sotto Gaetano Cantoni; quando, dal 1818, Carlo Barabino sostituì Cantoni, vi prestò servizio come volontario, per divenire poi impiegato con regolare stipendio. Come «aggiunto» all’architetto civico, collaborò con Barabino alla realizzazione di importanti edifici e piani urbanistici.
Attenendosi al progetto di Pietro Pellegrini, morto nel 1827, terminò la chiesa di S. Sisto, inaugurata nel 1828; nel 1837, dopo l’allargamento di via Carlo Alberto (Gramsci), vi lavorò ancora: trasferì la cantoria, abolì il nartece e realizzò una nuova facciata, ispirata a quella barabiniana di S. Siro; sua anche la cupola (1844).
Morto Barabino (3 settembre 1835), ne fu il principale successore. Tra le opere postume (progetto dell’aprile 1834, approvato nel marzo 1835) realizzò il ponte-sifone sul Veilino (prima pietra del 13 novembre 1837, collaudo del dicembre 1842). A più riprese curò manutenzione e ripristino dell’acquedotto.
Proseguì l’opera di Barabino pure per i pubblici ammazzatoi: dei due previsti nel 1833, divenuti quattro tra il 1834 e il 1835, aveva individuato aree adatte a tale destinazione (Prè, Portoria, Molo e Portello); nel 1840 spostò i due nuovamente deliberati in quartieri più decentrati: nel 1846 quello di S. Teodoro era terminato e quello di S. Vincenzo in costruzione.
Dal 23 novembre 1835 accademico di merito dall’Accademia ligustica di belle arti per le classi d’architettura e ornato, vi ebbe l’incarico già barabiniano di direttore della scuola di Architettura.
Tra i candidati vi erano Ippolito Cremona, Angelo Scaniglia, Domenico Cervetto, Felice Orsolini e Giovanni Battista Chiodo. Tra i suoi allievi si ricorda Alfredo d’Andrade.
Nel 1847 progettò un ampliamento (mai eseguito) della sede della Ligustica, acquisendo due sale del vicino Ospedaletto.
Dal dicembre 1835 succedette a Barabino anche nel Consiglio d’ornato, di cui fu segretario.
Attuò i piani urbanistici barabiniani: compiuta l’Acquasola e tracciata via Carlo Alberto, nell’area della Pace e S. Vincenzo, in linea con il Piano di ampliamento delle abitazioni del predecessore, (1825), nel 1838-40 fu realizzato il quadrivio di piazza Colombo; vi costruì quattro edifici, caratterizzati da ampi porticati; tre su quattro nel 1846 erano terminati.
Gli è pure attribuito l’edificio di via Galata n. 20, approvato nel 1838 (Vecchi, 1994); alte paraste ioniche vi simulano una loggia tamponata.
Del 1837, 1838 e 1844 sono i disegni per l’ampliamento di piazza S. Lorenzo; nel 1839-40 progettò un nuovo palazzo civico davanti alla cattedrale, rimasto sulla carta, e il consolidamento e restauro del palazzo arcivescovile.
In via S. Lorenzo, per Lorenzo Costa, gli è attribuita la facciata di palazzo Centurione Gavotti Boggiano, n. 5 (1838-43: Caraffini, 2003), ove si costruirono due avancorpi, a racchiudere un loggiato. Probabile opera di Tomaso Carpineti (Vecchi, 1994), la firma di Resasco si riferisce invece verosimilmente al suo ruolo pubblico di controllo.
Nel 1838 iniziarono i lavori di via Serra, costruita su terreni di proprietà della famiglia omonima per Gio. Carlo, che morì senza vederla terminata; Resasco vi eresse sette edifici (finiti nel 1841; lui stesso risiedette al n. 1, proprietà di Domenico, nipote di Giovan Carlo) e a essa adattò il preesistente Istituto dei sordomuti.
Nel 1839 restaurò la loggia dei Mercanti: chiuse i fornici con vetrate e aprì una porta su piazza Senarega.
Dal 1841 si occupò della facciata della chiesa dell’Annunziata, sostituendo quella secentesca.
Barabino vi si era dedicato dal 1816, predisponendo nel 1834 tre varianti; la soluzione approvata prevedeva un pronao a sei colonne ioniche, due campanili con tempietti ionici e un corpo centrale a trittico con sculture. Resasco la modificò, sopprimendo i campanili, a favore di un attico ornato da statue, e poi, per motivi economici, la semplificò. Furono costruiti solo pronao e scalinata, una finestra semicircolare invece della serliana e i campanili senza tempietti; Resasco propose anche di sostituire l’ordine ionico semplice romano con la variante greca, per meglio accordare facciata e interno (su molte sue idee non realizzate: Alizeri, II, 1847, parte I, pp. 5, 54). Subito criticati, i lavori, iniziati nel 1843, rallentarono anche per il difficile approvvigionamento dei marmi e non furono conclusi. Nel 1865 s’ipotizzò di spostare il pronao, per usarlo a completare la piazza di fronte al teatro Carlo Felice.
Nel 1842 realizzò apparati effimeri alle feste genovesi per le nozze di Vittorio Emanuele di Savoia con Maria Adelaide: tra le luminarie del 25 giugno, un «maestoso arco» in via Carlo Alberto, e soprattutto, per la festa Marittima del 26, l’«isola natante», con padiglione ricco di sculture ed epigrafi.
Ancora succedendo a Barabino, Resasco progettò l’espansione di Genova nelle aree collinari, nel 1859 con il Piano d’ingrandimento della città tra i colli di S. Rocchino e S. Maria della Sanità (approvato il 21 settembre 1859) e, nel 1863, con il più esteso Piano di ingrandimento e di allineamento della città di Genova, nelle regioni di Sant’Anna, San Gerolamo, Carbonara, Piano di Rocca, Sant’Ugo del Lagaccio, San Francesco da Paola, San Lazzaro, degli Angeli e della Chiappella, approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici il 28 ottobre 1864, che collegava realizzazioni già in atto (vie Assarotti, R.D. 1852; Caffaro, 1855; Goito e Palestro, 1859; piazza Manin, 1858), di cui egli si occupava dai primi anni Cinquanta.
Realizzò un progetto per piazza Acquaverde, nel 1857, e il prolungamento rettilineo di via Assarotti (la futura via Roma), prevedendo portici su entrambi i lati; vi si opposero Maurizio Dufour e i fautori del «protendimento curvilineo».
In Carignano, pure area di nuova urbanizzazione, secondo il piano barabiniano del 1825, si occupò delle vie Alessi (1850), Rivoli (1852) e Fieschi (1865).
Nel 1864 trasformò il teatro di S. Agostino: ridotti i palchi da sei a quattro ordini e portata la platea a livello stradale, esso riaprì come teatro Nazionale. Del 1864 è anche la palazzina di via Ugo Foscolo, dimora e studio dello scultore Santo Varni.
Alizeri (1875, pp. 176, 467) ricorda pure le cornici dei mosaici nella sala di palazzo Tursi, realizzate da Giovan Battista Gaolio, e la camera mortuaria del manicomio.
Al cimitero di Staglieno, ritenuto il suo capolavoro, si dedicò dal 1837 alla morte (tre anni di studio e trentadue di «quotidiana cura»: Resasco, 1892, p. 352).
A seguito del divieto di seppellire nelle chiese (Regie Patenti del 1832), il progetto di Barabino, approvato l’11 settembre 1835, poco dopo la sua morte, individuata un’area fuori città, nel comune allora separato di Staglieno, prevedeva un recinto quadrangolare, con una cappella piramidale, al centro di un’esedra sulla collina; l’acquisto dei terreni fu deliberato nell’ottobre 1835.
Incaricato nel 1837, Resasco sviluppò le tracce frammentarie di Barabino; approvato il progetto il 22 aprile 1840, i lavori iniziarono nel 1846 ed esso aprì il 1° gennaio 1851. Ritenuto troppo semplice il progetto barabiniano, Resasco interpretò le esigenze di rappresentatività dell’amministrazione, accentuandone caratteri scenografici e grandiosità monumentale.
Il rettangolo inferiore, diviso in quattro campi per le tumulazioni comuni, è cinto da un porticato, destinato a sepolture monumentali; a Est e Ovest sono addossate gallerie esterne di colombari. A Nord il porticato è interrotto da uno scalone, fiancheggiato da rampe, a raggiungere un rettangolo superiore, più piccolo, cinto a Sud da porticato. Al centro è la cappella dei Suffragi, o Pantheon, a pianta circolare con pronao dorico esastilo, ispirata all’edificio romano; la costruzione iniziò nel 1861 (dopo che, per la cedevolezza del terreno argilloso della collina, Resasco inserì una cripta, per raggiungere con lo scavo una roccia più consistente) e proseguì con lentezza; Resasco sarebbe morto prima della fine dei lavori di finitura.
Per il progetto di Staglieno (premiato «con onorevole menzione» a Firenze nel 1861), apprezzato da Cavour nel 1858, l’architetto ebbe il titolo di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Ne progettò poi l’ampliamento a Est, con il porticato semicircolare.
Approvato il progetto il 23 maggio 1866, il terreno fu delimitato nel 1868, ma nel 1889 ne esistevano solo le fondamenta; iniziati nel 1890, i lavori nel 1891-92 erano ancora in corso (sulla fedeltà al progetto si batté il successore Michele Marcenaro); il previsto porticato simmetrico, sul lato Ovest, non fu realizzato. A Staglieno sono di Resasco le cappelle Rebizzo Rubattino, Sciaccaluga e Giglio.
Resasco morì a Genova il 4 gennaio 1872, per una pleurite, poco prima del collocamento a riposo.
In prime nozze aveva sposato Ottavia Fornelli, da cui ebbe: Pietro Agostino, nel 1822; Enrico Giuseppe, 1826; Adolfo, 1831. Dal secondo matrimonio con Maria Luigia Parodi nacquero: Edoardo Carlo, nel 1843; Ferdinando Giovanni, 1844; Maria Elisa, 1847; Federico Giacomo, 1849; Tito Luigi, 1850; Cesare Carlo, 1852; Maria Marzia, 1853; Maria Lavinia, 1854; Decio Antonio, 1856; Maria Amelia, 1858; Maria Clotilde, 1859; Maria Luigia, 1862 (ASCG, Censimento della popolazione 1856 e 1871). Alla sua morte tre figli maschi, minorenni, e le figlie femmine erano «privi d’ogni mezzo di sostentamento», come ricordò il sindaco in Consiglio comunale. Il 10 gennaio 1872 fu deliberato di tumularne la salma, con quella di Barabino, nel Pantheon a Staglieno (vi fu trasferita nell’ottobre 1892) e di erigere a entrambi statue nelle nicchie all’ingresso, poi non realizzate. Nel 1913 gli fu intitolato il piazzale esterno del cimitero.
Gli scarsi mezzi lasciati alla famiglia furono ritenuti prova di assoluta onestà. Eppure nel 1847, per sospetta negligenza ed erronei conteggi in un lavoro pubblico, il suo operato era stato sottoposto ad accertamenti, con sospensione dall’incarico, poi revocata, appurata la sua diligenza nel tutelare i pubblici interessi. L’inventario delle sue carte, allora redatto, conferma la stretta relazione con Barabino, di cui conservava tavole e progetti, molti da lui stesso disegnati, e una vasta attività progettuale, comprendente innumerevoli interventi, oltre a quelli menzionati (ASCG, Amministrazione municipale, Fondo 1845-1860, n. 1255).
La regia di molte realizzazioni ottocentesche genovesi gli fu riconosciuta in un album realizzato nel 1873 dalla giunta municipale (Papone, 2003).
Nel 1874, grazie a una sottoscrizione di diciannove scultori, Agostino Allegro gli eresse un busto in Accademia ligustica.
Il figlio Pietro, accademico di merito della Ligustica il 13 febbraio 1859, membro della commissione consultiva per la conservazione dei monumenti storici e di belle arti, morto il padre, proseguì la realizzazione del Pantheon a Staglieno; progettò la serra dell’orto botanico dell’Università; Ferdinando, giornalista, autore del principale testo ottocentesco su Staglieno, più volte aggiornato, collaborò a quotidiani e diresse testate, scrisse romanzi, opere teatrali e romanze da salotto.
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