RAIMONDI, Giovanni Battista
RAIMONDI, Giovanni Battista. – Nacque a Napoli nel 1536 circa, da Alessandro Raimondi di Cremona. Ignoto è il nome della madre.
A Napoli, in modalità non note, ebbe la prima formazione quale grecista, filosofo (con la produzione di originali commentari di Platone e Aristotele, non pubblicati perché rischiosamente neoplatonici), e matematico, sfociata nella divulgazione di una versione in latino dei Dati di Euclide, e dotti commentari delle opere di Pappo Alessandrino e Archimede. Non si hanno indicazioni relative alla sua educazione nelle lingue orientali, che fu però ampia, includendo ebraico, arabo, persiano, turco, siriaco, copto ed etiopico. Probabilmente anch’essa mosse i primi passi in contesto napoletano, e non si hanno indizi precisi di suoi viaggi in Oriente. Dalla metà degli anni 1560, sotto il pontificato di Pio V, si stabilì in Roma, al servizio della corte papale, costruendo una rinomata collezione di codici manoscritti. I rotuli della Sapienza registrano un suo incarico di «docente di mathematica» per il biennio 1574-76.
Dall’inizio degli anni Ottanta del Cinquecento Raimondi fu attivo nel settore editoriale romano: in collaborazione con la stamperia di Domenico Basa, per cui preparò un testo cosmografico arabo (1584-1585, Kitāb al-bustān fī ağā᾽ib al-arḍ wa al-buldān, di Salamiš ibn Kandaġdī al-Ṣāliḥī, noto come Hortus rerum mirabilium terrae et regionum); e nell’allestimento di bozze per il progetto della Typographia Medicea, promosso da papa Gregorio XIII e finanziato dal cardinale Ferdinando de’ Medici, presso il quale Raimondi all’epoca risiedeva, a Villa Medici. L’impresa, fondata il 1° marzo 1584 e diretta da Raimondi, aveva quale primo obiettivo la produzione di un’edizione poliglotta della Bibbia: dapprima le sei lingue i cui caratteri e testi erano già accessibili (latina, greca, ebraica, caldaica, ossia aramaica, siriaca, araba), poi in ulteriori cinque (persiana, armena, schiavona, egiziaca, ossia copta, etiopica); essa avrebbe dovuto superare in magnificenza le due già prodotte in Europa (Complutense, 1514-1517, e di Anversa, 1569-1572, diretta da Benito Arias Montano con cui Raimondi fu in amicizia). Alla Bibbia dovevano accompagnarsi volumi d’apparato, dizionari e grammatiche. Il progetto della stamperia si inseriva nella politica di riunificazione con le Chiese cristiane d’Oriente condotta da Gregorio XIII, ed era affiancato all’investitura del cardinale Medici quale protettore dei patriarcati di Antiochia e Alessandria, e del regno di Etiopia. In un orizzonte più ampio, e in virtù degli interessi di Raimondi, l’Instrumento di fondazione segnala che il doppio fine della conversione dei musulmani e della conciliazione con le Chiese d’Oriente («aumento della fede») si accompagnava a una ricerca umanistica indirizzata al recupero di testi classici e originali («notitia delle scientie») e a una prospettiva commerciale proiettata sia in Europa sia nelle terre dell’Impero ottomano («util pecuniario»; Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 719,1).
L’amministrazione della stamperia, stabilita in piazza Monte d’Oro, era affidata a una congregazione che includeva, oltre a Raimondi, Cipriano Saracinelli, segretario del cardinale nella protezione dei patriarcati; Giovanni Battista Britti, viaggiatore cosentino; Donato dell’Antella, con l’ufficio di tesoriere. Ferdinando rimaneva proprietario dell’intera impresa, macchinari, codici originali e opere stampate inclusi. Assicurati i servigi del più celebre intagliatore dell’epoca, il francese Robert Granjon, e di coloro che lo affiancarono o sostituirono dopo la morte (1589), e grazie ai precisi disegni di Raimondi, la Medicea si dotò dei caratteri di numerose scritture d’Europa, d’Africa e d’Asia: latini, greci, ebraici, siriaci, arabi, persiani, turchi, copti.
La produzione editoriale, condotta da un’ampia squadra di tecnici, i cui nomi ci sono solo in parte noti, era fondata su un vasto patrimonio di manoscritti orientali originali, arrivati infine a circa 500: un nucleo sostanziale fu fornito da Ni᾽matallāh Aṣfar di Mardīn, ex patriarca della Chiesa siro-ortodossa di Antiochia, esule a Roma, esperto astronomo e membro della commissione di riforma del calendario voluta da Gregorio XIII. Un secondo gruppo costituiva la biblioteca personale di Raimondi. Gli altri furono acquisiti nel tempo dai collaboratori inviati in Asia e Africa, in particolare dai fratelli Giovanni Battista e Gerolamo Vecchietti, eruditi viaggiatori cosentini di nazione fiorentina. Nel 1584 Britti e Giovanni Battista Vecchietti furono inviati pontifici rispettivamente in Etiopia e in Persia, entrambi via Egitto. Oltre gli incarichi diplomatici e la ricerca di codici, nonché di semi e piante per il giardino del cardinale, essi dovevano verificare le opportunità di smercio dei volumi nei mercati orientali: un privilegio turco di vendita di libri nell’Impero ottomano, datato 1588 e impresso in uno dei volumi della Medicea, è un documento problematico che non sembra riferirsi direttamente alla stamperia (La via delle lettere, 2012, pp. 20 s., 51 s.).
Le direzioni di lavoro erano supervisionate da differenti congregazioni, coordinate da Raimondi: la congregazione per la valutazione delle opere sacre e profane da stampare, e per la produzione della Bibbia poliglotta, includeva il vescovo di Sidone Leonardo Abel, maltese, il frate domenicano Tommaso da Terracina, arabista, il frate francescano Diego de Guadaise di Granada, Paolo Orsini di Costantinopoli, e Guglielmo Africano di Tunisi, entrambi conversi appartenenti al Collegio dei Neofiti, rifondato da Gregorio XIII (1577); inizialmente vi partecipò anche il padre gesuita Giovanni Battista Eliano (m. 1589), ebreo converso. Altre due congregazioni si occupavano di preparare testi di polemica anti-islamica (guidata da Ni᾽matallāh, includeva anche Leonardo Abel e Ottaviano da Ravenna, reggente dei francescani della Scarpa), e di produrre un’edizione e traduzione delle opere di Avicenna (includeva Ni᾽matallāh, Giovan Battista Lucchese, medico del cardinale Savello, e Paolo Orsini).
Fin dall’inizio Raimondi fronteggiò sospetti e rivalità, difendendo il ruolo della Medicea anche dalle pressioni dei gesuiti direttori del Collegio dei maroniti (fondato nel 1584), che volevano aprire una ‘stampa chaldaica’. La morte di Gregorio XIII (1585), e quella poco successiva di Ni᾽matallāh (1587), contemporanea alla scomparsa di Britti nell’Oceano Indiano, e all’ascesa del cardinale Ferdinando al seggio granducale di Toscana, segnarono la prima di una serie di crisi che limitò decisamente la portata delle realizzazioni della stamperia. In seguito al ritiro di Ferdinando, e di fronte al disinteresse mostrato da papa Sisto V e la successiva diffidenza di Clemente VIII, Raimondi si trovò solo. Oppostosi al trasferimento della tipografia a Firenze, in pochi anni riuscì comunque a pubblicare il frutto della prima intensa fase di lavoro.
In arabo: il Tetravangelo, con xilografie incise da Leonardo Parasole su disegni di Antonio Tempesta (1590, riemesso nel 1591 con versione interlineare latina; Evangelium sanctum Domini Nostri Iesu Christi […], al-᾽Inğīl al-muqaddas li-rabbi-nā Yasū῾ʻ al-Masīḥ […]; la versione bilingue fu riemessa ancora nel 1619 e 1774, con nuovo frontespizio); un Alphabetum Arabicum (1592); due grammatiche (1592: Kitāb al-ağurrūmiyya fī al-naḥq […], Grammatica Arabica […] quae vocatur Giarrumia […]; Kāfiya […], Grammatica arabica dicta Kaphia […]); la Geografia di Idrisī (Kitāb nuzhat al-muštāq […]; De geographia universali […], 1592); il Canone della medicina di Avicenna (Kutub al-qānūn fī al-ṭibb […]; Libri quinque canonis medicinae […], 1593); gli Elementi di Euclide nell’edizione di Nāṣir al-dīn Ṭūsī (Kitāb taḥrīr uṣūl li-Ūqlīdis […]; Euclidis elementorum geometricorum libri tredecim. Ex traditione doctissimi Nasiridini Tusini […], 1594); la Professione di fede tradotta da Eliano in arabo, con testo latino (I῾tiqād al-᾽amāna al-urtūdūksiyya […], Brevis orthodoxae fidei professio […]), già stampata (1566) presso il Collegio Romano. In siriaco, un Missale Chaldaicum secondo il rito maronita (1592-1594). Tali pubblicazioni rappresentano la sommità di un lavoro enorme rimasto inedito e testimoniato dai documenti conservati della stamperia: manoscritti orientali, inventari, lemmari, testi preparatorii, bozze di stampa, diari e così via.
Dopo aver tentato invano di vendere la stamperia al re di Spagna, Raimondi si indebitò acquistandola egli stesso da Ferdinando nel 1596, per 25.000 scudi. L’impresa fu però afflitta anche da disavventure interne, che implicarono varie cause giudiziarie. In questi anni Raimondi condivise la stamperia con il collaboratore libanese Giacomo Luna (Ya῾qūb ibn al-Hilāl), compositore in arabo e siriaco, il quale pubblicò a proprio nome (Typographia Linguarum Externarum apud I. Lunam) alcuni volumi in latino e siriaco. Raimondi partecipò anche all’iniziativa di riforma dei libri corali di canto fermo, voluta da Gregorio XIII (1577). Il progetto editoriale, fondato su un sistema di stampa ideato da Raimondi, fu rallentato da vari fattori, per arrivare solo tra il 1614 e il 1615 alla pubblicazione per i tipi della Medicea, a cura dei musicisti Felice Arnerio e Francesco Soriano, del Graduale de Tempore e Graduale de Sanctis, che Raimondi non vide.
A partire dagli anni Novanta Raimondi fu legato al circolo intellettuale neoplatonico riunito intorno al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote di Clemente VIII e segretario di Stato: ne facevano parte i fratelli Vecchietti, Antonio Quarenghi, Gian Vincenzo Pinelli, Gabriello Chiabrera, Francesco Patrizi e Torquato Tasso. In quanto maestro tipografo, Raimondi faceva parte dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon.
Raimondi si fece in diverse occasioni promotore dell’insegnamento delle lingue orientali, sostenendone il valore nella Roma cosmopolita postconciliare. Una memoria presente tra le sue carte (Biblioteca nazionale di Firenze, Magl. cl. III, 81, cc. 17r-18v; Archivio di Stato di Firenze, Miscellanea Medicea, 719, c. 21) proclama l’importanza dell’insegnamento dell’arabo in Roma: per la comprensione della religione islamica a fini di polemica e conversione per via di parola; per il riavvicinamento alle Chiese cristiane orientali e l’accesso, prima dei protestanti, alle preziose versioni arabe delle Scritture; per il recupero delle scienze antiche e dei progressi scientifici espressi nella tradizione araba. Tale memoria, tramite il cardinale Jacques Davy Du Perron, ambasciatore francese a Roma, dovette raggiungere papa Paolo V, giocando un ruolo nella decisione di erigere una cattedra di arabo alla Sapienza (1605) e nell’emanazione della bolla Apostolicae servitutis onere (1610), in cui si ordinavano gli studi di lingue orientali presso le scuole degli ordini missionari. Contestualmente Raimondi svolse attività come docente di arabo, persiano e altre lingue, in privato (tra gli altri a Bernardino Baldi e Stefano Paolini, suo collaboratore tipografo) e presso il Collegio dei chierici regolari minori, della basilica di S. Lorenzo in Lucina, avendo tra gli allievi Flavio Clementino Amerino e Francesco Martellotto.
Raimondi mostrava anche una competenza e una consapevolezza pionieristiche in Europa riguardo alla lingua persiana, di cui redasse un elogio notevole: egli intendeva produrre e pubblicare dizionari, grammatiche e opere poetiche in questa lingua. Tra i documenti della stamperia si trova la bozza di un ghazal persiano che costituisce il primo esempio noto di testo persiano a stampa in caratteri mobili. Gli interessi persianistici di Raimondi si inserivano nel rinnovato slancio della politica pontificia di alleanza con la Persia safavide in funzione antiottomana, culminante nelle ambasciate persiane a Roma del 1601 e del 1609. Raimondi e i suoi collaboratori, i fratelli Vecchietti, giocarono un ruolo significativo nella tessitura diplomatica (Piemontese, 2007).
Dalla severa crisi finanziaria degli ultimi anni, Raimondi fu salvato dalla decisione di Cosimo II de’ Medici, succeduto al padre, di annullare l’atto di vendita della stamperia (1610): riappropriandosene, lasciò a Raimondi l’incarico di custode a vita, con una pensione di 18 scudi al mese. Quell’anno la Tipografia fu in grado di pubblicare un’ultima opera, la grammatica araba Liber Tasriphi […] (Kitāb al-Taṣrīf […]), dedicata a Paolo V.
Morì il 13 febbraio 1614, nella sua casa sulla salita di S. Giuseppe. Fu seppellito il giorno seguente nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina. Nel testamento (2 febbraio 1614), provveduto alla sorella Lucrezia e al nipote, e inviati alcuni codici copto-arabi alla Biblioteca Vaticana, lasciò erede universale il granduca Cosimo II.
Alla morte di Raimondi, scienziati legati all’Accademia dei Lincei (in particolare Federico Cesi e Antonio Santini), si mobilitarono, coinvolgendo anche Galileo Galilei, per salvare la biblioteca dell’orientalista, che includeva opere di matematica e geometria greca in versione araba: speciale interesse suscitava la presenza di un manoscritto arabo dei libri V-VII delle Coniche di Apollonio, perduti in greco; l’edizione completa di Apollonio fu poi realizzata nel 1661.
Tracce dell’ammirazione per Raimondi come scienziato, linguista, collezionista di codici e tipografo, sono rintracciabili nella corrispondenza e nelle opere di intellettuali italiani ed europei di formazione variegata: dal botanico Fabio Colonna all’astronomo Giuseppe Auria al medico Mario Schipano, napoletani; dal cardinale Federico Borromeo, fondatore della Biblioteca Ambrosiana, a François Savary de Brèves, ambasciatore di Francia a Costantinopoli e Roma (1612-14), che si ispirò alla Medicea per la sua Typographia Savariana; dal matematico inglese Henry Savile all’astronomo francese Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, fino all’arabista olandese Thomas Erpenius e al viaggiatore romano Pietro Della Valle. Il lavoro scientifico e tipografico di Raimondi fu elogiato nel Nord Europa e contribuì alla fondazione degli studi arabistici nel mondo protestante. L’amico Girolamo Lunadoro, maestro di camera del cardinale Aldobrandini, lo ricorda uomo «tutto humiltà, e tutto modestia, et quando ragiona intorno alle scienze, ò di Matematica, ò di Filosofia, ò di Teologia, lo fa con molta cautela, senza detrattione alcuna, con una memoria eterna, profonda, et con una Communicativa felice, accompagnata da un metodo, tanto ben ordinato, e chiaro, che ogni mediocre intelletto, resta capace, di quello che egli dice, ancorche tratti di materie alte, et oscure» (Lunadoro, 1635, p. 63). L’opera compiuta e incompiuta di Raimondi rappresenta un denso crocevia di temi essenziali della storia culturale europea a cavallo tra XVI e XVII secolo, che è ancora in attesa di essere esplorato in tutte le sue implicazioni.
Fonti e Bibl.: La complesse vicende della stamperia dopo la morte di Raimondi ne hanno parzialmente disperso i materiali. Buona parte della documentazione è però oggi a Firenze, tra Biblioteca Laurenziana (fondo Orientale), Biblioteca nazionale (fondi Magliabechi, Mediceo Palatino) e Archivio di Stato (Miscellanea Medicea, ff. 717-722). Codici orientali originali sono anche in Biblioteca apostolica Vaticana, Biblioteca nazionale di Napoli, Biblioteca Marciana di Venezia e Bibliothèque nationale de France a Parigi.
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