POLETTO, Giovanni Battista
POLETTO, Giovanni Battista. – Nacque a Roma il 2 ottobre 1915 da Vittorio, originario di Rovigo, e da Assunta Battistini, di Cesena.
Frequentò le scuole elementari nel quartiere Pinciano, dove era nato, e una volta ottenuta la licenza di scuola media, decise di non proseguire gli studi. Negli anni Trenta si iscrisse a un corso per fotografi d’aviazione organizzato dal ministero dell’Aeronautica. Poco dopo iniziò la carriera di fotografo professionista presso l’Ala Littoria, che lo assunse per effettuare riprese aerofotogrammetriche, ovvero fotografie aeree. Durante la guerra prestò servizio in aeronautica come fotografo di laboratorio. Trasferito a Volta Mantovana, il 31 dicembre 1943, conobbe la diciottenne Paola Panizza, originaria del luogo, con la quale si fidanzò un mese più tardi e che sposò nel 1946. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Donatella (1947), Carlo (1949), Laura (1953) e Alessandra (1958).
Una volta rientrato a Roma con la moglie, Poletto abbandonò la fotografia aerea in favore di quella di reportage, e iniziò a collaborare con alcuni rotocalchi, tra cui i settimanali L’Europeo e Oggi e avviò i primi contatti con il mondo del cinema.
Nel 1949 avvenne l’incontro decisivo per la sua carriera, quello con Roberto Rossellini, che lo volle come fotografo sul set di Stromboli (Terra di Dio). Nel 1950 il produttore Goffredo Lombardo, a capo di una delle maggiori case di produzione dell’epoca, la Titanus, gli offrì un contratto di esclusiva, offerta anomala per i tempi, che lo impegnava a essere il fotografo di scena per tutti i film prodotti dalla casa cinematografica. Per far fronte alla crescente mole di lavoro, Poletto fu costretto ad ampliare notevolmente il numero di dipendenti dell’agenzia – aperta poco prima nel centro di Roma, in via della Mercede 16 – che arrivò a contare 19 impiegati tra fotografi e stampatori.
La figura del fotografo di scena fu considerata a lungo marginale e soltanto nel dopoguerra cominciò a farsi strada all’interno dell’équipe cinematografica, continuando però a godere di poche tutele: ad esempio, l’iscrizione all’ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Lavoratori dello Spettacolo) fu consentita solo diversi anni più tardi. Fu grazie all’AIFC (Associazione Italiana Fotografi di Scena), di cui faceva parte lo stesso Poletto, riconosciuta nel 1956 dall’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive multimediali), che si arrivò a imporre in ogni set la presenza di questa importante figura professionale.
Per ‘G.B.Poletto’ – come era solito firmare le sue foto – la prima metà degli anni Cinquanta fu molto intensa sul piano professionale, con la copertura in media di undici set l’anno. Nel 1951 lavorò due volte con il regista e scrittore Mario Soldati (O.K. Nerone; È l’amor che mi rovina), nel 1952 firmò due episodi de I sette peccati capitali (L’invidia di Rossellini e Avarizia ed ira di Eduardo De Filippo, con il quale lavorò nello stesso anno in Marito e moglie e Ragazze da marito). L’anno successivo fu testimone dell’esordio alla regia di Antonio Pietrangeli con Il sole negli occhi, che fruttò al regista un Nastro d’argento; firmò inoltre le foto di scena di Un marito per Anna Zaccheo di Giuseppe De Santis (con il quale collaborò anche per Uomini e lupi, 1957) e di Viaggio in Italia (1954) di Rossellini, con il quale nel frattempo aveva stretto un rapporto di reciproca stima e amicizia.
Come raccontò lui stesso, assistette all’ultimo saluto della coppia Roberto Rossellini - Ingrid Bergman prima della loro separazione, ma decise di buttar via il rullo delle foto appena scattate, pur sapendo che quelle immagini gli avrebbero garantito ingenti compensi. L’attrice ne apprezzò la discrezione e la sensibilità; onestà intellettuale e serietà caratterizzarono sia la vita lavorativa sia quella affettiva del fotografo.
In quegli anni riprese i set di Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953) e Poveri ma belli (Dino Risi, 1957), fortunate ‘saghe’ delle quali firmò tutti i capitoli successivi. Nel 1953 collaborò con Michelangelo Antonioni per La signora senza camelie, del quale aleggiano nella memoria le foto che ritraggono la giovane protagonista, Lucia Bosé. Nello stesso anno lavorò sul set di Labbra proibite, di Jean-Pierre Melville con Juliette Gréco, e di Siamo donne, film collettivo interpretato da Alida Valli, Ingrid Bergman, Isa Miranda e Anna Magnani, di cui firmò tutti e cinque gli episodi. Nel contempo fu sui set di importanti autori di film di genere: Raffaello Matarazzo, prolifico regista del melodramma italiano (Chi è senza peccato…, 1952; Torna!, 1954), e sul versante della commedia, Camillo Mastrocinque (Attanasio cavallo vanesio, 1953) e Steno (Mio figlio Nerone, 1956), per citare solo alcuni titoli.
Riprese, nel 1954, anche i set di Maddalena di Augusto Genina e di Questi fantasmi di De Filippo. Poletto fu inoltre tra i fotografi che contribuirono a lanciare Sophia Loren come una delle dive principali del cinema italiano: le foto di scena de Il segno di Venere di Risi e quelle promozionali di Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti (entrambi del 1955), sono ancora oggi tra gli scatti più riconoscibili dell’attrice.
L’indirizzo della Titanus di Lombardo – sempre attenta a diversificare la propria offerta, producendo pellicole di Rossellini, Federico Fellini, Luchino Visconti, film ad alto budget in coproduzione francese e statunitense (nel 1961 unì le forze con la major Metro-Goldwyn-Mayer fondando la Titanus-MGM), ma anche commedie all’italiana, melodrammi, film di avventura, peplum – non fu privo di effetti. Questa miscela di film d’autore e pellicole di più largo consumo si riverberò sull’opera di Poletto e rappresentò una costante nel suo lavoro, specialmente nella seconda parte della sua carriera.
Dalla metà degli anni Sessanta fotografò sovente i ‘musicarelli’, commedie musicali di enorme successo popolare che avevano per protagonisti i più famosi cantanti pop dell’epoca (tra questi Non son degno di te di Ettore Maria Fizzarotti e Non stuzzicate la zanzara di Lina Wertmüller, rispettivamente del 1965 e del 1967).
Nel suo percorso professionale incontrò anche Alberto Lattuada, con il quale collaborò nel 1954 per Scuola elementare e per La spiaggia. Il rapporto con il regista milanese proseguì nel 1960 con Lettere di una novizia e I dolci inganni. Protagonista di quest’ultimo film fu Catherine Spaak, nel ruolo di un’adolescente innamorata di un uomo molto più grande di lei; il film fece scalpore e fu sottoposto a una lunghissima odissea censoria sino al 1964, quando Lattuada e il produttore Lombardo furono prosciolti dall’accusa di oscenità.
In una delle poche interviste rilasciate, Poletto sottolineò come in Italia, a differenza di quanto accadeva nel cinema americano, il fotografo fosse chiamato a ricoprire contemporaneamente più ruoli: per produrre il materiale promozionale del film (buste per la stampa, locandine) doveva riprendere fedelmente ciò che era stato girato dalla macchina da presa, conservandone l’angolo di osservazione, e al contempo doveva «documentare la nascita del film riprendendo il regista, gli attori, i tecnici al lavoro o nei momenti di pausa» (Intervista a Giovanni Battista Poletto, 1985, p. 49). La ‘fotografia di scena’, per come la si intendeva comunemente, costituiva dunque solo una parte del lavoro complessivo del fotografo, non includendo la meno citata ‘fotografia di set’ che gli lasciava maggior libertà espressiva e che si dissociava «dall’idea di cinema come macchina produttrice di illusioni» svelandone ‘l’artificio’ (Di Marino, 2009, p. 161). Se inizialmente il set, quale luogo precipuo della creazione cinematografica, non venne attraversato dall’occhio del fotografo, in un secondo momento si iniziò a mostrare lo spazio nel quale si realizzava fisicamente l’opera per accrescerne ulteriormente il fascino e il potere di seduzione. Sono famose le immagini a colori di Giulietta degli spiriti (Fellini, 1965), dove Poletto, allargando l’inquadratura, mostra il ‘trucco’ celato dalla macchina da presa: la gru che sostiene l’altalena su cui volteggia Sandra Milo.
Realizzò anche foto di set di vario genere (immagini di tournage, scatti che documentano la strumentazione tecnica ecc.), ma è chiaro che il suo sguardo fu rivolto principalmente – e non soltanto per evidenti fini pubblicitari – agli attori, ai registi e al rapporto che nasceva tra loro durante le riprese.
Poletto stesso raccontò come i due maestri Luchino Visconti e Fellini sul set si rapportassero con lui in maniera totalmente differente: quanto l’uno era incline a concedergli tutto lo spazio e il tempo necessari per realizzare le foto, tanto l’altro era infastidito anche dal solo ‘clic’ della macchina (nonostante l’invenzione del ‘blimp’ avesse attutito notevolmente il rumore dello scatto).
Con il regista riminese lavorò anche ne Il bidone (1955), con Richard Basehart e Broderick Crawford, e in Roma (1972), racconto autobiografico nel quale appaiono Gore Vidal e Anna Magnani, nella sua ultima apparizione cinematografica. Non è un caso che le sue immagini siano state selezionate in occasione di una mostra dedicata all’attrice (15 fotografi per Anna Magnani, Palazzo Valentini, Roma 2008).
Più intenso fu il rapporto instaurato con Visconti: da Siamo donne a Rocco e i suoi fratelli (1960) – in cui però il nome di Poletto non compare nei credits – fino al capolavoro Il gattopardo (1963), summa della sua carriera professionale. Proprio su questo set particolarmente lungo e impegnativo scelse di portare con sé la famiglia, benché solitamente tenesse separati il lavoro dal mondo degli affetti.
Le foto della lavorazione del film sono state esposte in occasione di un’importante mostra organizzata per celebrare il cinquantenario della pellicola (C’era una volta in Sicilia. I 50 anni del Gattopardo, Palazzo dei Normanni, Palermo 2013).
Il 1963 fu un anno di transizione: la Titanus, a causa degli ingentissimi costi di lavorazione di Sodoma e Gomorra (1962) di Robert Aldrich e del Gattopardo stesso, fallì come casa di produzione continuando a occuparsi solo di distribuzione. Si concluse dunque la fase più importante della carriera di Poletto, coincisa con il periodo di massimo splendore del cinema italiano, durante la quale ebbe modo di fotografare opere di autori quali Francesco Maselli (Gli sbandati, 1955), Mario Monicelli (Un eroe dei nostri tempi, 1955; Risate di gioia, 1960), Vittorio De Sica (Il tetto, 1956), Valerio Zurlini (Estate violenta, 1959; La ragazza con la valigia, 1961; Cronaca familiare, 1962), Nanni Loy (Audace colpo dei soliti ignoti, 1959; Le quattro giornate di Napoli, 1962), Francesco Rosi (I magliari, 1959), Elio Petri (L’assassino, 1961; I giorni contati, 1962), Ermanno Olmi (Il posto, 1961), Dino Risi (Operazione San Gennaro, 1966).
Il suo percorso professionale sembrò per certi versi seguire le sorti della fotografia di scena: conobbe il suo periodo di massima fioritura negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta e il suo progressivo declino tra la fine dei Sessanta e i primi anni Settanta, con la crescente fortuna della televisione e la conseguente diminuzione dei budget per il cinema.
Al contrario, l’attività del suo laboratorio di stampa continuò a essere intensa permettendogli spesso di assecondare la sua naturale inventiva: nel 1968 gli fu richiesta una gigantografia a scopo pubblicitario per C’era una volta il west (di Sergio Leone) e, per realizzarla, dopo una meticolosa preparazione come era nel suo stile, creò un ingranditore speciale; del resto più volte aveva espresso il dispiacere per non aver seguito le orme di suo nonno materno, inventore di macchinari.
Nella seconda fase della sua carriera riprese ancora film di genere (musicarelli in primis), ma documentò anche i set di alcune opere significative come Io la conoscevo bene (1965) di Pietrangeli, I lunghi giorni della vendetta (1967) di Florestano Vancini, Romeo e Giulietta (1968) di Franco Zeffirelli, La prima notte di quiete (1972) di Zurlini.
L’ultimo film per il quale lavorò fu Pane e cioccolata (1973) di Franco Brusati, interpretato da Nino Manfredi, suo caro amico. Sino alla fine continuò a dedicarsi a tempo pieno al suo laboratorio fotografico, in cui dal 1966 aveva iniziato a lavorare anche sua figlia Donatella.
Morì a Roma il 5 gennaio 1988.
Fonti e Bibl.: Per indicazioni sulle foto si vedano http://titanus.museodelcinema.it e http:// www. fotoafe.it/intro.cfm. C. Biarese, Intervista a G.B. P., in Segnocinema, V (1985), 16, pp. 49 s.; E. Bruscolini, Fotografi sul set, in Fotografi sul set: 100 anni di fuori scena del cinema italiano, a cura di E. Bruscolini, Venezia 1996, pp. 8 s.; P. Bertetto, Immagini sul set, ibid., pp. 11 s.; Fotografi di scena del cinema italiano: G.B. P., a cura di A. Maraldi, Cesena 2000, pp. 7, 15, 69; B. Di Marino, Pose in movimento. Fotografia e cinema, Torino 2009, pp. 158-161; G. D’Autilia, Storia della fotografia in Italia dal 1839 ad oggi, Torino 2012, p. 245.