PIRANESI, Giovanni Battista
PIRANESI, Giovanni Battista (Giambattista). – Nacque il 4 ottobre 1720 a Venezia da Angelo e da Laura Lucchesi. Venne battezzato l’8 novembre nella parrocchia di S. Moisè. Il padre, tagliapietre e capomastro, e il fratello della madre, Matteo Lucchesi, architetto impiegato presso il magistrato delle Acque, lo indirizzarono agli studi di architettura, insieme all’architetto e ingegnere Giovanni Antonio Scalfarotto, e al più giovane Tommaso Temanza, con cui rimase in rapporto per tutta la vita. Studiò inoltre latino con il fratello Angelo, frate certosino, che gli trasmise la duratura passione per Tito Livio. Frequentò forse lo studio dell’incisore Carlo Zucchi.
Nel 1740, ansioso di uscire dai ristretti ambiti professionali a cui lo indirizzava l’ambiente familiare, riuscì a essere nominato «disegnatore» al seguito del nuovo ambasciatore della Serenissima a Roma, Francesco Venier, e, partendo il 9 settembre, arrivò a Roma entro il mese, installandosi probabilmente a palazzo Venezia.
A Roma entrò subito in contatto con i pensionnaires dell’Accademia di Francia e con il pittore vedutista Giovanni Paolo Pannini, docente di prospettiva dell’Accademia. Il primo biografo di Piranesi, Jacques-Guillaume Legrand, ricorda il suo apprendistato presso i pittori-scenografi Domenico e Giuseppe Valeriani, con Giuseppe Vasi e con Giovanni Battista Nolli, impegnato nella realizzazione della Nuova Pianta di Roma, nello studio della topografia antica dell’Urbe anche attraverso i frammenti della Forma urbis severiana. Piranesi strinse inoltre amicizia con lo scultore Antonio Corradini, con cui, intorno al 1743, si recò a Napoli con l’intento di studiare la pittura barocca e visitare gli scavi di Ercolano. Impegnato nello studio sistematico delle antichità romane, nel 1741 appose firma e data sulla volta di un criptoportico di villa Adriana presso Tivoli, luogo che in seguito si sarebbe rivelato fondamentale per la sua maturazione dell’idea di magnificenza dell’architettura romana (il rilievo analitico della villa fu la sua ultima opera, pubblicata postuma dal figlio Francesco nel 1781; v. la voce in questo Dizionario).
Intorno al 1742 frequentò, forse solo brevemente, lo studio di Giuseppe Vasi, approfondendo la conoscenza delle tecniche dell’acquaforte; la sua eventuale collaborazione alle piccole tavole della raccolta intitolata Vedute di Roma sul Tevere non è al momento ancora precisabile. Il breve periodo di apprendistato presso Vasi è già ricordato in una lettera a Giovanni Gaetano Bottari da Napoli del 1748 (Hyde Minor, 2001, p. 419) e da Gori Gandellini (III, 1771, p. 61), per essere poi travisato da Bianconi (1779) nell’aneddoto che lo avrebbe voluto, divenuto più esperto del maestro e suo acerrimo nemico, attentare alla sua vita.
Nel 1743 pubblicò presso i fratelli Pagliarini la Prima parte di architetture e prospettive inventate ed incise da Gio. Batta Piranesi architetto veneziano, raccolta di dodici tavole, con frontespizio, titoli delle incisioni e pagina tipografica con una lettera di dedica al colto capomastro-imprenditore Nicola Giobbe, nella cui ricca biblioteca dichiarava di aver potuto studiare, e attraverso cui entrò in contatto con Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli. L’opera conobbe un certo successo e venne più volte ristampata, con varianti e aggiunte, negli anni successivi, fino all’inclusione delle tavole nelle Opere varie (1750).
Altre opere di questi anni di formazione furono l’incisione, con Carlo Nolli, della riduzione in piccolo della Pianta di Roma di Nolli, datata 1748, ma eseguita probabilmente nel 1743; la tavola con la Real villa dell’Ambrogiana inclusa nella raccolta di Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana di Giuseppe Zocchi, pubblicata nel 1744; le parti decorative e vedutistiche delle tavole incise da Carlo Nolli con la Pianta del corso del Tevere degli ingegneri bolognesi Andrea Chiesa e Bernardo Gambarini, pubblicata dalla Calcografia Camerale nel 1746. Iniziò quindi a eseguire lastre di piccolo formato, incise fino al 1747 circa, inserite nelle Varie vedute di Roma antica e moderna, disegnate e intagliate da celebri autori, pubblicate nel 1745 da Fausto Amidei e poi più volte riproposte negli anni seguenti con titoli e da editori diversi.
Tramite il colto oratoriano Giuseppe Bianchini entrò in contatto con Giovanni Gaetano Bottari, bibliotecario della famiglia Corsini, con cui strinse un duraturo rapporto intellettuale, e con Anton Francesco Gori, attraverso cui, nel 1744, cercò di ottenere un incarico come incisore di traduzione a Firenze. Pressato da difficoltà economiche, e senza aver ottenuto particolari riconoscimenti e incarichi, rientrò a Venezia, dove si trattenne forse solo pochi mesi dalla fine di maggio del 1744. Tornato a Roma, venne accolto in Arcadia con il nome pastorale di Salcindio Tiseio. Tra l’agosto 1745 e il settembre 1747 tornò nuovamente a Venezia, impegnato in lavori di rilievo (ponte di Rialto), di decorazione (con lo scultore Giovanni Maria Morlaiter, e forse con Tiepolo), di incisione (probabilmente per l’edizione dei Quattro libri di Palladio curata da Giorgio Fossati). Iniziò l’ideazione delle quattro tavole dei Grotteschi (stampate in proprio a Roma, dal 1747-48) e la serie delle quattordici tavole di Carceri, poi pubblicate da Giovanni Bouchard, a Roma, nel 1747-48. A Venezia strinse rapporti commerciali con l’incisore e mercante di stampe Giuseppe Wagner, che gli affidò stampe da vendere a Roma. Tornato nell’Urbe, aprì una bottega in via del Corso di fronte all’Accademia di Francia, dove iniziò a pubblicare le prime dodici tavole di grande formato, precedute da due tavole con titolo e frontespizio, delle Vedute di Roma, primo nucleo (peraltro ancora di datazione incerta, forse da anticipare al 1745; R. Battaglia, in The Serpented the Stylus, 2006, pp. 93-119) della serie destinata ad arricchirsi, per un numero totale di 135, fino alla sua morte.
L’attività di formazione di Piranesi tra Venezia e Roma si prolungò dalla fine degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta attraverso una serie di esperienze professionali disparate: l’ambiente familiare lo aveva messo in contatto con cantieri architettonici e con le magistrature della Repubblica preposte alle grandi opere pubbliche territoriali, entro cui si andavano elaborando nuove sensibilità tra ricerca scientifica e antiquaria; Legrand ricorda quindi gli interessi per la decorazione, la pittura, la scenografia teatrale e l’incisione, che poi Piranesi avrebbe perseguito, con lo studio della prospettiva e dell’antico, nei primi anni romani, in cui si collocano anche i viaggi a Napoli e quei contatti con eruditi e studiosi che avrebbero segnato in modo duraturo tutta la sua maturità.
Dalla metà degli anni Quaranta, dunque, Piranesi iniziò a incidere le grandi Vedute di Roma, serie che avrebbe continuato ad arricchire includendovi anche tavole con monumenti esterni alla città (via Appia, Tivoli, Benevento) e che, con le Carceri, rappresenta l’opera più celebre, diffusa, e anche remunerativa di tutta la sua produzione. Il grande formato delle tavole, il taglio sempre originale e prospetticamente accattivante delle composizioni, la scelta mai scontata dei soggetti, si imposero subito nel panorama romano, italiano e internazionale.
Nel 1748 per interessamento di Bottari ottenne l’incarico di incidere, per il volume celebrativo Narrazione delle solenni reali feste fatte celebrare in Napoli […] per la nascita del suo primogenito Filippo real principe delle Due Sicilie, una tavola con la Cuccagna. La prova di stampa fu però rifiutata e la lastra interamente rilavorata da Giuseppe Vasi (Hyde Minor, 2001). Nell’ottobre dello stesso anno pubblicò le Antichità romane de’ tempi della Repubblica e de’ primi imperatori, disegnate ed incise da Giambattista Piranesi architetto veneziano, con l’indicazione «presso l’autore dirimpetto l’Academia di Franzia» (ristampata nel 1765, con alcune modifiche, con il titolo Alcune vedute di archi trionfali ed altri monumenti innalzati da’ romani). La raccolta comprende ventisei tavole, più cinque tavole con titolo, indici e dedica a Bottari. Probabilmente in questo anno, o in quello successivo, incise la grande composizione su due lastre, mai tirate, a cui è stato assegnato il titolo di Caduta di Fetonte, il cui complesso soggetto allegorico resta di difficile decifrazione.
Nel 1749 si interessò al tema del Concorso Clementino di architettura bandito dall’Accademia di S. Luca, iniziando l’ideazione della tavola intitolata Pianta di ampio magnifico Collegio, poi pubblicata nelle Opere varie l’anno seguente. Tra il 1749 e il 1750 l’editore Giovanni Bouchard pubblicò la prima edizione delle Invenzioni capric di carceri all’acqua forte datte in luce da Giovani Buzard in Roma mercante al Corso, con tavola con il titolo e tredici incisioni. Incluse nelle Opere varie (1750) e nelle Magnificenze di Roma (1751), le lastre vennero riedite più volte, e, con tavole aggiunte e lastre fortemente rilavorate, intorno al 1761 con il titolo Carceri d’invenzione.
Le Carceri.costituiscono una delle opere più celebri e fortunate di Piranesi. Riprendendo un tema diffuso nell’illustrazione e nella scenografia barocche, e già proposto da Piranesi con richiami a Juvarra nella Prima parte, l’artista ne accentuava i rimandi alla romanità, ma anche il carattere orrido e inquietante. Sarebbe stato però soprattutto attraverso le successive edizioni, con la profonda rilavorazione delle matrici, che le tavole avrebbero acquistato quel carattere onirico e spaventoso che ne avrebbe decretato il successo in età romantica.
Nel 1750 pubblicò presso Bouchard le Opere varie di architettura, prospettive, grotteschi, antichità sul gusto degli antichi romani, inventate ed incise da Gio. Piranesi architetto veneziano: miscellanea che raccoglieva, con lunghe didascalie esplicative, le tavole della Prima parte, i quattro Grotteschi, la Pianta di ampio magnifico Collegio, la Parte di ampio magnifico Porto, le Carceri. Al volume veniva acclusa l’acquaforte di Felice Polanzani con il ritratto dell’artista, datata 1750; con l’aggiunta di nuove tavole, venne riedita in proprio nella prima metà degli anni Sessanta.
Tra il 1750 e il 1752 pubblicò la raccolta intitolata Camere sepolcrali degli antichi romani, le quali esistono dentro e fuori di Roma, con frontespizio, cinque tavole in parte rilavorate dai rami incisi da Girolamo de Rossi su disegno di Antonio Buonamici per il volume di Francesco Bianchini Camere ed iscrizioni sepulcrali de’ liberti, servi ed ufficiali della casa di Augusto (1727), e altre tavole (in numero variabile in esemplari diversi) dedicate ad altri complessi sepolcrali, poi tutte riedite nel II e III volume delle Antichità romane (1756).
Con queste opere a carattere più specificamente antiquario Piranesi affiancava a una produzione sempre più numerosa e diffusa di Vedute di Roma – e più inventiva, onirica, rocaille (Grotteschi; Carceri), o evocativa e utopica nella creazione di strutture di inusitata grandiosità (tavole con il collegio e il porto) – le prime riflessioni sulla civiltà romana attraverso lo studio sistematico ed erudito dei monumenti e della topografia antica dell’Urbe. L’artista si avvalse anche di rilievi e schedature di altri, e sicuramente della collaborazione di letterati ed eruditi che in seguito lo avrebbero affiancato nella redazione dei lunghi e articolati testi delle sue opere più impegnative.
Nel 1751 entrò in contatto con il gentiluomo irlandese James Caulfeild, lord Charlemont, che gli assicurò il finanziamento per pubblicare una versione ampliata delle Camere sepolcrali da intitolarsi Monumenta sepulcralia antiqua. Tornato Charlemont in Irlanda, i rapporti tra i due, resi complicati dalle ambiguità di intermediari, divennero però sempre più tesi. Alle pressanti richieste di Piranesi di tener fede alla promessa di finanziare la pubblicazione, nel frattempo cresciuta nei quattro volumi delle Antichità romane, Charlemont faceva giungere risposte evasive. Nel 1756 uscirono Le Antichità romane opera di Giambattista Piranesi architetto veneziano… (Roma, stamperia di Angelo Rotili, in vendita da Bouchard e Gravier librai al Corso), in quattro volumi con un totale di 252 tavole, alcune delle quali aggiunte nell’edizione definitiva del 1757. I problemi insorti con Charlemont portarono alla sostituzione dei frontespizi, con dedica ai posteri e l’aggiunta della formula «utilitate publicae». Piranesi accluse le lettere inviate a Charlemont, poi ripubblicate, con corredo di vignette irriverenti e satiriche, con il titolo Lettere di giustificazione scritte a milord Charlemont e a’ di lui agenti di Roma dal signor Piranesi socio della Real Società degli antiquari di Londra intorno la dedica della sua opera delle antichità di Roma, fatta allo stesso signor ed ultimamente soppressa, opera uscita nel febbraio 1758, ma con la data 1757. Per interessamento di Bottari, il testo fu composto e tirato a Firenze in cinquecento copie, completato quindi a Roma con l’aggiunta di una tavola con cornice allegorica in cui fu inserito a penna il nome dei vari personaggi cui il libello venne inviato in dono.
La vicenda Charlemont suscitò scandalo ed ebbe strascichi giudiziari, ma contribuì alla celebrità dell’artista e alla sua fama di genio vulcanico e fiero. Attraverso l’esperienza del mancato finanziamento, Piranesi elaborò una nuova e coerente concezione etica del ruolo dell’artista nella società: divenne paladino di una totale indipendenza dell’intellettuale dai meccanismi consolidati del mecenatismo. L’artista, postulava Piranesi, deve poter creare le sue opere per un mercato libero, rifiutando ogni condizionamento insito nei meccanismi della committenza aristocratica e rivendicando un ruolo sociale e imprenditoriale che avrebbe raggiunto piena maturazione nel secolo successivo.
Dalla fine degli anni Quaranta iniziò a diventare figura di riferimento nella numerosa comunità internazionale presente a Roma, legata al fenomeno del grand tour. Strinse amicizia con il gentiluomo inglese Thomas Hollis, in Italia nel 1751-53, fervente repubblicano, appassionato d’arte e mecenate, che fu tra coloro che lo avebbero iniziato alla massoneria, contribuendo a consolidarne la fama e a diffonderne le opere; nel 1757, su presentazione di Hollis, venne eletto membro onorario della Society of antiquaries di Londra. Tra i numerosi legami di colleganza e amicizia, si ricordano quelli con l’architetto scozzese Robert Adam, a Roma nel 1755-57 (a cui Piranesi dedicò nel 1762 il Campo Marzio dell’antica Roma e per il quale incise due tavole con la decorazione degli interni della Syon House di Londra, inclusi nel 1778-79 nel secondo tomo di The works in architecture of Robert and James Adam), l’architetto Robert Mylne, confratello massone, per il quale incise nel 1764 la tavola con il ponte di Blackfriars in costruzione su suo progetto a Londra, l’architetto William Chambers, il pittore Thomas Jones. Tra gli artisti francesi, cui fu legato, Charles-Louis Clérisseau, Jean-Laurent Legeay, Jacques Gondoin, Charles de Wailly, Pierre-Louis Moreau-Desproux, Pierre-Adrien Pâris.
Nel 1753 sposò Angela Pasquini (Archivio storico del Vicariato di Roma [da ora in poi AsVR], S. Maria in Trastevere, Matrimonia, vol. 6, c. 6v), figlia del giardiniere di palazzo Corsini. Legrand asserisce che con la dote di 300 scudi acquistò rame e carta per proseguire le Vedute di Roma.
Nel 1754 nacque la primogenita Laura (AsVR, S. Francesco ai Monti, Battesimi, vol. 5, p. 250), avviata alla pratica dell’incisione, e quindi i figli Francesco (intorno al 1758), che sarebbe diventato suo stretto collaboratore portando avanti l’attività dopo la sua morte; Faustina (1761; padrino e madrina furono il nipote di Clemente XIII, Ludovico Rezzonico, e sua moglie Faustina); Angelo (1763); Anna Maria (1766); Pietro (1768), che affiancò il fratello maggiore Francesco nell’attività della calcografia dopo la morte del padre (AsVR, S. Andrea delle Fratte, Battesimi, vol. 7, cc. 30v, 53v, 75v, 105v).
Poco è noto della vita privata di Piranesi, ricordato da diverse testimonianze come marito geloso e capofamiglia dispotico, irascibile e violento, sfruttatore del lavoro dei figli, coinvolti nell’officina calcografica fin dalla più tenera età, e con loro in perenne, duro contrasto.
Nel 1753 Giovanni Bouchard pubblicò i Trofei di Ottaviano Augusto innalzati per la Vittoria ad Actium e conquista dell’Egitto con vari altri ornamenti diligentemente ricavati dagli avanzi più preziosi delle fabbriche antiche di Roma, utili a pittori, scultori ed architetti, disegnati ed incisi da Giambattista Piranesi architetto veneziano, comprendente dieci tavole di cui una di titolo.
Con l’elezione al soglio pontificio, il 6 luglio 1758, del veneziano, Clemente XIII (nato Carlo della Torre di Rezzonico), Piranesi poté contare su un mecenate d’eccezione, che negli anni seguenti avrebbe promosso in maniera decisiva, insieme ai nipoti, la pubblicazione delle sue opere e la sua attività di architetto e decoratore.
Nel 1761 trasferì residenza, laboratorio e vendita a palazzo Tomati in strada Felice (attuale n. 48 di via Sistina), dove risiedette con la famiglia fino alla morte. Da questo momento iniziò a curare la vendita in proprio, firmando le incisioni «presso l’autore nel palazzo Tomati», interrompendo i rapporti con l’editore-libraio Giovanni Bouchard e pubblicando, con regolari aggiornamenti, una elegante tavola-catalogo figurata con i titoli delle incisioni e il loro prezzo, regolarmente aggiornata fino alla morte, di cui si conoscono a tutt’oggi circa trenta esemplari.
Nel 1761 pubblicò Della magnificenza ed architettura de’ romani, composto da duecentododici pagine di testo in italiano e latino e trentotto tavole, incluso il ritratto di Clemente XIII inciso da Piranesi da un originale di Anton Raphael Mengs.
Il volume segna un’ulteriore tappa nell’opera di Piranesi: il testo, sicuramente redatto a più mani, è un proclama polemico della superiorità della civiltà romana, di cui si negano gli aspetti derivativi dalla Grecia; le tavole riproducono le grandi opere pubbliche dell’antichità a esaltazione delle straordinarie capacità tecniche e dell’esuberanza creativa dell’architettura romana, opposte alla semplice uniformità di quella greca. In un’Europa che andava riscoprendo la purezza del linguaggio architettonico greco, la reazione polemica di Piranesi suscitò scalpore. In The antiquities of Athens (London 1762, p. VII), James Stuart e Nicholas Revett polemizzarono con il «Signor Piranesi, a very excellent Italian artist», propugnando una vera e propria divisione tra fautori dell’architettura greca e romana, come ripreso da William Chambers nelle conferenze tenute alla Royal Academy nel 1768-70. Nel 1764 Pierre-Jean Mariette pubblicò nella Gazette littéraire de l’Europe una Lettre in cui censurava le posizioni sostenute nel Della magnificenza; Piranesi replicò nel 1765 con le Osservazioni di Gio. Battista Piranesi sopra la lettre de M. Mariette aux auteurs de la Gazette littéraire de l’Europe… (Roma, a spese di Generoso Salomoni). Il volume comprendeva dieci tavole, inclusi frontespizio e vignette. Il testo include, oltre alla Lettre di Mariette con il polemico commento di Piranesi, il dialogo intitolato Parere su l’architettura, uno dei più originali e fortunati testi di teoria architettonica del Settecento, e il breve trattato Della introduzione e del progresso delle belle arti in Europa ne’ tempi antichi. Dopo il 1767, una nuova edizione incluse sei nuove tavole con prospetti liberamente composti con elementi all’antica.
Con dedica a Clemente XIII Piranesi pubblicò nel 1761 Le rovine del Castello dell’Acqua Giulia, composto da ventisei pagine di testo, diciannove tavole e un’appendice. Nel 1762 pubblicò i Lapides Capitolini sive Fasti consulares triumphalesque Romanorum ab Urbe condita usque ad Tiberium Caesarem, grande tavola con quattro pagine di testo, saggio di quarantasei pagine sui Fasti consulares Romanorum, indice alfabetico in quattordici pagine dei consoli dalla fondazione di Roma al regno di Tiberio, e due tavole con il titolo e la dedica a Clemente XIII; la Descrizione e disegno dell’emissario del Lago Albano, con dieci tavole e venti pagine di testo, più un’appendice intitolata Di due spelonche ornate dagli antichi alla riva del Lago Albano, riedita nel 1764 nelle Antichità d’Albano e di Castel Gandolfo, con ventotto pagine di testo, ventisei tavole, due tavole con titolo e dedica. Sempre nel 1764 pubblicò le Antichità di Cora, con quindici pagine di testo, una tavola con il titolo e dieci tavole architettoniche.
Eletto accademico onorario di S. Luca nel 1761, e cavaliere dello Speron d’oro nel 1766, i Rezzonico ne promossero l’attività architettonica. Nel 1761 fu incaricato dello studio dei restauri all’interno del Pantheon, che gli sarebbe costato il raffreddamento dei rapporti con Bottari; nel 1763 gli furono commissionati il progetto della sistemazione del piedistallo della colonna Antonina in piazza Montecitorio con una statua della Giustizia e la nuova tribuna di S. Giovanni in Laterano (le proposte progettuali sono note attraverso disegni di studio e grandi tavole acquarellate di presentazione donate a monsignor Giovanni Battista Rezzonico nel 1767, quando ormai era svanita ogni possibilità di aprire il cantiere). Nel 1764 monsignor Rezzonico, gran priore di Malta, lo incaricò della trasformazione della piccola chiesa di S. Maria all’Aventino e della piazza antistante. Il cantiere si concluse nell’ottobre 1766. Sempre per i Rezzonico, Piranesi decorò gli appartamenti al Quirinale e a Castel Gandolfo (1767) di monsignor Giovanni Battista, e quello in Campidoglio del senatore Abbondio (1768-69), disegnando soffitti, suppellettili, mobili, camini, di cui alcuni riprodotti in due tavole del Delle diverse maniere di adornare i cammini. Altri lavori di decorazione di interni gli vennero commissionati per il caffè degli Inglesi presso piazza di Spagna (1765-67 circa), riprodotto parzialmente in due incisioni nel Delle diverse maniere di adornare i cammini, dalla marchesa Margherita Gentili Sparapani Boccapaduli (1769-73 circa), dal bali De Breteuil (1773-74 circa).
L’attività architettonica di Piranesi fu concentrata in pochi anni. I diversi progetti per S. Giovanni in Laterano si confrontano con l’interno borrominiano, la sua struttura, i suoi materiali e il suo cromatismo, rielaborando al contempo motivi palladiani in una forte complessità strutturale, decorativa e iconologica. La piccola chiesa del Priorato, di fatto l’unica realizzazione di Piranesi, completata con l’originale sistemazione della piazza antistante, riprese ecletticamente motivi rinascimentali e barocchi, in un insieme che, per la novità dei dettagli liberamente assemblati, alludendo anche all’uso di spolia in età tardoantica e alla lezione borrominiana, suscitò inizialmente incomprensioni, pur avendo esiti profondi nella cultura del secondo Settecento europeo.
L’attività di decorazione di interni, di cui restano alcuni mobili, vasi e cornici di camini, fu ispirata ecletticamente alla creatività egizia, etrusca, romana, cinese; le composizioni esaltavano le possibilità combinatorie di elementi eterogenei, in un furor creativo che in alcuni aspetti celava un’ironia corrosiva. Attraverso la commercializzazione di oggetti e arredi, Piranesi riforniva un mercato in piena espansione, tanto che nel 1770 il pittore Vincenzo Brenna rilevava la vastità dell’impegno produttivo («Piranesi ha fatto una raccolta così grande di marmi, che oltre avere riempito tutta la sua casa ha preso moltissime botteghe nella sua strada che sono anche piene, e per tutto si lavora e tiene da trenta persone il giorno a lavorare li suoi marmi, ha guasi lasciato da incidere, e si è buttato a traficare di marmi antichi»; Londra, British Museum, Townley Archive, 7/1038). Numerose altre testimonianze riportano l’intensa attività di Piranesi nel lucroso commercio di camini e oggetti decorativi, spesso riassemblati a partire da frammenti antichi autentici.
Nel 1762 pubblicò Il Campo Marzio dell’antica Roma, con trentaquattro pagine di testo in italiano e latino, indici, e quarantuno tavole, compresa la grande Ichnographiam Campi Martii con dedica a Robert Adam.
La principale opera di topografia antica elaborò polemicamente, attraverso un linguaggio grafico desunto dal rilievo scientifico di Nolli e l’analisi e interpretazione di fonti e della letteratura antiquaria cinque-secentesca, una visione grandiosa, onirica e fantasiosa, del nucleo monumentale dell’Urbe.
Nel 1764 Piranesi acquistò da Francesco Bartolozzi dodici rami, già pubblicati nel 1762, con riproduzioni di disegni del Guercino; vi aggiunse un frontespizio, due tavole con disegni di Guercino di sua proprietà, e altre tavole incise da Giovanni Ottaviani e Jacques Nevay, pubblicando la serie, inizialmente di sedici tavole, incrementate fino a ventotto nelle edizioni successive, con il titolo Raccolta di alcuni disegni del Barberi da Cento detto il Guercino… nella stamperia di Generoso Salomoni, con dedica a Thomas Jenkins.
Nel 1769 pubblicò Delle diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi desunte dall’architettura egizia, etrusca e greca con un ragionamento apologetico in difesa dell’architettura egizia e toscana, opera del cavaliere Giambattista Piranesi architetto… (Roma, nella stamperia di Generoso Salomoni, con dedica a monsignor Giovanni Battista Rezzonico). Il volume è composto di sessantasette tavole con un testo di trentacinque pagine intitolato Ragionamento apologetico in difesa dell’architettura egizia e toscana, edito in italiano, francese e inglese. A quest’opera si collegano le incisioni di oggetti d’arredo antichi e d’invenzione, pubblicate sciolte a partire dai primi anni Settanta, poi raccolte in due volumi dal figlio Francesco nel 1778 con il titolo Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne ed ornamenti antichi, disegn. ed inc. dal cav. Gio. Batta Piranesi (centododici tavole, di cui otto firmate da Francesco; una su disegno di Vincenzo Brenna).
Il titolo originale del Ragionamento, riportato nel disegno preparatorio del frontespizio (Berlino, Kunstbibliothek, Hdz.6302: M. Fischer, in Italienische Zeichnungen..., 1975, p. 172, scheda 871), lascia intendere un diverso programma iniziale: Dell’Etruria inventrice delle scienze e dell’arti, poi precisato, nello stesso disegno, in Dell’origine delle belle arti che coltiviamo indoverosamente attribuita agli egiziani ed ai greci, o sia dell’Etruria inventrice delle scienze e delle arti.
Le Diverse maniere, le cui tavole sciolte circolavano già da alcuni anni, testimoniano di un ulteriore ampliamento degli interessi di Piranesi e della sua inesauribile creatività. Il testo, probabilmente elaborato con la collaborazione di diversi eruditi (tra cui sicuramente i padri Contucci e Oderico del Collegio romano), ribadisce il ruolo delle civiltà egizia ed etrusca per la formazione dei caratteri più creativi e tecnicamente impegnativi dell’architettura romana. Le tavole, con la riproduzione di camini, mobili, oggetti, carrozze, cornici, rappresentano uno dei vertici della più libera inventiva dell’artista, esercitando per decenni, insieme agli oggetti presentati nei Vasi, candelabri, cippi…, un’influenza profonda sul gusto neoclassico europeo.
Nel 1773 pubblicò la Pianta di Roma e del Campo Marzio, composta da tre matrici, dedicata a Clemente XIV, intesa come tavola finale e indice delle Vedute di Roma, con cui veniva spesso venduta e rilegata. Nel 1774 pubblicò Trofeo o sia Magnifica Colonna Coclide di marmo composta di grossi macigni, ove si veggono scolpite le due guerre daciche fatte da Trajano, inalzata nel mezzo del Gran Foro…, che riproduce in ventuno tavole la colonna Traiana, con dedica a Clemente XIV. Con il medesimo titolo, al volume vennero aggiunte a partire dal 1775 le due serie dedicate alla Colonna Antonina e alla Colonna in memoria dell’apoteosi di Antonino e Faustina (complessive nove tavole). Nel 1775 visitò Pompei, accompagnato dal figlio Francesco, che avrebbe utilizzato i numerosi disegni eseguiti sul luogo per l’opera Les antiquités de la Grande Grèce, pubblicata a Parigi nel 1804-07. Probabilmente nella seconda metà del 1777, sempre insieme al figlio Francesco e all’architetto Benedetto Mori, visitò le rovine di Paestum, eseguendo quindi una serie di tavole che sarebbero state pubblicate dopo la sua morte nel 1778, con il titolo Différentes vues de quelques restes de trois grands édifices, qui subsistent encore dans le milieu de l’ancienne ville de Pesto, autrement Possidonia, qui est située dans la Lucanie (diciassette tavole firmate da Piranesi, frontespizio e due tavole firmate da Francesco).
Il 27 marzo 1778 Piranesi inviava da Roma una lunga lettera – sorta di consuntivo esistenziale – a una sorella residente a Venezia, in cui riassumeva le proprie fortune professionali, intellettuali ed economiche, rinnegando la provinciale realtà veneziana dichiarandosi «figlio di Roma», e denunciando «la meschinità e l’inerzia degli italiani del secolo decimottavo» per lodare «le profusioni della Nazione inglese e il movimento ch’ella si [dava] nel proteggere tutte le imprese che avevano per oggetto la letteratura e le arti», protestando che se avesse dovuto scegliere una patria, avrebbe preferito Londra a tutte le città dell’universo (Biagi, 1820, p. 75).
Dopo una breve malattia, il 9 novembre 1778 moriva nella sua casa di Roma. Venne sepolto nella tomba fatta preparare da Giovan Battista Rezzonico in S. Maria del Priorato all’Aventino, con la statua del defunto eseguita da Giuseppe Angelini su commissione della famiglia e il grande candelabro marmoreo predisposto dall’artista per la propria sepoltura almeno dal 1770 (confiscato da Napoleone, e oggi al Louvre).
Incisore, editore, topografo, architetto, decoratore, polemista, mercante, Piranesi, con la sua personalità vulcanica e il carattere carismatico, con i suoi slanci di entusiasmo e i suoi accessi di ira, lo spirito vendicativo, geloso, avido e interessato e la sua infaticabile capacità di lavoro, suscitò nei contemporanei ammirazione, soggezione, avversione. Ancora in vita, la sua opera veniva celebrata o avversata da mecenati, collezionisti, artisti e intellettuali. Tra i giudizi più significativi, Horace Walpole gli dedicò un lungo paragrafo lodandone i «sogni sublimi», e comparandolo «al selvaggio Salvator Rosa, al fiero Michelangelo, all’esuberante Rubens» (Anecdotes of painting in England, IV, London 1771, Introduction, p. XII); mentre Antonio Visentini criticò duramente S. Maria del Priorato, definendo l’artista «povero spensierato» («pretende di esaltar Roma sopra la Grecia al somo, e la abasò per così dire al limo… [e] sempre intende le cose fuori del suo luoco senza posata considerazione», Osservazioni al trattato di Teofilo Gallaccini sopra gli errori degli architetti, Venezia 1771, p. 48). In età romantica e oltre, alcune sue opere, tra cui le Carceri, hanno conosciuto una celebrità straordinaria, segnando profondamente le arti, la letteratura, il cinema, il collezionismo. Nella prima metà del Novecento si avviarono lo studio filologico e la revisione critica della sua opera grafica, con la pubblicazione dei due cataloghi tutt’ora in uso (Focillon, 1918; Hind, 1922), e dell’attività architettonica e teorica (Wittkower, 1938-39). In anni più recenti le ricerche hanno portato a fondamentali precisazioni documentarie e alla pubblicazione dei principali nuclei di grafica; si è sviluppato un nuovo interesse per le opere polemiche, teoriche e di erudizione, per l’appassionata rivendicazione della grandezza della civiltà romana, per la ricostruzione immaginifica della metropoli antica precorritrice del caos della megalopoli moderna, per la produzione architettonica come riferimento per le avanguardie del Novecento.
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