TORTI, Giovanni Battista Pietro Maria
– Nacque a Milano il 24 giugno 1774 da Carlo Giuseppe e da Bianca Malacrida (il giorno di nascita è posticipato al 28 giugno in Mauri, 1894, p. 200, e al 29 dall’epitaffio sul monumento funebre, come si legge in Neri, 1904, p. 8).
A Brera, dove studiò, ebbe come insegnante Giuseppe Parini, cui era stato raccomandato dall’abate Adelmo Fugazza, maestro di seminario e poeta. Parini lo affidò a sua volta al cardinale Angelo Maria Durini, che lo fece entrare nel seminario di Milano, presso il quale proseguì gli studi umanistici e intraprese quelli teologici. Risalente a questo periodo è l’epistola in endecasillabi sciolti Invito a Pinarco a sentire i sacri oratori.
Nel luglio del 1797 compose Per la proclamata libertà d’Insubria, che apparve in una plaquette di poche pagine senza indicazioni tipografiche. L’ode, che celebrava la nascita della Repubblica Cisalpina, spinse Lodovico Valeriani, nell’introduzione al poema di Francesco Gianni, Bonaparte in Italia (1798), a parlare di Torti come di un giovane che camminava sulle orme dei grandi (Parini) e prossimo a eguagliarli. Probabile nello stesso periodo la collaborazione al Giornale senza titolo (1797-98), un foglio satirico stampato dal libraio-birraio Carlo Barelle, in cui scrisse sotto protezione dell’anonimato.
Lasciato il seminario, il 3 gennaio 1799 entrò a far parte, grazie all’interessamento di Francesco Melzi d’Eril, della Società del teatro patriottico (poi dei Filodrammatici), venendo eletto membro della commissione per i Drammi. Elaborò il lungo poemetto in endecasillabi sciolti Il Teatro, con dedica a Melzi, edito presso i tipi di Mainardi (Milano 1799), in cui indicava alcune soluzioni per la rinascita dell’arte del palcoscenico in Italia.
Il 21 gennaio 1801 inviò al ministero degli Interni della Repubblica Cisalpina una domanda di assunzione come segretario della commissione della Pubblica Istruzione. Ottenne l’ufficio auspicato, da cui non lo distolse l’incarico di rimpiazzare l’abate Calimero Cattaneo nella cattedra di retorica a Brera, affidatogli il 28 giugno 1801 e poi convertito, «forse per maneggi del Cattaneo» (Bellorini, 1907, p. 31), nell’ufficio di sostituto (in realtà semplice coadiuvante) alla cattedra. Proseguì quindi il lavoro di segretario, beneficiando di un aumento di stipendio da lire 200 a lire 3000.
Dopo il matrimonio con Carolina Boucher, dalla quale non ebbe figli, scrisse nel 1802 La visione di Parini (edita solo sette anni più tardi), in cui faceva rivendicare all’ombra del suo maestro, apparsagli in sogno, la paternità del sermone Sulle pie disposizioni testamentarie (prima che ne venisse riconosciuto il vero autore in Giuseppe Zanoia).
Alla nascita del Primo Impero francese concepì un sonetto e un Idillio in endecasillabi sciolti per i tipi di Sonzogno (Milano 1804). Nonostante il nuovo incarico di segretario presso la direzione generale della Pubblica Istruzione, continuò a produrre opere poetiche: un carme Nell’inaugurazione del busto di Vittorio Alfieri, che lesse il 30 settembre 1805 presso il teatro dei Filodrammatici (dove era stato collocato il busto dell’astigiano), e soprattutto l’Epistola sui Sepolcri, con dedica all’amico Giovanni De Cristoforis, nata come commento del carme foscoliano e di quello di Ippolito Pindemonte. Foscolo, che ne aveva udito alcuni brani, definì Torti il più felice tra gli allievi di Parini in un lettera a Pindemonte del 10 luglio 1808, in cui annunciava altresì la pubblicazione dell’Epistola in un volume che stava meditando. Si trattava di Dei sepolcri. Poesie di Ugo Foscolo, di Ippolito Pindemonte e di Giovanni Torti, aggiuntovi uno squarcio inedito sopra un monumento del Parini di Vincenzo Monti, che, inizialmente destinato ai tipi di Bernardoni, apparve invece presso Bettoni (Brescia 1808), già editore l’anno prima del carme foscoliano. Il successo dell’opera portò a una ristampa l’anno successivo, sempre per Bettoni, e poi per i tipi dei Torchi del Majno (Piacenza 1809).
Al Sermone al signor... (1810), in terzine, unico componimento scherzoso della sua produzione, seguì un silenzio letterario di alcuni anni, durante i quali, influenzato da Alessandro Manzoni e Tommaso Grossi, con i quali si strinse d’amicizia, si accostò alla poetica romantica. Esito del nuovo corso letterario fu Sulla passione di Cristo, in terzine, per i tipi di Pirotta (Milano 1816). Del poema, in cui un crocifisso sintetizza a un fedele gli episodi salienti della vita di Gesù, invitandolo ad amare la croce, parlarono in termini lusinghieri Giovanni Berchet, che lo chiamò «squisita poesia» in un luogo della Lettera semiseria, e Vincenzo Monti, per il quale era una delle cose più memorabili realizzate dall’inizio del secolo (Mauri, 1894, p. 212).
Soppressa la direzione generale della Pubblica Istruzione nel 1817, fu collocato in quiescenza a metà stipendio. Si dedicò quindi a opere di volontariato per il VII dipartimento del governo. Fu in questo periodo che si impegnò nel Sermone sulla poesia, in quattro capitoli in terzine, per i tipi di Vincenzo Ferrario (Milano 1818), in cui celebrava gli alti esempi di lirica, tra cui i poemi omerici, Francesco Petrarca e Parini. L’opera fu recensita poco tempo dopo l’assunzione di Torti, il 17 luglio 1818, in qualità di vicesegretario di governo: prima nel Conciliatore del 20 settembre 1818 da De Cristoforis; poi nella Biblioteca italiana (gennaio 1819, vol. 13), da un autore anonimo, insieme alle Idee elementari sulla poesia romantica di Ermes Visconti, apparse lo stesso anno del Sermone presso Ferrario.
Pubblicata la traduzione della Zaïre di Voltaire presso Pirotta (Milano 1821), si cimentò in una versione in terzine dell’Oinamora, uno dei poemetti di Ossian, condotta non sul testo di James Macpherson (come aveva fatto Melchiorre Cesarotti), ma sulla versione latina realizzata da Robert MacFarlan nel 1807. Il volumetto, che recava il testo latino a fronte, uscì ancora presso Ferrario (Milano 1825).
Il suo nome cominciò a circolare, ma la sua produzione dovette sembrare esigua a Manzoni, che nel cap. XXIX della ventisettana dei Promessi sposi lo omaggiò istituendo una similitudine (non priva di ironia) fra i versi dell’amico e i pochi e valenti servitori che l’Innominato raccoglieva intorno a sé nel suo castello.
Fu ancora Ferrario a stampare nel 1829 La torre di Capua, in ottave, che si iscriveva nel solco della novellistica in versi d’ambientazione storica praticata dai romantici (in primis dall’amico Grossi).
Calata sullo sfondo dei giorni del sacco di Capua del 1501, seguiva la vicenda di Matilde, promessa sposa a Gherardo, asserragliata nella fortezza del titolo e concupita dall’assediatore Cesare Borgia. Nella storia dell’amore fra i due giovani, ostacolato dal malvagio di turno, più che un’interferenza dei Promessi sposi, l’autore della recensione nella Biblioteca italiana (luglio 1829, vol. 55) volle rilevare l’eco della seconda giornata del Decameron, in cui si ragiona di chi, da diverse cose infestato, riesce a buon fine oltre la sua speranza. Il paragone illustre non impedì tuttavia all’anonimo recensore di rivolgere alcune critiche alla novella, concernenti l’inopportunità del titolo (gran parte della vicenda si svolge al di fuori della torre), l’assenza di verosimiglianza e di ‘convenevolezza’ di taluni episodi, nonché il tono dimesso di molte ottave.
Dopo la ristampa del carme Sulla passione di Cristo, in un volume che riproduceva le Poesie liriche di Manzoni e gli Inni di Giuseppe Borghi, presso la Società tipografica de’ classici italiani (Milano 1833), fu la volta, nel 1836, del poemetto Scetticismo e religione, sempre in terzine e presso il medesimo editore, che presentava due atteggiamenti antitetici nei confronti della fede e, dunque, anche due stati d’animo opposti al cospetto della morte. Due anni dopo, allorché vide la luce una seconda edizione riveduta del poemetto presso Stella (Milano 1838), venne a mancare la sua Carolina. Torti indirizzò allora una lunga e dolorosa Epistola in morte di sua moglie, in endecasillabi sciolti, a Grossi, edita presso Guglielmini e Redaelli (Milano 1840).
Malato e stanco, rifiutò nell’aprile del 1840 la cooptazione nell’Istituto delle scienze, lettere ed arti. Nel 1844 beneficiò tuttavia di un assegno d’indennità di 600 lire, erogato dal governo per il servizio di volontariato prestato nel 1817-18; assegno che alleviò per un po’ i problemi economici suoi e di sua cognata (con la quale viveva), ma che gli fu revocato due anni dopo.
Compose l’inno Le cinque giornate di Milano (1848), in versi senari, su fogli volanti, poi inserito nell’opuscolo Versi inediti di Alessandro Manzoni, di Giovanni Torti e di Tommaso Grossi pubblicati durante il governo provvisorio di Milano (contenente i manzoniani Marzo 1821 e Il proclama di Rimini e il Cantico grossiano), che apparve senza indicazioni tipografiche nel luglio 1848. Per paura di ritorsioni da parte degli austriaci prese la via dell’esilio volontario, prima a Savona e poi a Genova, ove si trasferì nel marzo del 1849, in quanto aveva ottenuto, grazie all’intercessione degli amici (fra cui Massimo D’Azeglio), la nomina di presidente del Consiglio accademico del locale Ateneo.
In seguito ai moti di Genova dell’aprile successivo compose il sonetto Ahi sventurata, improvida, ciarliera. L’anno dopo redasse Torna, Re Sacerdote, alla tua Roma, un altro sonetto in cui amaramente chiedeva a Pio IX, rientrato a Roma il 12 aprile 1850 e riappropriatosi del potere temporale a prezzo del sangue che gli aiuti stranieri avevano fatto scorrere, se il suo comportamento si confacesse al messaggio di Cristo. Ideò quindi tre epistole, in endecasillabi sciolti, dal titolo Una abjura in Roma nel secondo anno del pontificato di Pio IX, che pubblicò con i tipi del R. I. de’ Sordo-Muti (Genova 1851). Dedicate al conte Francesco Arese, suo amico, erano il resoconto della conversione al cattolicesimo di un giovane protestante, il quale non mancava di notare come il pontificato di Pio IX si fosse allontanato dalla virtù predicata dalla Chiesa degli ‘aurei tempi’.
Morì a Genova il 15 febbraio 1852 per un colpo apoplettico e fu sepolto nel cimitero di Staglieno.
Il 20 aprile le epistole di Una abjura in Roma furono messe all’Indice. L’omnia poetica, preceduta da un discorso di Giovanni Battista Cereseto sulla vita e le opere di Torti, fu allestita qualche mese dopo per i tipi di Grondona (Genova 1853).
Fonti e Bibl.: A. Mauri, Scritti biografici, I, Firenze 1894, pp. 200-222; A. Neri, A proposito di G. T. a Genova, La Spezia 1904; E. Bellorini, G. T., Napoli 1907; G. T. (1774-1852) tra letteratura ed impegno politico. Atti del Convegno... 2007, a cura di S. Verdino, Genova 2007.