PASSERINI, Giovanni Battista (Giambattista). – Nacque nella notte fra il 27 e il 28 settembre del 1793 a Casto, in Val Sabbia (Brescia)
, da Giacomo e Lucia Zanetti.
La famiglia, attiva nel commercio e nella lavorazione del ferro nonché nella bachicoltura, si trasferì da Casto a Brescia nell’ultima fase del periodo napoleonico.
Dopo i primi studi al collegio S. Antonio di Brescia, Passerini venne destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica, per avviarsi alla quale frequentò, tra il 1809 e il 1817, il seminario vescovile della città lombarda. Passerini si formò, pertanto, fra gli ultimi anni del napoleonico Regno d’Italia e l’inizio della restaurazione austriaca. Nel 1817 venne consacrato sacerdote presso il seminario. Nel 1818 gli fu affidata la cattedra di ermeneutica, da lui retta fino al 1821. Abbandonato in quell’anno il seminario per una sorta di ‘crisi di coscienza’, fu coinvolto nella cosiddetta ‘cospirazione bresciana’, organizzata da Filippo Ugoni nell’ambito del più ampio piano insurrezionale dei Confederati italiani del conte patriota Federico Confalonieri. Dopo il fallimento del moto, una serie di arresti effettuati dalla polizia fra il 1822 e il 1823 convinse Passerini della necessità di espatriare. Fu così che, nel giugno 1823, si rifugiò in Svizzera, nei Grigioni, insieme all’amico sacerdote Pietro Gaggia. Trascorsi i primi anni tra Thusis, dove studiò la lingua tedesca, Anversa e Bruxelles, Passerini si diresse poi a Berlino, città in cui fu nel 1826. Qui studiò la filosofia contemporanea ed ebbe a che fare con famosi pensatori; conobbe Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, e strinse rapporti con Eduard Gans. Nel 1828, si spostò a Parigi, dove fu in rapporti d’amicizia con vari italiani e presenziò alle lezioni di noti studiosi come Victor Cousin, con il quale strinse un importante legame. Nel 1830, prese parte, insieme ad altri esuli italiani, alle vicende rivoluzionarie originate dalle ‘tre gloriose giornate’ di luglio.
Frattanto, l’anno precedente aveva cominciato la collaborazione con l’editore Ruggia di Lugano, curando la pubblicazione unica, con tanto di «avvertimento del traduttore», di due opere filosofiche: il Manuale di filosofia di August Matthiae e la Prefazione di Cousin ai suoi Frammenti filosofici. A una critica dell’eclettismo cousiniano, si accompagnava, in quella sorta di prefazione, una positiva valutazione dell’idealismo tedesco e del pensiero italiano del Rinascimento.
Trasferitosi a Ginevra nell’autunno del 1830, Passerini contribuì ai rapporti che i suoi connazionali intrattenevano con i comitati parigini di Filippo Buonarroti al fine di organizzare insurrezioni in Italia. Spenta ogni speranza politica con il fallimento dei moti del 1830-31, gli esuli ginevrini si dispersero, e Passerini si rifugiò a Lugano.
La collaborazione a un foglio popolare mazziniano, Il Tribuno, gli permise di esporre alcune sue idee in materia di religione e filosofia. Seguirono altre traduzioni, tra cui quelle – pubblicate in un unico volume sotto il titolo di Filosofia del cristianesimo (Lipsia [Lugano] 1833) – della Filosofia della rivelazione e delle Lezioni sul cristianesimo, opere rispettivamente di Bernhard Heinrich Blasche e di Wilhelm Martin Leberecht De Wette, due teologi tedeschi del tempo. A esse seguì la versione italiana della nuova Prefazione di Cousin ai suoi Frammenti filosofici (Lugano 1834). Se, illustrando le opere dei due teologi, Passerini pose l’accento su una visione idealistico-hegeliana della religione (forma spirituale inverata dalla filosofia), nel riaccostarsi a Cousin prese le distanze dal suo moderato eclettismo, tanto che era suo desiderio omettere la parte della Prefazione riservata alle idee politiche, in lui molto più radicali.
Espulso definitivamente dal Canton Ticino nel 1833, l’anno seguente si stabilì a Zurigo, sua nuova città di residenza. Proseguì la collaborazione con Ruggia; nel 1836 uscì la traduzione più importante del periodo: quella della versione latina della Città del sole di Tommaso Campanella. La prefazione ribadiva l’importanza del pensiero italiano del Rinascimento e forniva un’analisi del rapporto teoria-prassi in Campanella. Importante fu anche la collaborazione a una Storia dei Papi dal sapore anticlericale, che sarebbe uscita solo a partire dal 1850. Nel 1838, con l’amnistia concessa agli esuli dall’imperatore Ferdinando I, si prospettò per Passerini l’ipotesi di ritornare in patria. Ipotesi ben presto scartata, a causa dei difficili rapporti con la madre e i fratelli. Essendo la ripresa dell’abito talare la condizione per rimpatriare impostagli da famiglia e governo austriaco, egli decise di rimanere in Svizzera: nel 1839 la sua condizione di ‘emigrato’ venne riconosciuta dal governo elvetico.
Dopo la definitiva sistemazione a Zurigo, Passerini si formò una famiglia: entrato nella comunità religiosa zwingliana, si sposò nel settembre del 1840 con Maria Hardmeyer, cantante lirica nativa del luogo. La loro figlia, Eloisa, nacque nel novembre dello stesso anno.
Morto il tipografo Ruggia nel 1839, Passerini prese a pubblicare le sue traduzioni presso la Tipografia Elvetica di Capolago e la Tipografia della Svizzera italiana di Lugano. In quel periodo si dedicò alle due notevoli traduzioni della Filosofia della storia di Hegel curata da Gans (1840) e della Delineazione della storia della filosofia di Eduard Schmidt (1844). La prefazione alla prima opera si configurava come una ‘storia della filosofia della storia’ nelle sue tappe concettuali: storia che Passerini intendeva come quella dell’‘idea di progresso’, iniziata da Vico e culminante in Hegel. Egli pensava il progresso come una continua, feconda acquisizione tecnica e culturale. In questo senso, dal punto di vista politico, le sue posizioni socialiste erano mediate da un accorto riformismo liberale. La prefazione alla Delineazione era una rassegna degli sviluppi della filosofia tedesca da Kant in poi, nella quale Passerini si avvalse di un metodo esso stesso hegeliano: l’esposizione dei nuclei fondamentali del pensiero di ogni autore, in modo da delineare una successione razionale delle dottrine che tralasciasse ogni ‘superfluità’. Mostrati i caratteri della rivoluzione kantiana e dei suoi sviluppi operati da Fichte e Schelling, Passerini additava in Hegel il massimo pensatore tedesco, rilevandone tuttavia l’incapacità teorica della ‘deduzione’, del passaggio dal piano logico a quello reale.
Da allora in poi, Passerini si dedicò esclusivamente al mestiere culturale e a una fitta corrispondenza: fondamentali i due carteggi che, tra la fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta, intrattenne con Giuseppe Mazzini e Vincenzo Gioberti. Del primo, criticò la visione sincretica di politica e religione e il troppo acceso interventismo armato; del secondo – con il quale avrebbe fatto fronte comune contro la ‘minaccia gesuitica’ – le posizioni papiste e una filosofia della trascendenza giudicata vacua e priva di rigore. Fu, in ogni caso, in ottimi rapporti con entrambi: vide Mazzini più volte a Lugano e nel 1845 ospitò Gioberti nella propria abitazione a Zurigo. Nel 1851, a Lugano, uscì l’ultima traduzione pubblicata da Passerini: Lo Stato commerciale chiuso di Johann Gottlieb Fichte.
Nel consueto intervento del traduttore, la dottrina politica fichtiana era interpretata come una forma di comunismo – inteso come monopolio statale della proprietà – con ampi risvolti economici; e vi si tracciava la linea di demarcazione fra comunismo e socialismo. Passerini espose la sua proposta politica: una commistione di utopismo, comunismo (non a caso i riferimenti del filosofo erano Platone, Tommaso Moro e Campanella), progressismo e riformismo liberale. Importante era anche la preminenza assegnata, in linea con i contemporanei fautori del materialismo storico, ai fatti economici all’interno del meccanismo sociale.
I primi anni Cinquanta furono per Passerini funestati dai lutti: nel 1850 morì la madre; nel 1853 il fratello Angelo; nel 1855 si spense la moglie. Rimasto solo con la figlia, il filosofo si occupò della sua educazione, inviandola prima a Losanna, poi a Milano. La fine del programma di traduzioni intrapreso da Passerini fu determinata dalla chiusura, nel 1853, delle due tipografie di Lugano e Capolago. Rilevante fu, in una ormai sostanziale inedia politica, la frequentazione di Francesco De Sanctis, trasferitosi a Zurigo nel 1856. Nel 1859, con gli eventi della seconda guerra d’indipendenza, Passerini si decise a rientrare in Italia: in quell’anno passò per Milano e Brescia.
Da allora in poi, alternò i soggiorni milanesi a quelli elvetici: nel 1862 fu in Svizzera per il matrimonio della figlia, mentre nell’estate del 1863 era a Milano. In quest’occasione fece stampare a proprie spese, presso la tipografia milanese di Pietro Agnelli, i suoi Pensieri filosofici in tiratura limitata.
L’opera, il testamento spirituale di Passerini, costituiva un compendio della sua filosofia, in forma di brevi meditazioni. Era divisa in tre parti, che si occupavano rispettivamente di filosofia teoretica, filosofia pratica e filosofia sociale, e ogni pensiero era numerato, così da consentire una scansione cronologica delle teorie.
Ammalatosi a Milano nell’estate del 1864, il vecchio esule volle tornare un’ultima volta a Zurigo. Qui, assistito dalla figlia, morì il 16 settembre 1864.
Seppellito in un cimitero locale, l’epigrafe della sua tomba, da lui stesso composta, ribadiva la sua adesione «al progresso del genere umano, alla virtù negli uomini, alla divinità». Pensatore privo di originalità, Passerini ebbe il merito di divulgare, fra i primi, la filosofia moderna tedesca in Italia; di fornire una valutazione del pensiero di Hegel lucida, sintetica e non esente da rielaborazioni, sia pur modeste; di contribuire, anche attraverso la sua opera di traduttore, all’operazione patriottica degli esuli italiani in Svizzera, con i quali aveva intessuto una fitta rete di relazioni culturali e politiche.
Fonti e Bibl.: G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, III, 1, Messina 1921, pp. 201-217; L. Bulferetti, Lettere di G.B. P. a Vincenzo Gioberti, Torino 1935; E. Garin, Storia della filosofia italiana, III, Torino 1966, pp. 1225 s., 1241; Il primo hegelismo italiano, a cura di G. Oldrini, Firenze 1969, ad ind.; E. Garin, Vico, Gans e G.B. P., Napoli 1975; G. Spini, A proposito di Risorgimento e protestanti: G.B. P., in Protestantesimo, XLIII (1988), 1, pp. 19-23; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla Rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993, pp. 54, 58; C. Agliati, P., G.B., in Dizionario storico della Svizzera, consultabile online: http:// www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I17087.php. Per una biografia molto dettagliata e per più estesi riferimenti bibliografici si rimanda agli studi di L. Aguzzi, Riforma religiosa, hegelismo, comunismo e il problema del Risorgimento in Italia nel pensiero e nell’opera di G.B. P., Brescia 1985; Id., Una pagina sui rapporti italo-elvetici nell’800. Due esuli a Zurigo: De Sanctis e P., in Nuova antologia, CXXI (1986), 5, pp. 377-387; Id., G.B. P. e la diffusione dell’hegelismo in Italia, in Nuovi studi politici, XVIII (1988), 4, pp. 91-116; Id., G.B. P. e la penetrazione dell’hegelismo in Italia, in Gli hegeliani di Napoli e la costruzione dello Stato unitario, Roma 1989, pp. 73-98; Id., Hegelismo di sinistra e socialismo in Italia, in Le radici del socialismo italiano, a cura di L. Romaniello, Milano 1997, pp. 111-135.