PALLOTTA, Giovanni Battista
– Nacque a Caldarola il 2 febbraio 1594, da Martino e da Maddalena De Magistris.
Studiò presso il convitto di S. Bernardo a Perugia, suo maestro fu Marcantonio Bonciari. Con il sostegno dello zio paterno Giovanni Evangelista, cardinale, giunse a Roma probabilmente sul finire del pontificato di Paolo V. In un atto notarile del 28 gennaio 1621 è menzionato con il titolo di referendario in Urbe, carica che ricoprì almeno fino al 1622. Gregorio XV gli affidò la vicelegazione di Ferrara nel triennio 1621-23, mentre Urbano VIII lo nominò nel 1626 collettore apostolico in Portogallo, dove rimase fino al 1628. Al rientro gli fu conferita la carica di governatore di Roma. Amministrò con rettitudine ed equità, stabilendo, fra l’altro, buoni rapporti con il duca di Modena Francesco I, come attesta un fitto carteggio dell’Archivio di Stato di Modena (D'Amico, 2001-02, pp. 228-308).
Investito l’8 aprile 1628 della nunziatura presso la corte dell’imperatore Ferdinando II d’Asburgo a Vienna, partì da Roma il 22 aprile per comporre la contesa relativa alla successione di Mantova. Si trattava di una missione difficile, in un momento di tensione fra gli Asburgo e la Curia pontificia, poiché l'imperatore sospettava che il papa fosse partigiano della Francia. Si guadagnò la stima di Ferdinando II, che lo propose per l’elevazione al cardinalato. Già creato arcivescovo di Tessalonica il 18 settembre 1628, il 19 settembre 1629 ricevette la porpora con il titolo di S. Silvestro in Capite. Nel triennio 1631-34 fu legato a Ferrara, dove si occupò di un’imponente bonifica del territorio e affidò all’architetto Pietro Paolo Floriani di Macerata, l’escavazione a Comacchio di un canale che prese il suo nome.
Il 14 aprile 1633 Urbano VIII con un breve concesse l’approvazione della istituenda Confraternita dei Marchigiani a Roma, oggi Pio Sodalizio dei Piceni, fondata da Pallotta sotto il titolo e la protezione della Vergine di Loreto, con sede in una cappella di S. Maria ad Martyres (Pantheon). Il 31 dicembre 1636 il pontefice promulgò il breve che approvava la costruzione, promossa da Pallotta, di una chiesa a Ripetta, anch’essa dedicata alla Vergine di Loreto. La chiesa fu inaugurata il 17 maggio 1637 e il cardinale vi celebrò la prima messa, ripetuta il 10 dicembre e così anche negli anni successivi. Oltre alla chiesa «fu istituito un collegio pei marchegiani i quali volessero applicare allo studio delle lettere, ma anco uno spedale per curare gl’infermi di tal nazione» (Moroni, 1842, XIII, pp. 31 s.).
Proseguì con ulteriori interventi la fiorente attività edilizia intrapresa alla fine del Cinquecento a Caldarola dallo zio cardinale. Nel palazzo di Piazza il 16 maggio 1630 ricevette la visita del cardinale Antonio Barberini e del fratello Taddeo, diretti alla S. Casa di Loreto e nel maggio 1644 quella di Casimiro di Polonia, creato cardinale il 28 maggio 1646 da Innocenzo X. Nel 1661, o nel 1665 se si vuol dar credito al racconto di Girolamo Barlesi, a Caldarola sostò il principe Lorenzo Onofrio Colonna con la moglie Maria Mancini. Il 26 maggio 1666, invece, fu accolta, con grandi festeggiamenti, la regina Cristina di Svezia. Il legame di Pallotta con la sua terra d’origine è attestato dall’erezione nel 1650 di una nuova chiesa nel territorio di San Ginesio, dedicata alla Madonna del Poggio, oggi distrutta. Fu nominato, inoltre, abate commendatario della chiesa di S. Maria in vepretis di San Ginesio, che nel 1696 fu affidata ai padri caracciolini. Mantenne tale carica fino alla morte e prima della fine degli anni Sessanta dotò l’altare maggiore del bel quadro dell’Assunta eseguita da Nicolò Berrettoni, allievo di Carlo Maratti, e della Sacra famiglia, replica raffaellesca della Madonna del Divino Amore di Capodimonte a Napoli.
Gli Avvisi di Roma testimoniano l'inimicizia fra Pallotta e la potente Olimpia Maidalchini, moglie in seconde nozze di Panfilio Panfili, fratello di Innocenzo X, alla cui elezione aveva contribuito con tutte le sue forze: secondo gli Avvisi Pallotta era considerato tra i papabili e mancò l'elezione anche per l’avversità di donna Olimpia (Laganà, 2005, pp. 169-185).
Nel 1663 divenne vescovo di Albano e nel 1666 di Frascati, dove eresse un seminario che mantenne in gran parte a sue spese.
Morì a Roma il 22 gennaio 1668. Trasportato a Caldarola, fu sepolto nella chiesa di S. Caterina.
Nelle fonti è ricordato come un uomo dall’animo «troppo gagliardo» (Bicci, 1762, p. 322) e talora ostinato nel difendere le sue idee. Nel 1656, durante una riunione della congregazione della Fabbrica di S. Pietro, espresse parere contrario all’erezione del colonnato di S. Pietro, adducendo una serie di ragioni, fra cui «disse, si doveva temere che come già era avvenuto spesse volte in Roma, si cagionassero delle evaporazioni, fomite di malattie; inoltre ci sarebbe una grande spesa poiché bisognava abbattere numerose e costose case. Finalmente una spesa così grave, data la crisi economica, si presterebbe ad attacchi degli stranieri» (Pastor, 1932, XIV, p. 522).
Intorno alla seconda metà degli anni Trenta intraprese un’intensa attività collezionistica; verosimilmente una delle prime opere acquisite fu il Cristo scaccia i mercanti dal tempio di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, databile tra il 1634 e il 1638, oggi conservato a Palazzo Rosso a Genova. La consistenza della quadreria da lui raccolta è registrata nell’inventario del 1647 del palazzo di Piazza a Caldarola e in quello post mortem del 1668 per la residenza romana. In entrambe le dimore Pallotta aveva raccolto numerose opere, guidato da interessi artistici raffinati, con la predilezione per gli artisti contemporanei e della cechia di papa Barberini e per le miniature, ma, nonostante l’istituzione di un fidecommesso, la collezione andò dispersa alla sua morte.
Nel testamento, rogato a Roma il 19 gennaio 1668 presso il notaio Olimpio Ricci, nominò il cardinale Francesco Barberini suo esecutore testamentario, chiedendogli di scegliere i quadri «delli migliori» da donare ai rispettivi beneficiari, tra i quali un dipinto «alla santità di nostro signore Papa Clemente nono in segno del suo umilissimo ossequio» (D'Amico, 2009, pp. 45, 190-194); anche se l’opera non è esplicitamente menzionata, Barberini dovette sicuramente scegliere il Damone e Finzia del Guercino, oggi conservato presso la Federazione dei Consorzi agrari di Roma a Palazzo Rospigliosi. Il conte Giovan Gaspero Grassi, senatore di Bologna, che aveva sposato la sorella Domenica, fu designato erede «con il peso di assumere arme e cognome della casa Pallotta con primogenitura… Et essendosi dal detto signor conte herede fatto il bilancio degli effetti hereditarij e trovato» ingenti debiti da pagare, non tenendo conto delle clausole del fidecommesso, vendette, forse a blocchi, i «quadri del Guercino, Guidoreno, et altri Pittori sino alla somma di scudi 1300 de quali non se ne trova il loro giusto prezzo» per saldare i debiti (ibid., p. 47 n. 25). In questo documento dell'archivio Pallotta di Caldarola (busta Primogenitura, cc. n.n.) vengono indicati i pittori ma non si fa menzione dei dipinti venduti, che si possono riconoscere nell'inventario post mortem di Pallotta (D'Amico, 2009, 190-194). Fra questi sono certamente individuabili il Cristo scaccia i mercanti dal tempio e il Suicidio di Catone Uticense di Guercino, oggi a Palazzo Rosso a Genova, la S. Caterina d’Alessandria di Guido Reni, della collezione Lauro di Bologna, e i due pendant di Mattia Preti, la Resurrezione di Lazzaro e il Clorinda libera Olindo e Sofronia, conservati anch’essi a Palazzo Rosso.
Fonti e Bibl.: A. Chacon, Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. Cardinalium, Roma 1677, col. 579; M.U. Bicci, Notizia della famiglia Boccapaduli patrizia romana, Roma 1762, p. 322; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, VI, Roma 1793, p. 292; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastico, XIII, Venezia 1842, pp. 31 s.; LI, ibid. 1858, pp. 65 s.; S. Fraschetti, Il Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano 1900, pp. 55 s., 314 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, pp. 370-373, 382-421; XIV, ibid. 1932, p. 522; S. Corradini, La comunità marchigiana in Roma vista da Pier Leone Ghezzi, in Cultura e società nel Settecento, Atti del XII Convegno del Centro di studi avellaniti…Fonte Avellana - Gubbio… 1988…, Urbino 1989, pp. 271 s., 283-287; M.G. Aurigemma, Caprarola, palazzo Farnese, in Palazzi del Lazio dal XII al XIX secolo, a cura di M.G. Aurigemma, Roma 1992, pp. 161-163; A. D’Amico, Il Cardinal di Cosenza. Appunti su Evangelista e le committenze Pallotta, tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, a.a. 2001-02, pp. 228-334; G. Barlesi, Memorie, a cura di R. Cicconi, Pollenza 2003, pp. 344-346, 351; M.A. Laganà, Un cardinale del Seicento. G.B. P. fondatore del Pio Sodalizio dei Piceni, Roma 2005; R. Cicconi, Caldarola nel Seicento, in Le stanze del cardinale. Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Mattia Preti, Catalogo della mostra di Caldarola, a cura di V. Sgarbi - S. Papetti, Cinisello Balsamo 2009, pp. 31-39; A. D’Amico, G.B. P. e le tracce di una collezione dispersa, ibid., pp. 41-48; Id., Sezione documentaria, ibid., pp. 184-199; A. D’Amico, I Caracciolini a San Ginesio e la chiesa di S. Maria "in vepretis" con un’attribuzione a Niccolò Berrettoni, in Studi medievali e moderni. Arte, letteratura, storia, XIV (2010), pp. 171-208.