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NICCOLINI, Giovanni Battista

di Egidio Bellorini - Enciclopedia Italiana (1934)
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NICCOLINI, Giovanni Battista

Egidio Bellorini

Letterato, nato ai Bagni di San Giuliano (Lucca) il 29 ottobre 1782, morto a Firenze il 20 settembre 1861. Si laureò in leggi a Pisa e visse poi a Firenze, dove fu da prima (1804) aggregato all'ufficio delle Riformagioni, e poi, dal 1807, professore di mitologia e storia, segretario e bibliotecario dell'Accademia di belle arti. Per breve tempo fu anche maestro dei paggi alla corte di Elisa Baciocchi e poi bibliotecario della Palatina sotto il governo granducale.

Repubblicano ardente nella prima gioventù (tanto che durante la reazione del 1799 fu imprigionato), professò poi sempre apertamente idee liberali, e solo per la mitezza del governo toscano non ebbe a subire altre persecuzioni. Durante il prevalere delle idee neoguelfe e degli entusiasmi per Pio IX, in contrasto col suo incrollabile anticlericalismo, ne soffrì tanto da averne disturbi nervosi. Dopo il 1849 condusse vita ritirata, spesso nella sua villa di Popolesco, tra Pistoia e Prato. Fu sepolto in S. Croce.

Buon conoscitore delle lingue classiche, tradusse fra l'altro l'epistola ovidiana di Saffo a Faone e alcune tragedie di Eschilo; ammiratore del Metastasio e del Monti, amico, in gioventù, di Giovanni Fantoni e del Foscolo (che dopo averlo forse adombrato nel Lorenzo Alderani dell'Ortis gli dedicò nel 1803 le sue liriche e la traduzione della Chioma di Berenice), egli seguì, nei primi scritti, le tendenze classicheggianti in auge allora: imitò il Monti nel poemetto La Pietà, e sebbene non approvasse lo stile e la struttura scheletrica dei drammi dell'Alfieri, si attenne al tipo alfieriano nelle sue prime tragedie: Polissena (premiata nel 1810 dalla Crusca), Medea (nella quale sostituì allo sciolto i metri dei recitativi metastasiani), Ino e Temisto, Edipo al bosco delle Eumenidi, e infine Nabucco, nel quale simboleggiò le ultime vicende di Napoleone. Ma ben presto s'accostò al romanticismo, e in Matilde (1815), che è rifacimento del Douglas dell'inglese J. Home, se lo schema è quello tradizionale, il soggetto medievale è di tipo schiettamente romantico. In seguito, non solo preferì gli argomenti tratti dalla storia medievale o moderna, ma anche, sull'esempio dello Shakespeare, dello Schiller, del Manzoni, si liberò dal giogo delle unità, accrebbe il numero dei personaggi e non rifuggì da certi tratti sentimentali. Conservò però sempre la classica compostezza della forma, e aborrì dalle esagerazioni dei più arditi novatori. Così nacque Antonio Foscarini, patetica storia d'amore, che suscitò grande entusiasmo a Firenze, dove fu rappresentata nel 1827, e poi anche altrove; ma che spiacque ai Veneziani per la rappresentazione storicamente falsa della cupa tirannia del governo oligarchico, e insospettì molti principi italiani per l'amore della libertà che riscalda il cuore del protagonista. Ma più vivamente urtò i governi del tempo, e specialmente l'austriaco, il Giovami da Procida, rappresentato fra un delirio d'applausi nel 1830, perché, tra una vicenda aggrovigliata di amori e di delitti, vi sono esaltati, in una rievocazione del Vespro Siciliano poco rispettosa della storia, l'amor di patria e l'odio contro la dominazione straniera. Tre anni dopo, componendo il Lodovico Sforza, il poeta dichiarava di non voler fare allusioni ai tempi presenti, ma anche in esso vibrano le stesse passioni del Giovanni da Procida, tanto che per il momento non poté essere rappresentato. Nel 1838, lasciata davvero in disparte la politica, pubblicava la Beatrice Cenci, poco felice rifacimento di quella dello Shelley, e la Rosmunda d'Inghilterra, che neppure essa piacque molto; ma tornava poi alla politica nel 1843 con quello che è considerato il suo capolavoro, l'Arnaldo da Brescia. Esso fu detto "l'antidoto del Primato", perché Arnaldo vi è rappresentato come l'apostolo e il martire della libertà, che lotta contro la tirannide imperiale (Federico Barbarossa), ma più specialmente contro quella papale (Adriano IV), e che vorrebbe la spada divisa dal pastorale e la Chiesa ricondotta all'antica purità. Più che tragedia l'Arnaldo è un poema drammatico, non adatto alla scena; ma ebbe tuttavia popolarità grandissima, ammiratori ferventi in Italia e fuori, e anche detrattori accaniti, soprattutto per ragioni politiche. Come opera d'arte, l'Arnaldo presenta scene di grande effetto drammatico, cori animati da felice impeto lirico, parlate eloquenti, ricchezza di colorite immagini, versi sonoramente armoniosi; ma superficialità e convenzionalità di caratteri ed enfasi di linguaggio, che la rappresentazione avrebbe forse potuto dissimulare, ma evidenti alla lettura. Nel 1847 vedeva la luce il Filippo Strozzi, che mette in scena le ultime lotte della libertà fiorentina contro Cosimo I; e intendimenti politici ha pure l'ultimo suo abbozzo di tragedia, Mario e i Cimbri (1858), che è povera cosa, sebbene abbia dato occasione al Carducci di esaltare in un'ode giovanile la nobile passione patriottica del N. Scarso valore letterario hanno generalmente anche le sue moltissime liriche (canzoniere nazionale) ispirategli per lo più dagli stessi ideali patriottici e anticlericali delle tragedie e pubblicate quasi tutte postume. Molto scrisse anche in prosa, accademicamente elegante: le Lezioni di mitologia e di storia, vari discorsi tenuti all'Accademia di belle arti e alla Crusca (alla quale appartenne dal 1812), articoli per l'Antologia del Vieusseux, elogi, ecc. Postumi apparvero la Storia della casa di Svevia in Italia (1873) e Il Vespro siciliano (1882). Notevoli sono specialmente gli scritti sulla lingua, quelli sul teatro greco, su Dante, su Michelangelo, e il copioso epistolario.

L'edizione più ampia delle Opere è quella curata da C. Gargiolli, Milano 1863-80.

Bibl.: N. Giotti, G. B. N., Torino 1860; A. Vannucci, Ricordi della vita e delle opere di G. B. N., Firenze 1886 (con una ricca bibliografia); N. Ostermann, Il pensiero politico di G. B. N., Milano 1900; A. Bellino, Il canzoniere nazionale di G. B. N., Girgenti 1901; P. Arcari, G. B. N. e la sua opera drammatica, Milano 1901; M. Baldini, Il teatro di G. B. N., Firenze 1907; R. Guastalla, La vita e le opere di G. B. N., Livorno 1917; N. e la censura austriaca, Supplemento 18 del Giornale storico della letteratura italiana (1921); T. Borgomaneri, Il romanticismo nel teatro di G. B. N., Milano [1925].

Vedi anche
Giuseppe Arcàngeli Arcàngeli, Giuseppe. - Letterato (S. Marcello Pistoiese 1807 - Prato 1855), sacerdote. Collaborò attivamente a una collezione di classici latini commentati, curandovi l'edizione di Virgilio e di alcune opere di Cicerone; tradusse gli inni di Callimaco e, fra l'altro, la Lucrèce di F. Ponsard. Negli anni ... Gasparo Barbèra Barbèra, Gasparo. - Tipografo editore (Torino 1818 - Firenze 1880); contitolare con i fratelli Bianchi (1854), poi (dal 1859) unico proprietario di una tipografia in Firenze, acquistò in breve meritata fama per le ottime edizioni di opere notevoli, scritte o curate dalle maggiori personalità del tempo, ... Enrico Mayer Educatore (Livorno 1802 - ivi 1877). Nacque da padre tedesco e da madre francese, ma nel 1860 chiese e ottenne la cittadinanza italiana. Fece lunghi viaggi come precettore dei figli del re del Württemberg e poi di quelli di Girolamo Napoleone, avendo agio di conoscere da vicino le più vitali innovazioni ... Silvestro Centofanti Filosofo e letterato (Calci 1794 - Pisa 1880). Stabilitosi nel 1822 a Firenze, collaborò all'Antologia di G. P. Vieusseux e, insieme con V. Antinori e G. Libri, iniziò la pubblicazione delle opere del Galilei. Partecipò come liberale democratico moderato ai moti del 1848 e dopo il 1859 fu nominato senatore ...
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