MOSCAGLIA, Giovanni Battista
– Nacque a Roma alla metà del secolo XVI da Angelo, medico chirurgo originario di Asigliano presso Vicenza, trasferitosi a Roma intorno agli anni Trenta del Cinquecento, e da Fulvia de Rugerijs. La coppia ebbe almeno tre figli: Delia, nata intorno al 1540; Giovanni Battista circa un decennio dopo (dal 21 marzo 1559 al 31 agosto 1560 figurò nell’organico della Cappella Giulia come soprano, il che significa che ancora non aveva mutato voce); Pompeo, il fratello più piccolo, era deceduto entro il 1579.
I Moscaglia, che abitavano nell’odierno vicolo del Gallo, tra Campo de’ Fiori e piazza Farnese, seguirono con profonda devozione l’esperienza spirituale oratoriana di Filippo Neri. Lo testimonia la deposizione resa il 2 agosto 1595, durante il processo di canonizzazione del sacerdote fiorentino, da Delia e dal marito Gaspare Brissio, i quali riferirono che la notte di Capodanno del 1562 la preghiera di Neri, convocato da Brissio al capezzale di Delia partoriente, aveva preservato la donna da morte certa (il bimbo le era morto in grembo).
Moscaglia fu musicista e poeta ben inserito nel contesto romano e assai apprezzato anche fuori, ma, a parte l’esperienza puerile nella Cappella Giulia diretta da Giovanni Animuccia, non è noto che abbia servito altrove. Può darsi non ne avesse bisogno e che gli immobili posseduti nella zona di Campo de’ Fiori gli garantissero rendite sufficienti. Egli stesso confessò di praticare l’arte musicale per svago, per ricreazione intellettuale, non per necessità: «della nobilissima virtù della Musica grandemente mi son delettato, e per mio diporto e per passar l’ozio in quella ho cercato far qualche profitto, acciò alcuna fiata a me e a gl’altri apportasse diletto», scrisse nel Secondo libro de madrigali a cinque voci dedicato a Napoleone Malvasia, vicecastellano di Roma (Venezia, eredi di F. Rampazetto, 1579).
In questa stessa pubblicazione d’impianto autobiografico – vi figurano Se col mio largo pianto, in morte del «fratello carissimo», e Una mosca volando, allusivo al cognome di famiglia – Moscaglia disse anche di avere «alli giorni passati raccolto insieme questa mia seconda muta de Madrigali a cinque voci per volerla dar alla stampa non per ambizione né per altro vano e fallace pensiero, ma solo per sodisfar al desio de molto amici e padroni»: luogo comune peraltro abusato nelle dediche e prefazioni. Da notare che nel volume figura la prima intonazione di un testo in endecasillabi sdruccioli dall’Arcadia del Sannazaro, Che farai Meliseo? Morte refútati, preludio alla fortuna di cui questa tipologia metrica godette poi tra i musicisti romani.
Al di là delle dichiarazioni personali, che a Moscaglia fosse comunque riconosciuto pubblicamente un certo status professionale, emerge evidente dalla dicitura «Musico Rom[an]o» che ne accompagna il nome sull’atto di battesimo della figlia Carmelia, 27 luglio 1583 (Chater, 2004, p. 29). Del resto la famiglia annoverava diversi musicisti: il cognato Brissio, padovano, suonatore di cornetto a Castel S. Angelo, il di lui figlio Giovanni Francesco, e il modenese Ippolito Tartaglino, marito di quella Marzia Caterina che Chater presume sorella di Moscaglia (ibid., pp. 9, 19). Tutti costoro gravitarono nell’orbita dei porporati di casa Farnese. E proprio sotto il nome di un Farnese si colloca il debutto editoriale di Moscaglia. A Ottavio, duca di Parma e Piacenza, venne infatti indirizzato il Primo libro de madrigali a quattro a cinque et a sei voci intitolati gl’Amorosi Gigli, con dua Dialoghi a 8 (Venezia, figliuoli di A. Gardano, 1575). I gigli, l’emblema araldico farnesiano celebrato nei versi del primo madrigale oltre che nell’intestazione, sono un atto d’ossequio al dedicatario, il cui stemma ducale grandeggia sul frontespizio di una raccolta che dà considerevole risalto alla canzone petrarchesca Quando il soave mio fido conforto e che termina con un dialogo (Tanta dolcezza mai) musicato da Ippolito Tartaglino. Della maggioranza dei versi prescelti da Moscaglia qui e altrove, perlopiù mai intonati prima, si cercherà invano l’autore; e certo non sarebbe peregrino attribuirne parecchi a lui stesso, considerata la sua abilità poetica. In effetti, tutti suoi sarebbero quelli del Secondo libro de madrigali a quattro voci offerto al cugino Fabiano Moscaglia, padre generale della congregazione di S. Giorgio in Alga, in occasione della sua venuta a Roma. Nella dedicatoria, datata 10 settembre 1582 (ma l’edizione apparve soltanto nel 1585: Venezia, G. Vincenzi e R. Amadino compagni; ed. moderna a cura di G. Gialdroni, Palestrina 2007), l’autore spiegò che, non avendo potuto «per la brevità del tempo metterli tutti in musica», ne affidò una parte «a questi Eccellenti Musici di Roma, per far a questo modo l’opera più bella e più dilettevole» all’ascolto.
A musicare i 25 madrigali poetici Moscaglia convocò il fior fiore dei compositori allora attivi in città, o comunque a essa legati da vincoli professionali: tra di essi Giovanni Maria Nanino, Jean de Macque, Annibale Stabile, Bartolomeo Le Roy, Annibale Zoilo, Ruggiero Giovannelli, Luca Marenzio. La collettanea testimonia l’esistenza di un sodalizio fra musicisti romani che, organizzatosi pare già un quindicennio prima, sarebbe poi stato ratificato da Sisto V nel 1585 come «congregazione dei musici di Roma posta sotto l’invocazione della beata Vergine, di Gregorio Magno e di santa Cecilia»: confraternita a carattere solidaristico, spirituale e assistenziale da cui discende, alla lontana, l’odierna Accademia nazionale di S. Cecilia.
Altra raccolta frutto dell’attività del gruppo è la collettanea Dolci affetti (Venezia, erede di G. Scotto, 1582; edizione moderna di N. Pirrotta, 1993), cui Moscaglia partecipò con due madrigali, Per rapidissime onde e Mentre ti fui sì cara; quest’ultimo è la seconda parte di un’ampia ode in sei stanze dovuta ad altrettanti compositori – Nanino in testa, Marenzio, Macque, Francesco Soriano, Zoilo a seguire – collocata dimostrativamente in apertura di libro. Si tratta della libera traduzione italiana dell’ode oraziana Donec gratus eram tibi, di Luigi Alamanni, tenzone dialogica tra due amanti. Le due stanze iniziali, di Nanino e Moscaglia, confluirono poi nelle antologie d’oltralpe Symphonia angelica (Anversa, P. Phalèse & J. Bellère, 1585: «nella quale si contiene una scielta di migliori madrigali che oggidì si cantino», recita il frontespizio) e Gemma musicalis... Liber primus (Norimberga, C. Gerlach, 1588).
Il segno della fortuna di cui godette l’opera musicale di Moscaglia, in virtù di uno stile elegante, sobrio, piacevole, è dato dalla presenza di suoi madrigali in importanti edizioni collettive dell’epoca, quali Il lauro verde offerto a Laura Peperara (Ferrara, V. Baldini, 1583), il terzo libro De floridi virtuosi d’Italia dedicato al duca di Mantova (Venezia, G. Vincenzi et R. Amadino, 1586), i Fiori musicali... libro primo (Venezia, G. Vincenzi, 1587) e, usciti postumi, i Novi frutti musicali (Venezia, G. Vincenti, 1590), ai quali aveva contribuito con Benché rallenti a’ suoi destrieri il morso, quarta stanza della canzone Ninfa che dal superb’Adriaco seno in dodici parti, divisa tra Alessandro Striggio, Nanino, Stabile, Alessandro Crivelli, Zoilo, Giovannelli, Paolo Bellasio, Soriano, Giovanni Andrea Dragoni. Il madrigale Due rose fresche colse in paradiso dal Secondo libro a quattro venne adattato al liuto da Joachimvan den Hove per la raccolta Delitiae musicae (Utrecht 1612), mentre la napolitana Già discopriva il cielo compare nel cosiddetto manoscritto Tregian, oggi alla British Library, copiato a Londra press’a poco nello stesso periodo.
Trasferitosi intanto nel rione di Trastevere, di cui fu delegato nel consiglio generale della città l’anno 1584, Moscaglia diede in luce altri tre libri di musiche. Al conte Mario Bevilacqua, illustre collezionista e animatore a Verona di un celebrato ridotto di musica, dedicò il Terzo libro di madrigali a cinque voci, nella speranza di «conseguir la grazia sua et esser tra suoi fideli servitori connumerato» (Venezia, erede di G. Scotto, 1585). Trascorsero nemmeno 20 giorni, e dai medesimi torchi uscì il Primo libro delle napolitane a tre voci: la dedicatoria del 4 luglio 1585, rivolta a Livia Capranica Bonelli, non fu tuttavia siglata dal compositore, bensì dalla moglie Lucrezia Guidotti. Nella dedica ad Alfonso II d’Este, nel Quarto libro de madrigali a cinque voci intitolati Amorosi fioretti (Venezia, erede di G. Scotto, 1587), datata 30 giugno, Moscaglia rievocò i favori e le grazie ricevuti qualche mese prima durante una visita a Ferrara; allo stesso duca rivolge inoltre un doppio encomio nei due brani iniziali: il primo esalta «l‘animo giusto e pio, l’alto valore, la grandezza regal» di Alfonso; al di lui «vago, almo splendore» l’ingegno «fragil» del musicista s’inchina deferente nel secondo, che ha per incipit «Amorosi fioretti».
Moscaglia abitava di nuovo nelle sue proprietà presso piazza Farnese quando il 17 settembre 1587 perdette la secondogenita, infante.
Morì a Roma il 18 aprile 1589.
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