MILANI, Giovanni Battista
– Nacque a Roma il 17 maggio 1876 da Carlo, orefice, e da Milizia Mariani, entrambi di origine napoletana.
Alla formazione degli interessi e delle attitudini del M. contribuirono sia la frequentazione del laboratorio paterno, che è all’origine di un approccio artigianale al mestiere e di un’attenzione particolare alle relazioni tra materia e forma, sia un rapporto personale privilegiato con lo zio Aristide Mariani, cultore di architettura.
I progetti del M., infatti, si caratterizzano per la qualità del loro ornato ed esprimono una vera e propria volontà d’arte dell’autore, che interpreta gli edifici come sculture a scala urbana, opere di artigianato impastate dalla mano dell’uomo.
Come molti degli ingegneri romani dell’inizio del Novecento, conseguì il diploma superiore presso il r. istituto tecnico di Roma, la prima scuola a orientamento tecnico-scientifico della capitale, la terza dopo Milano e Torino. La loro istituzione rientrava all’interno della politica scolastica dell’Italia postunitaria, orientata alla formazione della classe dirigente e produttiva di un paese con precisi programmi di modernizzazione. La scuola aveva una sezione propedeutica alla facoltà di ingegneria civile e meccanica, alla quale il M. si iscrisse, laureandosi a Roma nel 1899.
Ancora studente vinse il concorso Poletti del 1898, un’esperienza che gli consentì di manifestare i suoi interessi per l’eredità classica studiata attraverso il disegno delle rovine archeologiche.
Il tema del concorso era quello di un grande edificio pubblico per «bagni, ginnastica e ricreazione dello spirito» che il M. sviluppò reinterpretando il modello delle terme romane.
Il collegamento tra gli aspetti pratici del costruire, lo studio per le peculiarità planimetri-
che e distributive degli edifici, oltre a una lettura attenta delle opere di A. Choisy come L’art de bâtir chez les Romains (Parigi 1873) e l’Histoire de l’architecture (ibid. 1899), costituiscono i capisaldi teorici della ricerca del Milani. Ne sono testimonianza il saggio giovanile su Il tempio di Vesta al foro Romano (s.l. 1905), quello su Le forme architettoniche (Milano 1931-40), scritto in collaborazione con V. Fasolo, e in particolar modo il suo più importante scritto accademico, L’ossatura murale: studio statico-costruttivo ed estetico-proporzionale degli organismi architettonici, con speciale riferimento alle strutture elastiche nelle loro varie e moderne applicazioni pratiche (Torino 1920-25), che si pone in continuità con la manualistica storica, testi che all’epoca del M. erano ritenuti indispensabile passaggio nella formazione dei giovani progettisti e che sottolineavano la necessità dell’esattezza filologica di tutte le parti della composizione: dagli elementi costruttivi agli accorgimenti tecnologici, fino alle parti decorative. Negli scritti del M. si rivela e si precisa quell’atteggiamento vitruviano che attraversa la sua attività professionale e che definisce anche l’orientamento didattico dei suoi corsi universitari.
Il M. interpretava la figura autorevole dell’architetto romano dell’inizio del Novecento, un periodo nel quale la città era da poco divenuta la capitale del Regno e iniziava a confrontarsi con la dimensione internazionale nel passaggio graduale dall’eclettismo a un modernismo alle volte di maniera, sovente inteso come declinazione del classicismo. Uno stile che fu interpretato dal M. in termini di sintesi compositiva, ibridato con un poderoso recupero a scala locale della proposta di U. Ojetti di una grande koinè barocca per rappresentare lo Stato unitario attraverso il linguaggio della tradizione.
Dopo la laurea il M. iniziò a collaborare con l’architetto perugino Guglielmo Calderini, per conto del quale progettò gli arredi del palazzo di Giustizia di Roma. Dal Calderini apprese il rigore progettuale e la correttezza costruttiva, qualità morali della professione che il M. sottolineerà nella raccolta monografica di progetti di Calderini, da lui curata nel 1916 (Le opere architettoniche di G. Calderini, Milano 1916).
Nel 1903 vinse il pensionato artistico nazionale con un progetto per una sede di una Borsa in una grande città.
Fino al 1905, anno della sua nomina a professore ordinario di architettura tecnica presso la Regia Scuola di ingegneria di Roma, svolse una rilevante attività di arredatore di palazzi reali. La frequentazione accademica lo mise quindi in contatto con G. Giovannoni, che nel 1907 lo invitò a collaborare alla progettazione della città universitaria di Roma. I progetti delle facoltà di legge e di lettere e i palazzi del rettorato e delle segreterie, di impianto classicista improntato a una regolarità gerarchizzata, non saranno realizzati; saranno invece costruiti tra il 1907 e la fine degli anni Venti gli istituti di anatomia, fisiologia e clinica psichiatrica.
In quel periodo giovanile furono frequenti i riconoscimenti pubblici e le nomine a incarichi di prestigio, tra i quali quella a componente del Consiglio superiore dei lavori pubblici nel 1908, la medaglia d’argento all’Esposizione internazionale di architettura di Torino del 1911 per il villino Campos e per le abitazioni per l’Istituto romano dei beni stabili (IRBS) di viale Mazzini, costruiti a Roma nel 1909; il primo premio al concorso nazionale per la sede della Cassa di risparmio di Verona nel 1914 e nel 1916 la nomina ad accademico di S. Luca. Con il complesso dei tre edifici per l’IRBS il M. anticipò alcuni temi della sua ricerca più tarda che comprendono la questione della rottura dell’isolato a blocco unico di tipo ottocentesco e la contaminazione tipologica della casa d’affitto con la residenza unifamiliare.
La critica e la storiografia riconoscono proprio negli anni a cavallo dell’Esposizione di Torino il periodo più interessante dal punto di vista della produzione architettonica del M., la cui attività può essere suddivisa in due fasi: quella che va dal 1900 al 1920 e un secondo ventennio dal 1920 al 1940.
Fanno parte del primo periodo una ricca produzione di opere di edilizia privata e alcuni progetti di edifici istituzionali, quali il progetto di concorso per il palazzo dell’Esposizione internazionale di belle arti di Roma a Valle Giulia (1908), la chiesa di S. Lorenzo da Brindisi in stile neoromanico (1910) e l’asilo israelitico (1910, ora demolito) che Portoghesi dichiara essere la sua opera più significativa.
La parte più rilevante della produzione del M. è legata alla costruzione della città borghese. Insieme con alcune delle principali figure del professionismo e dell’imprenditoria romani, quali G. Sleiter, con il quale firmerà più di un progetto, e C. Pincherle, sarà tra i protagonisti dell’espansione edilizia di Roma che dal 1909, anno dell’adozione del nuovo piano regolatore di E. Sanjust de Teulada, è interessata dalla suddivisione in lotti residenziali di grandi proprietà patrizie. Nacquero allora i rioni Ludovisi e Sallustiano e il quartiere Sebastiani, all’interno dei quali il M. realizzò numerosi interventi. Il tema è quello della costituzione di una periferia per le classi agiate. In tale contesto la committenza per la quale il M. progettò villini con giardino privato, evoluzione della villa romana suburbana, incastonati tra i nuovi isolati speculativi, era una clientela aristocratica o dell’alta borghesia ebrea romana, alla quale apparteneva la moglie Lidia Esdra, con cui il M. ebbe due figli: Alberto ed Enzo. Per le famiglie Coen, Ascarelli, Di Nola, Tagliacozzo, Tomba e Sonnino progettò ampliamenti e ristrutturazioni, negozi, palazzi e tombe di famiglia.
Il tema della casa borghese, collegato con la dibattuta questione dello stile nazionale, fu definitivamente formalizzato in una serie di riflessioni del M. pubblicate sulla rivista L’Architettura italiana (Per un’architettura nazionale. La casa, maggio 1917, pp. 33-35).
Il M. si dichiarò contrario all’adozione di riferimenti provenienti da esperienze internazionali, motivando questa posizione non con giudizi estetici, ma con questioni climatiche e soprattutto sociali e ambientali. All’estero, infatti, secondo l’analisi del M., le periferie residenziali signorili godevano di grandi spazi liberi e sorgevano lontano dal nucleo urbano, mentre a Roma venivano a trovarsi a ridosso del centro, a diretto contatto con quartieri a carattere intensivo, tanto che i giardini di queste nuove residenze risultavano sacrificati anche a causa di una normativa molto vincolante relativamente all’arretramento dal fronte stradale della tipologia a villino. La proposta del M. fu di portare la casa sul fronte stradale e di adottare contemporaneamente il modello della domus romana: la costruzione così concepita si sarebbe interposta tra la città e un giardino retrostante di maggiori dimensioni, isolato dalla città stessa, e sarebbe stata distribuita planimetricamente secondo uno schema coerente con le condizioni locali.
Nel 1920 il M. fu chiamato da M. Manfredi, primo direttore della Scuola di architettura di Roma fondata in quello stesso anno, a occupare la cattedra di tecnica delle costruzioni, alternata a quella di caratteri degli edifici, incarichi che mantenne fino al 1936.
Il suo contributo alla fase istitutiva della facoltà è testimoniato dalle Discussioni didattiche, un documento redatto da Giovannoni nel 1925, come memoriale delle riunioni che si tennero tra un ristrettissimo gruppo di accademici (Giovannoni, M. Piacentini, Fasolo, A. Foschini, G. Magni, F. Vagnetti e lo stesso M.) ai quali si deve l’impostazione culturale della nuova scuola, orientata a un’integrazione dell’insegnamento dell’architettura e delle belle arti con quello dell’ingegneria. In questo senso, la scelta del M. come docente interpretava la volontà di presentare agli studenti una figura di riferimento non solo dal punto di vista accademico.
In questa seconda fase della vita professionale, gli obblighi accademici e istituzionali lo costrinsero a ridurre il suo impegno nella progettazione, sebbene la sua attività, relativamente agli interventi residenziali, non si sia mai interrotta.
Il 1921 è l’anno della nascita ufficiale della palazzina, un tipo edilizio che a Roma compare in deroga al piano regolatore del 1909. Questo evento è centrale nel dibattito sulla forma urbana e ribadisce una tendenza tutta romana a concepire la crescita della città come somma di parti distinte e formalmente caratterizzate.
La palazzina appare come la naturale evoluzione del tema dell’abitazione signorile affrontato dal M. nel ventennio precedente. A partire da uno studio del 1920 per una lottizzazione ai Parioli, consistente in tre palazzine con parco privato, direttamente riconducibili all’esperienza dei tre edifici dell’IRBS, il M. fu chiamato più volte a occuparsi di questo tema giungendo a una semplificazione del suo linguaggio. Per il costruttore L. Tonini realizzò, tra il 1931 e il 1935, palazzine con timpani e membrature appena affioranti dalla materia grezza, una sorta di architettura non finita – o meglio indefinita – confrontabile con alcune coeve esperienze di area milanese. Approdò a un classicismo modernizzato e a un protorazionalismo in parte dovuto a un suo orgoglioso, apparente isolamento dal dibattito architettonico provocato dalla furia iconoclasta scatenata dai giovani razionalisti romani che alla II Mostra di architettura razionale, nel 1931, avevano inserito alcune sue opere nella «tavola degli orrori». Nel collage, che P.M. Bardi definiva colmo di progetti di cattivi ingegneri tradizionalisti che hanno sempre due piedi nel passato, apparivano anche opere di Piacentini, A. Brasini, C. Bazzani e altri architetti accademici ritenuti ostili al movimento moderno. Questo episodio determinò una serie di reazioni e fratture a livello sia accademico sia personale, in particolare con G. Minnucci, appartenente al MIAR (Movimento per l’architettura razionale), assistente del M. alla cattedra di tecnica delle costruzioni e uno dei curatori della sezione incriminata, che fu per questo motivo rimosso dall’incarico universitario.
Fanno inoltre parte del secondo ventennio dell’attività professionale del M. lo stabilimento balneare «Roma» a Ostia lido (1924), la stazione marittima di Napoli Mergellina (1927), un edificio pubblico con cinema-teatro, negozi e abitazioni a Imola, il manicomio di Rieti (1932) e la casa generalizia dei padri scolopi - Calasanzio (1933).
Per lo stabilimento di Ostia, che fu demolito durante la guerra dalle truppe naziste per non offrire un approdo allo sbarco alleato, il M. affrontò questa tipologia progettuale non più come un allestimento effimero tipico delle strutture balneari, ma come un complesso edilizio vasto e stabile. Ancora una volta il riferimento tipologico è la struttura termale romana, con una grande esedra sul lungomare ispirata alla basilica di Massenzio (Giovannoni, 1926-27).
Il M. morì a Roma il 26 giugno 1940, pochi mesi dopo essere stato insignito del titolo di grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Giovan Battista Milani; G. Giovannoni, Lo stabilimento balneare «Roma» alla marina di Ostia, con 19 illustrazioni, in Architettura e arti decorative, V (1926-27), pp. 495-510; Id., G.B. M. 1876-1940, in Architettura. Rivista del Sindacato nazionale fascista architetti, XIX (1940), pp. 523 s.; P. Portoghesi, L’eclettismo a Roma 1870-1922, Roma 1968, p. 79; Tradizione e innovazione nell’architettura di Roma capitale: 1870-1930, a cura di G. Strappa, Roma 1989, pp. 102-104, 132 s.; A. Mazza, G.B. M. Progetti e architetture romane (1900-1940), Roma 1995; G.B. M., in M. Guccione - D. Pesce - E. Reale, Guida agli archivi privati di architettura a Roma e nel Lazio. Da Roma capitale al secondo dopoguerra, Roma 2007, p. 141; Dizionario encicl. italiano, VII, p. 751.
A. Capanna