MAROCHETTI, Giovanni Battista
MAROCHETTI (Marocchetti), Giovanni Battista. – Penultimo di dieci tra fratelli e sorelle, nacque a Biella il 3 dic. 1772 da Giovanni Gabriele e da Antonia Serafina Coppa. Rimasto sin da piccolo orfano del padre, nel 1790 si iscrisse all’Università di Torino e nel 1793 prese parte alla sommossa studentesca detta dei «banchi». Dopo essersi laureato in legge ritornò a Biella e nel 1797 aderì ai primi moti giacobini. Riparò poi a Milano, dove fu ospite del giornalista e cospiratore vercellese G.A. Ranza ed entrò in contatto con V. Monti, F. Salfi, M. Gioia, U. Foscolo e C. Botta. Nel maggio 1798 partecipò, come aiutante di campo del generale G.B. Léotaud, a un’insurrezione giacobina in Val d’Ossola subito repressa dall’esercito piemontese. Nel tentativo di fuga verso la Svizzera, dopo aver salvato la vita al futuro egittologo B. Drovetti, venne arrestato dai valligiani sulle montagne di Val Vigezzo. Condannato a morte insieme con Léotaud, non fu subito fucilato ma condotto a Casale, ove, per intercessione del presidente della Giunta straordinaria e regio prefetto di Casale, scampò nuovamente alla fucilazione.
Una volta libero, durante la Repubblica piemontese (dicembre 1798 - maggio 1799) il M. riprese l’attività politica nelle province di Biella, Ivrea e Aosta. Dopo le vittorie degli Austro-Russi del maresciallo A.V. Suvarov, riparò in Francia e in patria venne dichiarato recidivo repubblicano e inserito nell’«Elenco dei Giacobini». Rientrò in Piemonte nell’ottobre 1799 con l’armata del generale J.-A.-E. Championnet e, con il ritorno dell’occupazione francese, venne nominato commissario della provincia di Biella con ampi poteri. Mentre aspirava, come altri giacobini, all’indipendenza dell’Italia sotto una repubblica unitaria, il M. era però fortemente contrario all’annessione alla Francia: per tale motivo rifiutò la nomina a sottoprefetto nello «arrondissement» di Crescentino e successivamente in quello di Voghera.
Pochi mesi dopo, su pressione di C. Bossi, di Botta e in special modo del generale J.-B. Jourdan, accettò di diventare segretariato generale del «Département du Stura» a Cuneo. Tale ripensamento, tuttavia, durò poco: contrario alla politica napoleonica, verso la fine del 1804 il M. si dimise dalla carica e si ritirò a Torre Pellice, dove godeva di molte amicizie nella comunità valdese e si avvicinò alla Filadelfia, organizzazione settaria antinapoleonica costituita nel 1803, la quale, secondo C. Francovich, s’ispirava agli ideali degli Illuminati di Baviera.
Dopo un viaggio a Milano e a Venezia probabilmente a scopo di propaganda del «partito italico», si stabilì a Parigi, chiamatovi dal cugino Vincenzo, padre del noto scultore Carlo Marochetti. Fatto ritorno a Biella nel 1811, si ritirò a vita privata svolgendo la professione di avvocato.
Nel 1818, su invito del suo amico M. Gastone, il M. partecipò ad Alessandria a una riunione dei sublimi maestri perfetti, organizzazione cospirativa creata a Ginevra da F. Buonarroti, che riunì intorno a sé il malcontento di ex giacobini, ex ufficiali napoleonici e giovani aristocratici liberali.
A seguito del moto scoppiato a Torino il 12 marzo 1821, quando alcuni reparti militari conquistarono la cittadella e chiesero al re di concedere la Costituzione, il M. fu nominato dalla Giunta di governo capo politico della Provincia di Biella. Convinto che la rivolta fosse sostenuta da larghi strati della popolazione, organizzò la guardia nazionale, sostituì i consiglieri comunali realisti con altri liberali ed epurò gli impiegati dell’amministrazione statale contrari alla nuova politica.
Dopo la sconfitta degli insorti a Novara, la maggior parte dei costituzionalisti piemontesi partì per l’esilio: braccato dalla polizia piemontese, il M. fuggì in Svizzera passando per Orta e raggiungendo Losanna con il conte L. Porro. Con un passaporto falso, procuratogli dal cugino Vincenzo, poté poi entrare in Francia e rifugiarsi nel castello di Vaux-sur-Seine, ospite dello stesso cugino. Nel frattempo, il 3 sett. 1821, veniva condannato a morte in contumacia per essere stato «uno dei principali cospiratori, autori e complici della rivolta seguita nella città di Biella, col premeditato oggetto di sconvolgervi il legittimo governo di Sua Maestà» (Torrione, p. 26).
Nel 1823 si trasferì per un breve periodo a Londra, dove – insieme con L. Angeloni, G. Fossati, G.F. De Meester Hüyoel, G. Prati e F. Tadini – creò la «Vendita carbonara degl’italiani rifugiati al Tamigi» messa subito sotto stretta sorveglianza da parte delle autorità inglesi: ciò che costrinse gli aderenti a pubblicare il 17 giugno 1823 una dichiarazione finalizzata a smentire voci che erano state diffuse sugli uomini che ne facevano parte. Nel documento programmatico si scorgevano i primi elementi del pensiero politico del M. in merito alla questione nazionale. Vi si auspicava infatti il raggiungimento dell’indipendenza attraverso la creazione di uno Stato italiano «collegato», termine che alludeva a una struttura federale, senza specificare se monarchica o repubblicana.
Successivamente, nello scritto Le congrès bienfaisant (Paris 1826; ripubblicato nel 1830 con il titolo Indépendance de l’Italie, moyen de l’établir dans l’intérêt général de l’Europe, considéré spécialement sous le point de vue de l’équilibre politique, ou Partage de la Turquie), il M. affrontava il problema italiano nell’ambito di un nuovo equilibrio europeo auspicando l’abbandono del Lombardo-Veneto da parte dell’Austria che, sfruttando la crisi dell’Impero ottomano, avrebbe dovuto spostare i propri interessi nell’area danubiano-balcanica.
Il Lombardo-Veneto e i Ducati di Parma e Modena avrebbero dovuto essere annessi al Regno sabaudo che, in cambio, avrebbe ceduto la Sardegna alla Francia e la Savoia alla Confederazione elvetica, ottenendo in compenso il Canton Ticino. Dal crollo dell’Impero ottomano doveva nascere un nuovo assetto europeo, con l’assegnazione all’Austria di Bulgaria, Serbia, Bosnia, Croazia e Albania, il riconoscimento della piena sovranità della Russia sulla Moldavia e sulla Valacchia e la creazione di un Regno del Bosforo per il duca di Modena.
Per l’Italia, pur ritenendo preferibile una soluzione unitaria, il M., onde evitare resistenze internazionali, proponeva un sistema federativo strutturato in tre Stati (Regno dell’Alta Italia, Regno delle Due Sicilie e Stato pontificio) con una forte egemonia della dinastia sabauda e un Papato ridotto a esercitare il potere temporale soltanto su Roma. Il progetto poteva però concretizzarsi solo se la Francia si fosse fatta promotrice di un programma di rinnovamento europeo.
Nella sua teorizzazione il M. si rifaceva a quanto sostenuto da alcuni diplomatici sabaudi del Settecento, da Simonde de Sismondi e da D.-G.-Fr. Dufour de Pradt: di queste idee anche C. Balbo sarebbe stato in seguito uno dei più convinti sostenitori. Diversi anni più tardi, nella seconda edizione di Le speranze d’Italia (Capolago 1844), Balbo dichiarò infatti di «incontrarsi spesso» con gli scritti del M., a lui ignoti in occasione della prima stesura.
Nella speranza che un radicale mutamento politico in Francia favorisse il suo ritorno a Biella, nel 1830 il M. prese parte attiva ai moti parigini che rovesciarono Carlo X, confidando di poter tornare a Biella in caso di mutate condizioni politiche provocate dall’ascesa al trono di Luigi Filippo d’Orléans. La sua aspettativa, però, non si realizzò.
Nel 1834 cominciò a polemizzare con G. Mazzini sul ruolo della Giovine Italia che accusò, in un libro su La République considérée par rapport à l’Italie, par un réfugié italien (Paris 1834), di essere composta da «uomini imprudenti, che volevano edificare su due piedi una repubblica quale che fosse» (cfr. Zucchi, p. 4), rinfacciando a Mazzini, in particolare, di sottovalutare il contesto internazionale. Nell’ottobre 1836, non sopportando più il clima di Parigi, il M. si stabilì a Marsiglia; qui il suo pensiero politico accentuò la distanza dal repubblicanesimo rivoluzionario, come si desume dal libro L’Italie: ce qu’elle doit faire pour figurer enfin parmi les nations indépendantes et libres (ibid. 1837), in cui polemizzò con i «prôneurs de la république à tout prix» e come decano degli esuli italiani tentò di provare «la fallacia del Mazziniano sistema circa la rigenerazione della patria nostra» (Torrione, p. 28). A tali accuse Mazzini replicò nelle Letters on the state and prospects of Italy pubblicate nel settembre 1839 nel Monthly Chronicle, deprecando che i «vecchi esuli rivoluzionari» avessero aderito alla causa gradualista optando per soluzioni monarchiche.
Nello stesso periodo il M. intraprese una lunga polemica con le tesi filoaustriache del conte F. Dal Pozzo, pubblicando a Lione una Réponse à un pamphlet inqualifiable de m. le comte dal Pozzo… (Lyon 1837).
Nel 1842 poté rientrare a Biella, in seguito all’amnistia concessa da Carlo Alberto in occasione del matrimonio del principe ereditario Vittorio Emanuele. Stanco, ammalato e quasi cieco si ritirò a vita privata e godette delle cure della numerosa famiglia e di molti amici tra cui il vescovo di Biella, monsignor G.P. Losana, che nel 1848 fu il primo a comunicargli la notizia della proclamazione dello statuto albertino. Poi, nelle fasi critiche della guerra per l’indipendenza, mise la sua casa a disposizione degli esuli lombardi, tra cui G. Casati, già presidente del governo provvisorio lombardo.
Dopo «aver saldato il suo ultimo debito verso la patria», come scrisse in una autobiografia (Presa, p. 22), il M. morì a Biella il 15 luglio 1851.
Fonti e Bibl.: S. Pozzo, Biella, memorie storiche ed industriali, Biella 1881, pp. 278 s., 296 s., 339; C. Torta, La rivoluzione piemontese del 1821, Roma-Milano 1908, pp. 123, 245; F. Patetta, Dichiarazione di principi di una vendita di carbonari italiani di Londra nel 1823, in Atti dell’Acc. delle scienze di Torino, LI (1915-16), p. 1403; A. Colombo, Una lettera inedita di un rivoluzionario biellese nel 1821, in Rass. stor. del Risorgimento, X (1923), pp. 638-640; T. Rossi - C.P. Demagistris, La rivoluzione piemontese del 1821, Torino 1927, I, pp. 136-220; M. Petrocchi, Equilibrio politico ed indipendenza d’Italia: a proposito di un libro di G.B. M. del 1830, in Arch. stor. italiano, XCVIII (1940), vol. 2°, p. 131; M. Zucchi, Famiglia Marochetti, estr. con alcune aggiunte e rettifiche da: Famiglie nobili e notabili del Piemonte illustrate nella loro genealogia, Torino 1952, pp. 1-8; A. Bersano, L’abate Francesco Bonardi ed i suoi tempi: contributo alla storia delle società segrete, Torino 1957, ad ind.; P. Torrione - P.G. Tamaroglio, Il Biellese nell’epopea del Risorgimento, Biella 1960, pp. 17-19, 21, 33; S. Carbone, Fonti per la storia del Risorgimento italiano negli Archivi nazionali di Parigi: i rifugiati italiani 1815-1830, Roma 1962, pp. 3, 30, 42-48, 50-53, 79, 118, 136; C. Francovich, Albori socialisti nel Risorgimento. Contributo allo studio delle società segrete (1776-1835), Firenze 1962, pp. 1-39; P. Torrione, L’autobiografia di G.B. M. Il più grande rivoluzionario biellese, in Riv. Biella, 1968, n. 4, pp. 21-28; A.S. Bessone, Il giansenismo nel Biellese, Biella 1976, pp. 179, 183, 197, 203 s., 222 s., 251; G. Marengo - G. Parlato, Diz. dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821, Torino 1982, II, p. 97; F. Della Peruta, Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Milano 1989, pp. 328-339; D. Presa, Protagonista della rivoluzione. G.B. M., in Riv. biellese, 2002, n. 3, pp. 12-22; La nascita della nazione, la carboneria: intrecci veneti, nazionali e internazionali. Atti del Convegno… 2002, a cura di G. Berti - F. Della Peruta, Rovigo 2004, pp. 18 s.