MANZINI, Giovanni Battista
Nacque a Bologna il 22 ag. 1599, da Geronimo e da Camilla Vitali.
La prima notizia certa - tra le poche rimaste - sulla sua vita riguarda la nomina a cavaliere e conte del Sacro Palazzo, concessagli a soli nove anni (9 maggio 1608). Al 1617 - al compimento dei diciotto anni - risale l'uscita dalla casa paterna con il consenso del padre, che gli fornì i mezzi per vivere comodamente.
Studiò diritto a Roma, dove godette dell'amicizia e della protezione del cardinale S. Pignatelli; seguendo il consiglio di quest'ultimo, tornò a Bologna per conseguirvi la laurea in diritto canonico e civile, il 22 apr. 1623. Di nuovo a Roma, entrò nelle grazie del concittadino L. Campeggi, il quale, essendo stato nominato nel 1624 nunzio pontificio presso la corte sabauda, lo prese al suo servizio come maestro di camera e lo condusse con sé a Torino. Ma il soggiorno torinese durò poco: il M. fu coinvolto in un duello con un cavaliere di cui non si conosce l'identità, così come ignoto è il motivo dello scontro, e a seguito di quest'episodio dovette lasciare la corte sabauda e riparare a Bologna.
Nella città natale intraprese con passione gli studi letterari, cominciando a dar vita a una produzione destinata a diventare negli anni assai imponente. Strinse un forte legame d'amicizia con il letterato V. Malvezzi, vicino al quale andò ad abitare, come richiesto dallo stesso Malvezzi. Il sodalizio tra i due, in realtà, andava al di là degli scambi culturali, e coinvolgeva le rispettive famiglie: i Manzini godevano della protezione degli assai influenti Malvezzi. Il M. divenne quasi un bravo a servizio della famiglia Malvezzi e nel 1629 fu protagonista di uno scontro con gli sbirri in cui furono sparate delle archibugiate. Nonostante il fatto non avesse provocato vittime, il M. fu bandito da Bologna per decisione del legato pontificio B. Spada. Fu poi lo stesso Spada, nel 1631, a concedergli la grazia. Sembra che una certa disinvoltura nell'uso delle armi fosse un tratto costitutivo del carattere del M., insieme con la passione per il gioco (in particolare per i dadi), a causa della quale sperperò buona parte del molto denaro che guadagnava.
Nel 1636 intervenne - con la Copia di una lettera in risposta ad un cavaliere principalissimo di Venezia (stampata con la falsa indicazione di Anversa) - in difesa del fratello minore Luigi, che l'anno precedente aveva pubblicato un testo inviso alla Serenissima, il Caduceo, un panegirico per il cardinale Maurizio di Savoia in cui ai duchi di Savoia era attribuito il titolo di re di Cipro. Nonostante destasse sul principio non poco scalpore, l'episodio non lasciò, a quanto si sa, conseguenze di rilievo. Nel 1638 il M. ottenne la nomina a cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro, importante onorificenza concessagli dal duca.
Sin dai primi anni Trenta aveva acquistato come letterato una fama via via crescente, che gli permise tra l'altro di entrare nelle grazie di molti potenti e di essere bene accolto in diverse corti d'Italia; il lungo elenco dei personaggi da cui ottenne protezione e favori nel corso della sua vita comprende i papi Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII, il granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici, e il duca di Parma Ranuccio II Farnese. Anche il re di Francia Luigi XIV e l'imperatore Ferdinando III d'Asburgo gli manifestarono benevolenza. Dai rappresentanti di Rimini gli fu commissionata una biografia della protettrice della città, s. Colomba. Dopo la pubblicazione dell'opera (Il martirio della s. vergine Colomba, la sennonense, Bologna 1644), in segno di riconoscenza gli fu attribuita la cittadinanza di Rimini; inoltre fu ascritto alla locale Accademia degli Adagiati (in seguito entrò a far parte anche dei Filargiti di Forlì). Onori e riconoscimenti ebbe anche dalla città di Noto, dopo aver scritto su richiesta delle autorità locali una biografia del santo protettore (Vita morte e miracoli di s. Corrado eremita, ibid. 1648). La produzione agiografica del M. comprende anche una Historia della vita, morte, et azioni illustri di f. Giuseppe da Leonessa capuccino (ibid. 1647).
La notevole fama della sua opera letteraria e la fitta rete di rapporti con i più illustri personaggi del suo tempo sembrerebbero gli unici aspetti della sua maturità degni di essere ricordati: di altro, infatti, non è rimasta traccia. Per quanto riguarda le vicende private, ciò che si sa è che ebbe una moglie, Elisabetta Boccaferri, che gli dette tre figlie. Non avendo avuto eredi maschi, "addottò in figlio Luigi di Lodovico Griffoni" (Fantuzzi, p. 209).
Il M. morì a Bologna il 30 nov. 1664.
Fu seppellito nella chiesa di S. Procolo; durante le esequie solenni M. Griffoni recitò l'orazione funebre, poi stampata all'interno del volume Le comete del fratello Carlo Antonio (Bologna 1665), insieme con uno scritto di quest'ultimo che costituisce una delle principali fonti biografiche sul Manzini.
La prima opera a stampa del M., Il servitio negato al savio (ibid. 1626; nelle edizioni successive il titolo è leggermente diverso: Il servire negato al savio), lo rese subito molto noto negli ambienti letterari. Il testo si contrapponeva con nettezza al Savio in corte di M. Peregrini (pubblicato per la prima volta a Bologna nel 1624, con diverso titolo: Che al savio è convenevole il corteggiare). Riprendendo tematiche stoiche (segnatamente senecane), e appoggiandosi soprattutto al Cortegiano di B. Castiglione, il Peregrini individuava nel far parte di una corte, e in particolare nel consigliere del principe, il ruolo privilegiato per esercitare una funzione di pubblica utilità, ciò che costituisce un dovere preciso per l'uomo savio. La risposta del M., ampiamente ispirata al Traicté de la cour di E. de Refuge (Parigi 1618; esplicitamente richiamato), è tesa a tratteggiare un quadro radicalmente negativo della corte. In realtà, secondo il M., gli spazi di libertà propri del ruolo di consigliere di un principe sono minimi, tanto da impedire al savio di poter influire positivamente sul bene comune. La vita di corte è fatta di lotte per il potere, di intrighi d'ogni genere: si tratta di un ambiente irrimediabilmente corrotto, da cui il savio farà meglio a tenersi lontano. È preferibile scegliere una vita appartata, che sia d'esempio per tutti: è questa l'unica possibile funzione positiva concessa al savio. Ragioni d'opportunità, peraltro, inducevano il M. a dichiarare che il suo discorso non si riferiva alle corti del tempo, ma solo a quelle del passato, ciò che attenua non poco "il presunto afflato libertino della sua opera" (Merolla, p. 9), che pure sin da subito colpì i lettori. La risposta del Peregrini si fece attendere fino al 1634, quando uscirono a Viterbo due testi: Difesa del savio in corte e Della pratica comune a prencipi e servidori loro. La polemica tra i due letterati, aspra nei contenuti ma accompagnata da reciproche attestazioni di stima, ebbe grande risonanza, non solo in Italia (particolarmente attenta ai temi dibattuti fu per esempio la cultura polacca).
Alla disputa con il Peregrini, pur se non esplicitamente, si lega anche Della peripetia di Fortuna (Milano 1630), una breve "considerazione" su Seiano, il consigliere dell'imperatore Tiberio caduto in disgrazia, la cui vicenda viene additata dal M. come esempio delle insidie della vita all'ombra dei potenti.
Anche la seconda opera pubblicata dal M. ebbe notevole successo. Si tratta de I furori della gioventù (Venezia 1629), una raccolta di esercizi retorici di vario argomento che conobbe parecchie edizioni e fu tradotta in francese da G. de Scudéry. Il testo ebbe importanza per lo sviluppo del senechismo secentesco, anche se contrariamente a quanto indicato da alcuni studiosi non può esserne considerato l'iniziatore (ruolo che spetta semmai ai Discorsi di V. Malvezzi, usciti nel 1622). Nell'avviso ai lettori, il M. propugna uno stile concettoso (pur condannando gli eccessi a cui può portare la ricerca della brevitas a ogni costo), ed enuncia una massima che potrebbe essere letta come una dichiarazione d'intenti di molta letteratura barocca: "eloquenza che non genera maraviglia non val niente".
Nel 1631 uscì a Parma una tragedia, la Flerida gelosa; alla princeps fecero seguito altre due edizioni. Caratteristica principale del testo è la curiosa commistione tra gli schemi della tragedia classica e uno stile "prezioso da romanzo eroico-galante" (Bertana, p. 435).
Con Della vita di s. Eustachio martire (Bologna 1631), il M. aprì la strada a un genere letterario nuovo per l'Italia, quello del romanzo spirituale, al cui sviluppo contribuì non poco il fratello Luigi. Interessante il preambolo, in cui il M. si scaglia con violenza contro la narrativa profana, per fermare la quale giunge a invocare l'intervento dell'Inquisizione. Il libro fu più volte ristampato nel corso di quasi quarant'anni; se ne conoscono quattordici edizioni (particolarmente importante quella uscita per i tipi della Stamperia Vaticana nel 1632, che gli fornì un avallo autorevolissimo). La Vita ebbe grande fortuna anche fuori d'Italia: sono note tre traduzioni in francese (due anonime e una di J. Baudouin), due in tedesco (anonime), una in inglese (a cura di J. Burbery) e in spagnolo (a cura di A. Agustin). Non è confermata la notizia secondo cui in Spagna sarebbe uscita una traduzione in latino.
Molto successo ebbe anche il secondo romanzo del M., Il Cretideo (Bologna 1637; la stesura era stata completata nel 1635), stampato dieci volte e tradotto in francese da Baudouin. Particolare risonanza tra i contemporanei ebbe il discorso sul genere romanzesco contenuto nella dedicatoria a Maurizio di Savoia; in essa si celebrava la superiorità rispetto a tutti gli altri generi letterari del romanzo, indicato come "la più stupenda e gloriosa macchina che fabbrichi l'ingegno". A differenza che nel primo romanzo, nel Cretideo le tematiche cristiane vengono inserite nel quadro di una rappresentazione del mondo pagano; nel protagonista viene adombrata la figura del principe ideale. Dal punto di vista delle strategie narrative, si tratta di un tipico esempio di romanzo barocco, con una trama complicata e ricca di colpi di scena.
Negli stessi anni il M. affrontò argomenti religiosi anche senza servirsi dello schermo romanzesco: ne è testimone il Dell'officio della settimana santa (ibid. 1635), una raccolta di "affetti divoti" che comprende discorsi a carattere sia contemplativo sia speculativo. Nel 1637 pubblicò sempre a Bologna Le grazie rivali, una serie di "declamazioni accademiche", originariamente pronunciate a Genova, nella villa di G.V. Imperiali. All'interno del volume trova spazio una Lettera apologetica, in cui l'autore difende il proprio stile attaccando violentemente un letterato di cui non si fa il nome, ma che si può identificare in A. Mascardi. Quest'ultimo aveva dedicato alcune pagine della sua Arte historica (Roma 1636) a una netta censura dello stile di alcuni prosatori moderni (i bersagli, non apertamente nominati, potrebbero essere il Malvezzi, A.G. Brignole Sale e il M.), di cui attaccava contemporaneamente il laconismo e l'uso intensissimo di figure retoriche. Inoltre il M. riteneva il Mascardi autore di una parodia di una sua lettera a Vittorio Amedeo I di Savoia, che invece, probabilmente, va attribuita a C. Achillini.
Il M. fu anche un attivo epistolografo, come mostra la raccolta Delle lettere, stampata a Bologna nel 1646. Avare di indicazioni biografiche, le lettere non appaiono particolarmente notevoli neppure dal punto di vista stilistico, e non è forse un caso che non ebbero molto successo. Nello stesso anno, sempre a Bologna, sarebbe uscito, secondo Fantuzzi (p. 210), un volume di Poesie, di cui oggi non si sa più nulla. Nel 1652 pubblicò, ancora a Bologna, una raccolta di proginnasmi, Delle meteore rettoriche. Rivolti espressamente ai lettori più eruditi, i proginnasmi del M. celebrano la superiorità in letteratura del Seicento rispetto a qualsiasi periodo precedente, costituendo uno dei non rari esempi di esplicita presa di posizione modernista nel panorama barocco italiano.
L'ultima opera pubblicata dal M. è una commedia morale, L'avarizia scornata (Bologna 1663), risalente secondo l'autore agli anni giovanili. Nella premessa si legge una dura requisitoria contro quelle commedie il cui scopo annunciato è biasimare i comportamenti negativi, ma che in realtà li promuovono, rendendoli di fatto bene accetti ai lettori. Obiettivo dichiarato del M. è dar vita a una commedia improntata al massimo decoro, in cui la ricerca della piacevolezza non passi attraverso facili espedienti o, peggio, oscenità.
Completano la produzione letteraria del M. alcune operette scritte per varie occasioni: I tre concorrenti amorosi (Genova-Bologna 1630; è un "discorso problematico […] recitato all'Accademia illustrissima de gl'Addormentati di Genova", come si legge nel frontespizio); Del torneo ultimamente fatto in Bologna (Bologna 1639); una canzone All'illustriss. et eccellentiss. sig. Giustino Gentili… (ibid. 1651); Frine generosa (ibid. 1658; "azione accademica" in occasione dei festeggiamenti per l'arrivo a Bologna di Cristina di Svezia); La reina del foco (Forlì 1661; panegirico in occasione della sua aggregazione all'Accademia dei Filargiti). Fantuzzi (p. 211) cita inoltre un volume in folio stampato senza dati editoriali, di cui non si ha alcuna altra traccia: Copia di una lettera scritta al sig. Lodovico Tingoli a Romini in lode dell'e.mo marchese Guido Rangoni. Lo stesso Fantuzzi parla dell'esistenza di parecchi testi manoscritti, dando però notizie su uno solo di essi, intitolato Girbone, in cui il M. "con moralità, e filosofiche osservazioni dimostra quale cautela conviene osservare per vivere con felicità nel Mondo".
Al suo nome sono legate due importanti imprese collettive: Il trionfo del pennello (Bologna 1633), una raccolta di lettere scritte per celebrare un famoso dipinto di G. Reni, Il ratto di Elena (al M. - che firma la dedicatoria e una delle lettere - si deve la promozione dell'impresa), e Il rogo della fenice (ibid. 1659), un florilegio di epicedi per la morte del duca di Modena Francesco I d'Este (il M. è il curatore dell'opera). Firmò inoltre le dedicatorie per le raccolte di scritti in onore di G. Rasini (Le laureole di Pindo, Bologna 1655) e U. Sacchetti (Pindus in Lyceo, Bologna 1658). Il M. si confrontò anche con la traduzione dalle lingue classiche: nel 1643 pubblicò a Bologna Gli amori innocenti di Dafni e della Cloe, una versione del romanzo Pastoralia di Longo Sofista. La traduzione (o meglio rifacimento, data la libertà rispetto al testo originale) del M. sembra dovere moltissimo alla versione cinquecentesca di A. Caro, rimasta inedita fino al 1786 ma largamente circolante in forma manoscritta; Ciampi (p. 568) parla in proposito di "infelice plagio". In seguito fu la volta di Del modo di dare, ricevere, e rendere i beneficii dell'amato Seneca (Bologna 1655). Anche in questo caso si tratta di una versione molto libera, tanto che nel frontespizio viene definita "parafrasi". Del testo esiste una seconda edizione (Bologna 1681), che in realtà è un falso: a essere ristampate sono solo le prime due carte (contenenti una nuova dedicatoria) e le ultime sei, aggiunte in copie dell'edizione originale.
L'importanza coeva rivestita dall'opera del M. è testimoniata dall'esistenza di ben quattro raccolte dei suoi testi più importanti, tutte uscite a Venezia vivente l'autore (1632-36, 1644, 1653, 1663). Fu molto apprezzato anche fuori d'Italia, in particolare in Francia; basti pensare che il cardinale G. Mazzarino (a cui erano dedicate le Meteore rettoriche) lo aveva pregato di sfruttare il suo "stile d'oro per impiegarlo nelle lodi di questo gran Re e nello scrivere le historie del suo tempo" (così in una lettera del 16 ag. 1652 in Betti, 1991, p. 70).
L'unico testo del M. a conoscere un'edizione integrale moderna è la Peripetia di Fortuna, pubblicata a cura di M. Pieri con il titolo Aforismi del tiranno caduto. Il Seiano o Della peripezia di Fortuna (Parma 1987).
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