MANCINI, Giovanni Battista (Giambattista)
Nacque ad Ascoli Piceno il 1( genn. 1714. Dopo aver subito l'evirazione, a 12 anni fu mandato a Napoli a studiare professionalmente la musica e il canto sotto la guida di L. Leo. Bologna fu l'altro polo importante per la sua formazione: proseguì lo studio del canto con il celeberrimo A.M. Bernacchi, e frequentò padre G.B. Martini per la composizione e il contrappunto. Il rapporto con Martini - senz'altro centrale nella vita del M. - proseguì negli anni, documentato da un interessante scambio epistolare.
Il M. esordì alla fine degli anni Venti: il primo libretto che cita un "sig. Mancini virtuoso di Camera di S.A.S.E. di Baviera" è Porsena (Monaco, teatro di corte, 1728); se l'identificazione dell'indice dei cantanti di C. Sartori è corretta si tratta del M. quattordicenne alle prese con i ruoli di Sacerdote e Tevere. L'anno successivo interpretò Amore nell'Endimione di G.M. Buini; in seguito la sua carriera si svolse in Italia. Il M. rivestì spesso ruoli femminili sia in giovanissima età, sia alla fine della sua carriera (nel 1774, dopo una lunghissima assenza dalle scene, fu Lauretta in una Sposa fedele di P. Guglielmi a Città di Castello, teatro degli Illuminati).
La ricostruzione degli spostamenti del M., attraverso i libretti delle opere e alcune lettere, attesta un continuo movimento, con centro di gravitazione posto sostanzialmente nell'Italia centrale. Negli anni Trenta si esibì frequentemente a Roma, e più raramente anche a Firenze, Lucca e Perugia. In una lettera da Roma datata 9 maggio 1736, il M. comunicò a padre Martini l'intenzione di tornare quanto prima a Bologna, giacché "qui tira vento cattivo e le cose de teatri sono incagliate per un pezzo" (Catteruccia, p. 151); e in effetti sempre nel 1736 lo troviamo a Ferrara nel ruolo di Augurio in una serenata celebrativa per le nozze di Maria Teresa d'Asburgo e Francesco Stefano di Lorena, in casa di Fortunato de Cervelli, "consigliere e residente di S.M.C. e Cattolica", alla presenza del generale imperiale C. von Khevenhüller. Considerando che il M. passerà la seconda metà della sua vita a Vienna, questo contatto con l'agente asburgico non è da sottovalutare.
La tappa successiva fu Venezia, dove tra il 1736 e il 1737 il M. cantò in almeno quattro opere; la corrispondenza con Martini offre qualche dettaglio su questo periodo, anche se le lettere che riguardano gli anni italiani sono appena tre.
Nel 1738 il M. cantò a Livorno il ruolo eponimo nell'Artaserse di D. Zamparelli e altri, e ancora fu Cherinto nel Demofoonte di G.F. Brivio e Learco nell'Issipile di B. Galuppi al teatro Regio di Torino; al più tardi nel 1739 tornò a Roma, dove la situazione era nuovamente favorevole, e lì rimase fino al 1740, interpretando Ulisse nell'Achille in Aulide di G. Giacomelli, Aniceto in Vologeso re dei Parti di R. Di Capua al teatro Argentina e Merope nella Merope di G. Scarlatti al teatro Capranica. Sempre nel 1740 fu Leandro nell'Amor pittore di D. Perez a Napoli, eseguito il 24 luglio nel giardino reale: fu questa, che si sappia, l'unica sua sortita napoletana.
Dal 1740 in poi sembra che il M. si sia ritirato dalle scene; il "sig. Mancini" che compare come Cleonice nell'Aristodemo tiranno di Cuma di G.B. Pescetti a Londra, His Majesty's theatre, nel 1744, identificato con il M. (Sartori), è da riferirsi più probabilmente a Rosa Mancini, cantante attiva a Londra proprio in quel periodo.
Presumibilmente il M. intensificò l'attività di insegnamento, accreditandosi come eccellente talento in tal senso; nel 1757 venne infatti assunto a Vienna come maestro di canto della famiglia imperiale. Nel 1758 i documenti relativi alla corte lo indicano come "K.K. Cammer Musicus" (Vienna, Österreichisches Staatsarchiv, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Hofparteienprotokoll 1758, c. 367), musico di camera, che dovrebbe implicare un ruolo attivo di cantante nelle esecuzioni a corte. Al M. inoltre poteva essere assegnato il compito di allestire, a Vienna e altrove, piccoli eventi musicali cui prendeva parte l'aristocrazia, secondo una secolare tradizione della casa d'Austria.
Il M. appare bene inserito in tutto l'ambiente musicale dell'Europa centrale; il carteggio con Martini, che tra la fine degli anni Sessanta e inizio anni Settanta ruota intorno alle dediche della Storia della musica di quest'ultimo, lo mostra attivissimo mediatore tra l'autore e le corti europee, ansioso di consigliare per il meglio l'antico maestro affinché ottenga una ricompensa che gli permetta almeno di pagare le spese. Inoltre fu proprio il M. a smistare gli esemplari del volume che Martini aveva mandato per Metastasio e altri importanti personaggi del panorama politico e musicale dell'Europa di lingua tedesca.
Nel 1772 il M. incontrò a Vienna Ch. Burney, che puntualmente riferì dell'incontro nei suoi resoconti di viaggio: il M. gli raccontò di aver insegnato canto a otto arciduchesse in quindici anni, più o meno tutte dotate per la musica, con due punte di eccellenza: la principessa di Parma e l'arciduchessa Maria Elisabetta, cui poi il M. dedicò il trattato di canto che in quegli anni era in lavorazione; tuttavia, Burney (p. 126) data la scrittura del libro diverso tempo addietro rispetto all'incontro.
Il 5 apr. 1773, il M. annunciò a padre Martini di aver concluso il trattato, e gli chiese di rivederlo e correggerlo: la corrispondenza che segue quella data ruota intorno alla spedizione della bozza e alla discussione dei consigli dell'autorevole maestro bolognese. Proprio nei mesi in cui il libro andò in stampa il M. divenne accademico filarmonico a Bologna: l'aggregazione nell'ordine dei cantori data 16 marzo 1774, e il diploma gli arrivò giusto in tempo per fregiarsi del prestigioso titolo sul frontespizio della prima edizione del trattato (Catteruccia).
È proprio grazie a quest'opera che il M. acquistò grande notorietà internazionale e che ancora oggi è conosciuto e ricordato. Il trattato di canto, già prima di essere terminato, suscitò grande interesse nell'ambiente musicale e si impose nel tempo come una pietra miliare della letteratura sul canto.
Il libro fu pubblicato nel 1774 a Vienna con il titolo Pensieri, e riflessioni pratiche sopra il canto figurato. L'unico precedente tentativo organizzato di riflessione sull'arte del canto data cinquant'anni prima, e sono le celebri Opinioni de cantori antichi e moderni di P.F. Tosi (Bologna 1723), cui il M. fa abbondante riferimento e nel cui solco sostanzialmente si muove, soprattutto per quanto concerne le indicazioni riguardanti il timbro, la gestione dei registri con la grande attenzione alla fusione perfetta tra quello di petto e quello di testa, e la leggerezza dell'emissione, indispensabile in funzione dell'agilità. Il M. dà nuovo spessore tecnico a quest'ordine di problemi; ma le vere differenze rispetto alle Opinioni stanno nell'abbandono di alcuni schemi tecnici o estetici che da decenni dominavano il panorama della pur scarsa trattatistica vocale. L'impostazione del solfeggio è molto diversa da quella di Tosi, ancora basata sulle mutazioni di Guido d'Arezzo; la distinzione del recitativo in tre stili diversi (camera - chiesa - teatro) non viene riproposta; il sistema di ornamentazione è orientato diversamente rispetto a Tosi, dove è centrale la nozione di "passo", cioè abbellimento contenuto, mentre per il M. sono i trilli e i lunghi passaggi d'agilità al centro dell'attenzione. Soprattutto, pur riconoscendo valore all'espressività, il M. non dimostra la diffidenza di Tosi nei confronti del virtuosismo d'agilità, considerato elemento fondamentale nel bagaglio di un cantante (cfr. Durante, pp. 390 s.), come emerge chiaramente anche dalla polemica con V. Manfredini (cfr. Lettera di Giambattista Mancini maestro di canto dell'imperiale, e real corte di Vienna, diretta all [sic] illmo. sig. conte N.N. [Vincenzo Manfredini], Wien, 7 apr. 1796).
Alla prima edizione ne seguirono altre, fino alla terza, uscita a Milano nel 1777: Riflessioni pratiche sul canto figurato [(]. Rivedute, corrette e aumentate (ed. in facsimile, Bologna 1979), che è la versione definitiva, messa a punto anche grazie alle ripetute osservazioni di padre Martini, che continuò a elargire per lettera consigli e critiche all'amico lontano. Ma già prima di questa revisione, i Pensieri del M. erano stati tradotti in francese da M.-A. Désaugiers (L'art du chant figuré de J.-B. Mancini, Vienne-Paris 1776), in forma rielaborata tenendo conto del pubblico cui si rivolgeva. La traduzione non è letterale e vi sono diversi tagli: la consueta introduzione su "Le eccellenze e i pregi della musica" viene eliminata, in quanto scontata; le considerazioni dell'articolo III sulla barbarie della castrazione sconsiderata, pur condivise dal traduttore, sono ritenute inutili in quanto in Francia non esisteva tale pratica. Vengono inoltre aggiunti riferimenti culturali all'ambiente francese, per avvicinare il testo ai nuovi lettori. Il trattato conobbe poi ulteriori versioni in francese (Parigi 1795; trad. di G. de Rayneval; a partire dal 1780 anche traduzioni parziali in tedesco) e rimase sostanzialmente il punto di riferimento della tecnica vocale per eccellenza fino alla comparsa del grande trattato di canto di Manuel García nel 1840.
Terminate le fatiche editoriali, il M. continuò con l'attività didattica, mantenendo al contempo la sua fitta rete di relazioni. Nel marzo del 1778, per esempio, la corrispondenza con Martini lo mostra intento a mediare la presenza a Bologna di Chr.W. Gluck in occasione di una programmata replica della sua Alceste (lettera da Vienna, 2 marzo 1778, cit. in Catteruccia, pp. 263-265).
Il M. concluse il suo servizio a corte ottenendo un vitalizio e la possibilità di fregiarsi del titolo di "maestro di canto di corte in pensione"; morì a Vienna il 4 genn. 1800.
Fonti e Bibl.: Ch. Burney, Viaggio musicale in Germania e nei Paesi Bassi (1773), a cura di E. Fubini, Torino 1986, pp. 126, 128; J. Gartner, Die Gesangschule G.B. Mancinis, in Der junge Haydn, a cura di V. Schwarz, Graz 1972, pp. 141-146; R. Celletti, Storia del belcanto, Fiesole 1983, passim; S. Durante, Il cantante, in Storia dell'opera italiana, IV, Torino 1984, pp. 378 s., 390 s.; J.Ch. Baird, An 18th century controversy about the trill: M. and Manfredini, in Early Music, XV (1987), pp. 36-45; A. Catteruccia, G.M. e l'insegnamento del canto, tesi di laurea, Univ. di Roma "La Sapienza", a.a 1991-92; C. Sartori, Il libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, II, I cantanti, p. 390; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, p. 733; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004), coll. 953 s.