LORENZI, Giovanni Battista (Giambattista)
Nacque probabilmente nel 1720 o 1721, forse a Conversano, presso Bari.
L'anno di nascita è calcolato a partire da una testimonianza di P. Napoli-Signorelli, che conobbe personalmente il L., e che lo dice "mancato nel 1807, avendo oltrepassati gli anni ottantasei" (p. 129). Quanto al luogo di nascita, anche se nel frontespizio dell'edizione delle sue Opere teatrali (I-V, Napoli 1806-20) è definito "napolitano", nessuna fonte nota lo dice con chiarezza nato a Napoli, mentre sembra attendibile l'indicazione con cui il L. fu registrato tra gli aggregati all'Accademia d'Arcadia: "Giovanni Battista Lorenzi da Conversano" (Giorgetti Vichi).
Nulla si sa della prima giovinezza del L., né della sua prima formazione. Secondo le prefazioni alle Opere teatrali - che, pur tenendo conto del loro carattere fortemente aneddotico, restano comunque le principali fonti per la biografia lorenziana - già in giovane età a Napoli si sarebbe distinto per le non comuni doti poetiche rispondendo per le rime alla famosissima canzonetta di P. Metastasio La libertà. A Nice, meritandosi la stima dello stesso poeta cesareo. Avrebbe quindi divorato i testi dei maggiori autori di teatro: dei comici greci, latini, italiani, spagnoli, francesi e, tra questi ultimi, soprattutto dei tragici.
Fino almeno al 1760 il L. avrebbe tentato delle attività commerciali, ma con esiti finanziari disastrosi (Croce, p. 484). Alla fine degli anni Cinquanta viene fatto risalire l'inizio del suo apprendistato teatrale: recitò prima nella compagnia d'attori dilettanti guidata da Domenico Barone, marchese di Liveri; quindi, alla morte di questo (1757), in quella costituita da Carlo Carafa, duca di Maddaloni, che a Napoli si sarebbe esibita regolarmente anche nel teatrino di corte. In quest'ultima, oltre a distinguersi come attore specializzato nelle parti da innamorato, il L. diede le sue prime prove d'improvvisatore drammatico, su soggetti propri o di G.P. Cirillo, e di adattatore di pièces varie, italiane e straniere. Grazie alle recite che ebbero luogo anche nel palazzo di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, il L. si sarebbe guadagnato con l'amicizia del principe anche un impiego per il disbrigo di "ben più seri affari di quella casa" (Opere teatrali, I, p. IX). Datano a quegli anni anche le prime esperienze del L. come poeta per musica. Nell'estate 1759 fu rappresentata una sua festa teatrale, Il giudizio di Giove, composta per il trasferimento da Napoli a Madrid di re Carlo di Borbone, succeduto a Ferdinando VI sul trono di Spagna come Carlo III, mentre il 30 maggio 1760 debuttò il suo primo, documentato, lavoro per i teatri d'opera della città, il riadattamento per le scene del S. Carlo e le musiche di N. Porpora de Il trionfo di Camilla, un vetustissimo dramma per musica di S. Stampiglia.
Fu in forza di tale esperienza di poeta e di adattatore di drammi per musica - iniziata al S. Carlo forse già nel 1759 - e della stima forse accordatagli in gioventù da Metastasio, che nell'estate 1760 il L. si rivolse a lui per chiedere consigli e, indirettamente, raccomandazioni per un impiego come poeta di teatro presso qualche corte tedesca.
Data al 22 sett. 1760 una lettera di Metastasio, evidentemente in risposta al L. che si trovava "a Bologna". Era in corso la guerra dei Sette anni e Metastasio, sconsigliandolo dall'avventurarsi "ad un passo che, senza qualche miracoloso accidente, potrebbe cagionargli e grave danno ed inutile pentimento", si chiedeva come potesse "cadere in mente a qualche vivente di sceglierla [la Germania] per suo porto". Dalla lettera s'apprende anche quali fossero le reali aspirazioni di poeta teatrale del L., e come godesse della stima di J.A. Hasse e di Carlo Carlani, rispettivamente compositore e tenore impegnati a Napoli, al S. Carlo, nell'autunno 1759 e nel carnevale 1760. All'attività di poeta d'opera, non seria ma buffa, il L. sarebbe giunto per altra via.
Per le recite che la solita compagnia di dilettanti teneva a Torre del Greco nella residenza del consigliere reale Vincenzo Boraggine, il L. scrisse la commedia Don Anchise campanone, o sia Il concerto: entusiasta, il padrone di casa insistette perché la pièce trovasse un pubblico più vasto di quello domestico, così da indurre il L. a trasformarla in una commedia per musica. Con il titolo mutato in Tra i due litiganti il terzo gode, e con la musica del giovanissimo G. Astarita, l'opera andò in scena a Napoli, al teatro dei Fiorentini, nell'autunno 1766. Fu un successo e, nel giro di soli tre anni, il L. produsse cinque nuove commedie, tutte per G. Paisiello, astro nascente dell'opera comica napoletana e suo futuro amico. Da allora l'attività teatrale del L. sarebbe proseguita sul doppio binario della commedia per musica, scritta e premeditata, e della commedia all'improvviso.
All'epoca dei Litiganti il L. era già stato accolto, o era in procinto d'esserlo, nell'Accademia dell'Arcadia con il nome di Alcesindo Misiaco e in quelle non meglio precisate dei Filomati e dei Costanti (tali appartenenze figurano infatti nel frontespizio dei testi apparsi a suo nome tra il 1766 e il 1767).
Privo di riscontri sembra invece lo status di abate, attribuitogli da alcuni biografi ma smentito almeno da un documento del 1763 che, elencando le condizioni degli attori della compagnia che si esibiva a Palazzo, lo definisce "persona civile" (Croce, p. 501).
Un importante successo professionale gratificò il L. e Paisiello nel 1768, quando L'idolo cinese, guadagnatasi l'approvazione del reggente e ministro del Regno B. Tanucci, visto ridere alle lacrime durante una recita al teatro Nuovo nella primavera 1767, ebbe l'onore d'esser rappresentata a Caserta davanti alla coppia reale. Con quell'ammissione a corte, il napoletanissimo genere della commedia per musica, ritenuto sconveniente per i suoi contenuti, riceveva un'approvazione assai importante. A riconoscimento delle sue qualità d'autore drammatico, il 28 dic. 1768 il L. ricevette la nomina alla direzione della compagnia di corte per le commedie all'improvviso, un compito che richiedeva di farsi carico "così dell'invenzione dei soggetti delle comedie, come della disposizione e concerto dei medesimi" e della scelta "tra i comici del real servigio [di] quelli che stimerà più proprii secondo il far di ciascuno perché le comedie possano incontrar bene" (ibid., p. 538).
Con le opere del L., la commedia per musica napoletana si stava staccando dai modi, spesso popolareschi, che l'avevano caratterizzata fino ad allora. Per la scelta di temi e soggetti, il L. si valse delle molte letture e della sua vasta cultura teatrale, attingendo a piene mani, o traendo idee, soggetti o personaggi, da quanto potesse essergli utile: dalla commedia dell'arte, che ancora costituiva un serbatoio ricchissimo di tipi comici dall'efficacia scenica garantita, dai testi di quanti erano stati o erano ancora attivi nel genere della commedia per musica (B. Saddumene, G.A. Federico, F. Cerlone, P. Trinchera ecc.) o in altri generi teatrali comici, non necessariamente operistici (P. Pariati e A. Zeno, P. Chiari, J. Addison), o dalla narrativa (J.-F. Marmontel). Nella condotta dell'azione, temperò la comicità spesso greve ereditata dalla tradizione, nobilitando di quando in quando i drammi con l'inserzione di situazioni tragiche.
Analogamente operò dal punto di vista poetico e linguistico. Conferì ai propri testi coerenza, compiutezza e dignità anche alla semplice lettura, sia facendo risiedere la comicità, grazie a un sapiente utilizzo del lessico e della versificazione, principalmente nel dialogo e nella parola, sia trasformando, sull'esempio di quanto aveva fatto C. Goldoni con la commedia veneziana, il napoletano talvolta troppo salace dei suoi predecessori nel dialetto letterario, quasi di maniera, ma non privo di verve, d'un popolo da ceramica di Capodimonte. Nonostante tali ammorbidimenti delle caratteristiche tematiche e linguistiche più schiettamente partenopee, la persistenza di ampie parti di testo in napoletano e la difformità della commedia per musica rispetto all'assai più diffuso e codificato dramma giocoso frenarono non poco la circolazione extra-napoletana delle partiture che intonavano i suoi testi. Girarono effettivamente nel resto d'Italia e d'Europa solo quelle ritenute davvero imperdibili, e solo a prezzo di importanti revisioni linguistiche e formali - talvolta attuate o sovrintese a Napoli dal L. stesso - volte a ridurre o ad annullare del tutto le caratteristiche napoletane difficilmente esportabili.
L'attività di librettista comico del L. continuò a ritmi sostenuti, per N. Piccinni, Paisiello e A. Pio, fino all'autunno del 1775, quando le rappresentazioni del Socrate immaginario (scritto per Paisiello su un'invenzione drammatica di Ferdinando Galiani) scatenarono l'intervento della censura regia. Dopo la sesta recita, data a corte, le rappresentazioni al teatro Nuovo furono sospese d'autorità reale perché si trovò che l'opera era "indiscreta, né da doversi recitare in pubblico" (ibid., p. 556).
Nei panni di Don Tammaro Promontorio, "uomo impazzito per la filosofia antica", s'era voluto riconoscere Saverio Mattei, ebraista, grecista, poeta fra i seguaci di Metastasio e corrispondente di questo, nonché docente nella R. Università. Il frizzo, la presa in giro di Mattei, dovevano apparire tanto più efficaci quanto più la pièce si presentava perfettamente congegnata dal punto di vista scenico e linguistico e, soprattutto, corroborata da un'intonazione capace di trarre felicemente partito dai momenti in cui la comicità sfociava nel puro delirio. Due esempi per tutti: il duetto Don Tammaro/Mastro Antonio "Sa che sa, se sa, chi sa / che, se sa, non sa che sa. / Chi sol sa che nulla sa / ne sa più di chi ne sa" (atto I, scena 5), intonato dai due personaggi in un canone dal surreale ed esilarante effetto fonico; e l'aria di Tammaro "Figli, ma non di padre, / ecco la vostra moglie; / fatevi, o figli, onor. / Figlia, diventa madre, / anticipa le doglie, / consola il genitor", ecc. (atto II, scena 5), finissima parodia della levigata, essenziale, simmetrica costruzione poetica di certe arie metastasiane.
È tuttavia difficile ancor oggi stabilire se la commedia avesse davvero un bersaglio principale (e se questo fosse davvero Mattei) o invece la ben più vasta categoria degli eruditi saccenti e verbosi. La figura del vecchio "don", fanatico e svanito, dedito alle lettere, alla filosofia o alle scienze, era un topos nell'armamentario teatrale del L.: oltre al Don Tammaro del Socrate, il L. aveva e avrebbe ancora schierato, tra gli altri, un Don Verticchio astronomo (La luna abitata; Paisiello, teatro Nuovo, estate 1768), un Don Gerundio, che lavora tra fuochi e alambicchi (Le vane gelosie, riduzione di Gelosia per gelosia; Paisiello - S. Di Palma, teatro dei Fiorentini, 1790), un Don Gavino "maestro di scuola" (La scuffiara; G. Tritto, ibid., carnevale 1784), un Don Macario "che si crede gran filosofo naturalista e versato in tutte le scienze" (La pietra simpatica; Di Palma, ibid., 1795).
E lo stesso potrebbe dirsi per le parodie stilistiche e le vere e proprie contraffazioni metastasiane: benché Mattei all'epoca riadattasse i drammi del poeta per il S. Carlo, la presa in giro dell'opera seria metastasiana rappresentava semplicemente, a Napoli come altrove, uno dei modi prediletti con cui, nell'opera comica, si strizzava l'occhio a quanti frequentavano entrambi i generi di spettacolo. E comunque nel Socrate v'erano anche altre forme di parodia che non sfioravano minimamente il dotto Mattei, come quella poetica e musicale dell'Orfeo ed Euridice di R. de' Calzabigi e C.W. Gluck, data a Napoli appena l'anno prima: la scena 10 dell'atto II del Socrate rifaceva puntualmente il verso a quella in cui Orfeo affronta le furie stigie.
Venuta meno, dopo il Socrate, anche la saltuaria presenza a Napoli di Paisiello, partito per San Pietroburgo nel 1776, il L. diradò la produzione librettistica, mandando in scena, fino all'autunno 1779, solo quattro commedie per musica, tra cui L'infedeltà fedele, musicata da D. Cimarosa per l'inaugurazione del nuovo teatro del Fondo (estate 1779). Quindi, fino al carnevale 1783, non scrisse più nulla per l'opera. Si trattasse d'emarginazione o d'esilio volontario, è Luigi Serio, all'epoca regio poeta e revisore delle opere per i teatri della città, a rivelare, in una lettera a Tanucci del 27 genn. 1782, in quale situazione il L. si trovasse in quegli anni.
Lamentando la situazione d'anarchia che regnava sulle scene della città, Serio ricordava che "in Napoli ci abbiamo D. Giambattista Lorenzi, uomo di molta cultura nelle cose poetiche e di rara abilità nelle cose teatrali, e questi, oggi, non è più considerato, poiché, avvezzo in altri tempi a dare esso le leggi ai cantanti e al maestro di cappella, non vuol riceverle vergognosamente da loro" (Croce, p. 593).
Forse fu proprio per interessamento di Serio se nel 1783 il L. tornò al teatro, con una produzione di atti unici. Tra questi, Il convitato di pietra (G. Tritto; Fiorentini, carnevale 1783) in cui sono presenti molti degli elementi fondamentali che si ritroveranno di lì a poco nei drammi giocosi dello stesso soggetto di G. Bertati e di L. Da Ponte. Intanto, nel 1780, il Socrate era stato riammesso sui teatri e, forte d'una traduzione italiana delle parti originariamente in dialetto, aveva cominciato a girare l'Italia con grande successo. Il ritorno di Paisiello in patria dalla Russia (1784) si concretò per il L. nella realizzazione di due opere di rilievo destinate, la prima, La modista raggiratrice (Fiorentini, 1787; rielaborazione in tre atti dell'atto unico La scuffiara), ad avere un grandissimo successo per lo più nella Penisola, la seconda, Nina, o sia La pazza per amore, a far addirittura epoca, e a spopolare nei teatri d'Europa fino a Ottocento inoltrato.
Per quest'ultima in particolare, rappresentata nella reggia di Caserta nell'estate 1789, il L., all'epoca ancora direttore del teatrino di corte, aveva riadattato per Paisiello la traduzione che G. Carpani aveva approntato della "comédie mêlée d'ariettes" di B.-J. Marsollier, Nina, ou La folle par amour, musicata da N.-M. Dalayrac nel 1786. L'ambientazione pittoresca, la delicata e malinconica affettività, il recupero patetico della scena di follia di antica ascendenza, la recitazione semplice e realistica - cantata solo a metà, con le parti recitative in prosa affidate alla sola declamazione parlata - e il messaggio illuminista che, attraverso la narrazione d'un amore contrastato, condannava la violenza psicologica della discriminazione classista, erano altrettanti, disparati elementi che contribuirono a render l'opera un oggetto estetico tanto nuovo quanto accattivante. La Nina casertana piacque oltre ogni previsione, e dopo pochi mesi quel riuscitissimo esempio operistico di comédie larmoyante, adattato da uno a due atti dal L. e da Paisiello (Fiorentini, 1790), iniziò a strappare lacrime di commozione fra gli spettatori di tutta Europa.
Nel 1795, dopo un secondo lungo periodo di assenza dalle scene operistiche, iniziato nel 1790, il L. fece la sua rentrée, ai Fiorentini con La pietra simpatica, la prima delle sue ultime tre commedie, scritte per la musica di S. Di Palma. Quel ritorno coincideva con la nomina del L. a regio revisore delle opere da rappresentarsi nei teatri di Napoli, incarico rimasto vacante dopo il ritiro di Serio. In quell'ufficio, conservato almeno fino al settembre 1797, il L. dette prova d'attento zelo intervenendo - negli anni che seguirono la Rivoluzione - su tutto quanto, nei testi inscenati, evocasse anche solo vagamente l'idea di Francia o, peggio, di libertà, e potesse quindi riscaldar gli animi politicamente più turbolenti del pubblico napoletano. Con Le seguaci di Diana, nota altresì come Le ninfe di Diana, commedia per musica in due atti, nel 1805 il L. presentò ai Fiorentini quella che sarebbe stata la sua ultima pièce.
Con ogni probabilità il L. morì a Napoli nel 1807.
Tale ipotesi - fondata sul citato giudizio di Napoli-Signorelli - risulta in accordo con la prefazione al volume primo (1806) delle Opere teatrali, in cui si parla del L. come persona vivente, ma in contrasto con quella al volume secondo (1813), che indica l'anno di morte nel 1805.
Opere, oltre quelle citate. Commedie in prosa: Il bugiardo (da C. Goldoni); L'inganno (ante 1789; l'Enciclopedia dello spettacolo attribuisce erroneamente al L. numerose commedie a soggetto di G.P. Cirillo); cantate: La nuova beltà (G. Paisiello; Napoli 1767); oratori: Il convito di Baldassarre (diversi compositori; teatro Nuovo, quaresima 1786); opere comiche, tutte, ove non diversamente indicato, commedie per musica in tre atti, rappresentate per la prima volta a Napoli: Il furbo malaccorto (Paisiello; Nuovo, inverno 1767); La finta maga per vendetta (Id.; Fiorentini, autunno 1768); D. Chisciotte della Mancia (Id.; ibid., estate 1769); Gelosia per gelosia (N. Piccinni; ibid., estate 1770); La corsala (Id.; ibid., autunno 1771); Le trame zingaresche (Id.; ibid., estate 1772); Gli amanti comici (rielab. di Tra i due litiganti il terzo gode; Paisiello; Nuovo, autunno 1772); Il tamburo (Id.; ibid., primavera 1773); La pazzia giudiziosa (burletta con maschere per musica; un atto; A. Pio; ibid., carnevale 1774); Don Taddeo in Barcellona e Il duello (entrambe di un atto; rispettivamente Id. e Paisiello; ibid., primavera 1774); Il divertimento de' numi (scherzo rappresentativo per musica; un atto; Paisiello; palazzo Reale, 4 dic. 1774); La fuga (G. Monti; Nuovo, estate 1777); Li tre Eugenii (riduzione in un atto de Il furbo malaccorto; F. Lenzi; ibid., carnevale 1778); Il geloso sincerato (Monti; Fondo, autunno 1779); Li due gemelli (un atto; G. Tritto; Fiorentini, carnevale 1783); L'apparenza inganna, o sia La villeggiatura (due atti; D. Cimarosa; ibid., primavera 1784); La finta zingara (farsa per musica; un atto; P.A. Guglielmi; ibid., carnevale 1785); Il marito disperato (dramma giocoso per musica; due atti; Cimarosa; ibid., 2a opera 1785); Gli amanti ridicoli (due atti; Di Palma; ibid., 3a opera 1797); adattamenti e riduzioni: Il fanatico in berlina (da La locanda di G. Bertati; Paisiello; ibid., carnevale 1792); La serva onorata (da Le nozze di Figaro di L. Da Ponte; dramma giocoso per musica; due atti; Piccinni; ibid., 2a opera 1792). Tutti i libretti realizzati tra il 1766 e il 1775 sono raccolti nelle citate Opere teatrali di Giambattista Lorenzi napolitano.
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