LAZZARONI, Giovanni Battista
Nacque a Cremona, in una casa della parrocchia di S. Prospero, il 29 maggio 1626 da Pietro Antonio e Laura Baroni (Fiori, 1970).
Le scarne informazioni sui primi anni del L. riferite dalle fonti (Arisi, Zaist, Lanzi, Ticozzi, De Boni) concordano nell'ascrivergli una precoce inclinazione alle arti del disegno, raffinata in patria sotto il magistero del cremonese Giovan Battista Tortiroli, con la sola eccezione di Grasselli che ne riconduceva la formazione presso il maestro di Tortiroli, Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino.
Lasciata la città natia a una data imprecisata, ma plausibilmente ancora giovane, il L. dovette svolgere un'intensa attività a Piacenza, Parma, Modena e Milano (Zaist), della quale oggi, tuttavia, rimangono a testimonianza solo due modeste opere devozionali: la pala d'altare, firmata, della parrocchiale di Samboceto nel Parmense (Fiori, 1995, p. 70), e l'altra, firmata e datata 1656, posta sull'altare della Madonna dell'Aiuto nell'oratorio di S. Croce annesso alla rocca di Soragna, già sede della Confraternita dei Crocesegnati, raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Filippo Neri e Domenico, il cui poco armonico impianto compositivo, risultato di una ripresa di singoli motivi da due opere reniane, è tradotto in chiave stilistica tardocinquecentesca (Godi).
Fu probabilmente su suggerimento medico che nel 1664 il L., affetto da podagra, lasciò Milano per la climaticamente più salubre Piacenza (Zaist), città dalla quale non si sarebbe mai più allontanato.
Lo attestano anche i documenti, che ne registrano le successive residenze: prima nella parrocchia della cattedrale, dove nello stesso 1664 sposò la milanese Anna Maria Marzorati; quindi, dal 1670, in quella dei Ss. Simone e Giuda, ove si stabilì con la moglie, un fratello, Carlo Maria, morto nel 1677, e il pittore cremonese Marco Antonio Rizzi; infine, dallo stesso 1677, insieme con Rizzi e con la sua famiglia, nella parrocchia di S. Donnino, in una casa del monastero di S. Siro, nell'abitazione tuttora riconoscibile in quella all'incrocio tra via S. Siro e via S. Franca (Fiori, 1995, pp. 70, 84 n. 13).
A Piacenza, che non vantava ancora una solida tradizione locale nell'ambito della ritrattistica, il L. trovò il contesto più idoneo per affermarsi in qualità di specialista del genere "riuscendo a maraviglia, non solamente per la naturalezza" ma anche "per la bizzarria degli abiti, confacenti a personaggi rappresentati", abbandonando del tutto la produzione di altri soggetti per far fronte agli ordinativi "che in grandissima copia lui venivano giornalmente commessi" (Zaist). In realtà, gran parte della produzione del L. menzionata nei documenti e nelle fonti risulta oggi perduta.
Oltre a quelli degli esponenti di casa Farnese, del duca Ranuccio II, delle sue due mogli Isabella d'Este e Maria d'Este, del principe Alessandro e della principessa Isabella (ibid.), è il caso dei sette ritratti, di identità ignota, che figuravano alla data del 1692 nella raccolta della contessa Angela Pusterla Mancassola, lasciata in eredità al nipote Francesco (Fiori, 1971); dei ritratti di alti prelati, tra i quali Giorgio Barni vescovo di Piacenza, e Ludovico Giustiniani vescovo di Assisi, e dei generali dell'Ordine dei gerolamini; dei ritratti dei rappresentanti della nobiltà piacentina, tra cui i conti Anguissola e il conte Ippolito Borghi, presidente del Consiglio in città; di quelli, infine, che i vari forestieri avrebbero richiesto al pittore di fama in ricordo del loro passaggio in città (Zaist).
A conferma della sua intensa attività in questo campo rimangono altri quadri, in varie sedi cittadine, eseguiti quasi certamente tutti subito dopo la morte dei protagonisti al fine di alimentarne la memoria attraverso l'effigie dipinta.
Si ricordano il ritratto del Vescovo Giuseppe Giandemaria, da identificarsi forse nel dipinto nell'episcopio; quelli, nel convento delle teresiane, delle monache Anna Guazzi dell'Assunzione e Maria Eletta di S. Teresa, decedute rispettivamente nel 1680 e nel 1689, firmati sul retro della tela; il ritratto del nobile Giuliano Gulieri, presso gli eredi, datato 1682 e firmato "I. B. L. C(remonensis) p(inxit)" e quello, parimenti siglato, del sacerdote Carlo Gazzola, benefattore del ricovero delle preservate, morto nel 1687, conservato presso gli ospizi civili; infine, a testimonianza dei numerosi ritratti probabilmente ancora in collezioni private piacentine, quello del marchese Orazio Casati Rollieri, morto nel 1683, in cui la resa accurata è propria solo del volto, rendendo probabile l'ipotesi della collaborazione di un aiuto (Fiori, 1995).
L'ultimo documento riconducibile all'attività del L. è il pagamento di 188 lire che questi ricevette dalla Confraternita della Cintura il 18 nov. 1688, per il ritratto del notaio Celestiano Ragalli, non identificato (Id., 1970, p. 94).
A questo quadro frammentario di conoscenze occorre però aggiungere la notizia riferita da Arisi di quell'esercizio letterario nel quale si dilettò il L., autore di due commedie: Il principe Pomiraldo, edita a Piacenza nel 1668, della quale è stato individuato un esemplare a Washington, Library of Congress, e L'Aganone, pubblicata postuma nel 1713, della quale, invece, non sembra sopravvivere alcuna versione.
Il L. morì a Piacenza il 27 ott. 1699.
Fu sepolto nella parrocchia di S. Dalmazio dove aveva sede la Confraternita dello Spirito Santo di cui era membro (Fiori, 1970), lodato nell'atto di morte dal parroco di S. Donnino perché "veris ac nativitis coloribus exprimens" le sembianze dei suoi numerosi modelli (Fiori, 1995, p. 71). Non avendo avuto figli, lasciò i suoi beni alla moglie che si risposò con Rizzi, rimasto anche lui vedovo e al quale passò anche l'eredità della bottega.
Fonti e Bibl.: F. Arisi, Cremona literata, III, Cremona 1741, pp. 134 s.; G.B. Zaist, Notizie istoriche de' pittori, scultori ed architetti cremonesi, II, Cremona 1774, pp. 88 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1789), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 279; S. Ticozzi, Diz. dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, Milano 1818, p. 279; G. Grasselli, Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, p. 146; F. De Boni, Biografie degli artisti, Venezia 1840, p. 78; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, p. 281; G. Fiori, Notizie biografiche di pittori piacentini dal '500 al '700, in Arch. stor. per le provincie parmensi, XXII (1970), pp. 84, 93-95; Id., Documenti su pinacoteche e artisti piacentini, in Studi storici in onore di Emilio Nasalli Rocca, Piacenza 1971, p. 235; G. Godi, Soragna: l'arte dal XIV al XIX secolo, Parma 1975, pp. 15, 41 s., 178 tav. 14; B. Colombi - G. Godi, Arte e fede nelle chiese di Soragna, Soragna 1981, p. 42, tav. 79; M. Giusto, Il ritratto pubblico e privato nel Seicento a Parma e Piacenza, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, II, Milano 1994, p. 187; G. Fiori, La ritrattistica a Piacenza dal '600 al '700: la "riscoperta" di G.B. L., di Venceslao Carboni e dell'incisore Antonio Fritz, con inventari di pinacoteche e documenti, in Strenna piacentina, 1995, pp. 70 s., 84; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 493.