LAMPI, Giovanni Battista
Pittore, nato a Romeno in Val di Non (Trentino) il 31 dicembre 1751, morto a Vienna l'11 febbraio 1838. Figlio di Mattia Lamp originario della Pusteria, pittore di poco conto, fu mandato diciassettenne a Salisburgo, e un anno dopo a Trento, presso certo Rensi. Nel 1770 si trasferì a Verona, dove entrò nello studio di Francesco e Domenico Lorenzi, vivaci pittori tiepoleschi; nel '73 fu iscritto a socio di quell'Accademia di belle arti. Nello stesso anno tornò a Trento, dove rimase sino al 1780, dipingendo pale d'altare e ritratti del clero e dei nobili, accolti con molto favore. Per invito del conte de Heister si recò a Innsbruck, dove, tra l'altro, eseguì il ritratto dell'arciduchessa Elisabetta; passò poi a Klagenfurt, dove italianizzò in Lampi il proprio cognome. Andato a Vienna verso la fine del 1782, con la protezione del barone Sperges, presidente di quell'Accademia di belle arti, vi fu accolto dapprima quale assistente, e nell''86 vi fu nominato professore, dopo aver avuto l'incarico di ritrarre l'imperatore Giuseppe II.
Nel 1788 Stanislao Augusto Poniatowski, re di Polonia, lo invitò a Varsavia. Tre anni più tardi si recava in Russia, dove eseguì i ritratti delle maggiori personalità dell'impero, a cominciare da Caterina II. Morta questa nel 1796, tornò a Vienna. Nel 1798 ebbe il titolo nobiliare e un anno dopo fu nominato cittadino onorario. A Vienna passò il resto della sua vita, lunga e feconda.
Numerosissime le sue opere. Nel Trentino, un affresco con l'Incoronazione della Vergine nella parrocchiale di Romeno, che fu la sua prima impresa; a Sanzeno, una pala (1775); a Cavareno, una Maddalena (1776); a Bleggio, nella chiesa di Santa Croce, un San Luigi (1777); a Cles, ai Cappuccini, una Deposizione (1779), ecc. A Trento vi sono suoi ritratti: del Poniatowski, al Museo nazionale del Buonconsiglio; del vescovo Sizzo, al Vescovado; e molti altri presso privati. A Innsbruck, al Ferdinandeum, un ritratto del barone Sperges, e un autoritratto; a Vienna, alla Galleria dell'Accademia, un autoritratto, un ritratto del principe Kaunitz (1786), uno di Giuseppe II, ecc.; alla Galleria del Belvedere, altre sue opere; al Museo storico cittadino, un ritratto di Haydn; nella raccolta Czernin, il ritratto del conte Czernin. A Varsavia (Museo nazionale); a Cracovia (Museo nazionale), a Leningrado (Ermitage: Stanislao Augusto re di Polonia, Caterina II di Russia, di cui molte repliche); a Mosca, a Odessa, e in molte altre gallerie restano suoi ritratti.
L'attività del L. si può dividere in tre periodi: il primo, veronese e trentino, sino al 1783 circa; il secondo, viennese, polacco e russo, sino al 1810 circa; l'ultimo viennese ancora, sino alla fine. A Verona egli viene a contatto con la pittura del Cignaroli e del Rotari, dei quali si scorge l'ascendente nei suoi ritratti trentini. A Vienna, l'influsso del Füger è prevalente; ma vi si notano anche inquinazioni francesi e inglesi. Nell'ultimo periodo, la sua pittura, costretta dalle nuove norme neoclassiche, si fa fredda e compassata.
La grande fortuna del L. non fu immeritata: i suoi ritratti, pieni di vita e di spontaneità, vanno giustamente considerati tra le più significative documentazioni del tempo. Fu sua dote precipua quella di saper caratterizzare i personaggi anche negli atteggiamenti e coglierne perfetta la somiglianza fisionomica senza caricarne i tratti, anzi idealizzandoli, come si può osservare specialmente nei suoi ritratti femminili. Le sue opere, anche quelle della prima maniera, denotano una fatalità di getto e una larghezza di fattura che sono proprie della tradizione veneziana: e spesso i ritratti di quegli anni rammentano il brio d'un Alessandro Longhi, le squisitezze d'una Rosalba Carriera. Certa morbidezza di trattamento egli mantenne anche in seguito, e usò anche nei ritratti virili; mentre invece perdette, nell'ultimo periodo, il brio e la scioltezza, seguendo la corrente neoclassica. Ebbe il L. anche una sensibilità assai personale nel colorito: nel primo periodo, riflesse su tonalità brune, le sue note grigio-azzurre e rosa-pallide già accennano a una preferenza coloristica ch'egli seguirà a lungo; più tardi imposta l'armonia delle sue pitture su accordi più vivaci, smorzati spesso con accorto uso di dominanti grigio-perla; nell'ultimo periodo la fusione cromatica s'infiacchisce, il colore si localizza e termina nell'accidia della corrente accademica viennese d'allora. Furono pittori anche i figli del L.: Giovan Battista il Giovane (1775-1837) e Francesco Saverio (1782-1852).
Bibl.: Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXII, Lipsia 1928 (con ampia bibliografia). L'opera più importante sulla famiglia dei Lampi è di L. Rosati, Notizie storiche intorno ai pittori Lampi, Trento 1925, con ricca documentazione d'archivio, ma inesatta in qualche attribuzione; per l'esame critico, v. A. Morassi, G. B. Lampi e i suoi figli, in Dedalo, VII (1926-1927), pp. 568-597.