GUELFI, Giovanni Battista
Scarse sono le notizie relative alle origini e alla formazione di questo scultore nato, con ogni probabilità, a Roma tra il 1690 e il 1691 da Bartolomeo e Margherita Naldini. Il padre, originario di Sforzatica (Bergamo), aveva una bottega di "linarolo, canaparo e funaro" nei pressi di S. Andrea delle Fratte e alla sua morte, nel 1706, nominò eredi universali i figli Carlo Domenico e Giovanni Battista. A questa data, il G. aveva già iniziato il discepolato presso la bottega di Camillo Rusconi, ed è probabile che abbia collaborato attivamente ad alcuni lavori del maestro che, proprio nel 1706, lo pagò 200 scudi (11 gennaio) e 100 scudi (27 marzo).
Sul finire del secondo decennio del Settecento il G. entrò in contatto con la vivace comunità di artisti forestieri, allora numerosi a Roma, e in particolare avviò un rapporto di collaborazione con il pittore e architetto William Kent, che risiedette in Italia, per completare la sua formazione artistica, dal 1709 al 1719. Tramite Kent, lo scultore conobbe Thomas Fermor, secondo barone di Leominster, in visita a Roma tra il giugno e il novembre del 1718, e con lui sottoscrisse un accordo in base al quale si impegnava a portare a termine i suoi lavori entro un anno, al fine di potersi recare in Inghilterra alle sue dipendenze (Blackett-Ord). La presenza del G. in Inghilterra è testimoniata da John Bridges che nel luglio del 1721, presso la dimora di lord Leominster, vide il G. impegnato "in making perfect those statues maimed" (Oxford, Bodleian Library, Top. Northants, f. I [60 a]).
Si tratta dei famosi marmi Arundel acquistati nel 1691 da sir William Fermor, padre di Thomas. Donati nel 1755 all'Università di Oxford, vennero immortalati nel volume di Richard Chandler dal titolo Marmora Oxoniensia (1763). I marmi sono conservati oggi all'Ashmolean Museum, privi delle aggiunte settecentesche tolte nel 1887 per volontà dell'allora direttore Percy Gardner. Tuttavia, grazie al raffronto comparato delle fonti (Vertue, 1758; Michaelis, 1882) e alle tavole pubblicate da R. Chandler è possibile risalire a sette sculture sulle quali il G. intervenne: Flora, Minerva, Atena, Camilla, Venere, Eracle, Bacco. Di questo gruppo fa parte anche una Sfinge, interamente scolpita dal G. e a lui attribuita da Penny (1992), mentre è assai probabile che l'artista abbia eseguito all'interno della hall di Easton Neston alcune decorazioni in stucco, andate distrutte alla fine del XIX secolo (Bailey).
A decretare l'iniziale successo dello scultore italiano in Inghilterra, fu soprattutto Richard Boyle, terzo conte di Burlington e quarto conte di Cork, allora impegnato a promuovere il suo programma architettonico ispirato all'arte di Andrea Palladio. Insieme con Kent, che già dal 1719 lavorava alle dipendenze di Burlington, il G. divenne lo scultore ufficiale del cosiddetto circolo neopalladiano; il conte, infatti, oltre a commissionargli molte opere per la sua dimora londinese a Piccadilly e per la erigenda villa di Chiswick, gli procurò numerosi incarichi di lavoro presso la nobiltà locale (Vertue, Note books).
Questo particolare genere di mecenatismo se da un lato garantì all'artista una fonte costante di committenze, dall'altro si rivelò anche la causa principale del suo declino. Infatti, venuto meno il sostegno di Burlington, che nel 1734 si ritirò dalla vita pubblica rinunciando alle numerose cariche ufficiali, il G. si rivelò incapace di inserirsi nel vivace mercato artistico londinese, dominato da scultori come John Michael Rysbrack e Peter Scheemakers.
La maggior parte delle opere che il G. realizzò per il suo potente protettore, erano destinate ad abbellire la villa suburbana di Chiswick, progettata dallo stesso Burlington. Tra queste, si ricordano le due statue di Venere e Mercurio, oggi perdute, che originariamente ornavano le nicchie della galleria, e i due piccoli busti in marmo, entrambi conservati a Chatsworth nel Derbyshire, identificabili con il busto di Satiro e con la Testa di bambino, probabile ritratto di Juliana Boyle, una delle tre figlie del conte, morta nel 1730 all'età di tre anni. Sempre per la galleria, il G. collaborò con lo scultore John Boson alla realizzazione di due consoles in legno dorato, disegnate da Kent e ispirate al trionfo di Venere (Hardy - Harris), mentre per il giardino scolpì le due Sfingi in pietra di Portland, collocate ai lati del prato che fronteggia il lato nord della villa (Davis).
Nel 1724, il G. iniziò a lavorare al Monumento del segretario di Stato James Craggs (morto nel 1721), senza dubbio la sua commissione pubblica più importante sia per l'alto rango del personaggio che per la prestigiosa destinazione, la navata dell'abbazia di Westminster.
L'opera, disegnata dall'architetto James Gibbs e completata dall'accorato epitaffio composto da Alexander Pope, fu portata a termine nel 1727 e ottenne un notevole successo; non solo la critica la giudicò "delicate and fine" (Ralph, 1734), ma la tipologia iconografica, con il defunto rappresentato in piedi e appoggiato a un'urna, venne ripresa da numerosi scultori per tutto il corso del Settecento. Al John Soane Museum di Londra è conservato il modello in terracotta, che presenta il volto del segretario modellato in cera su un supporto asportabile.
Sempre per la famiglia Craggs, sembra assai plausibile che il G., da solo o in collaborazione con John Boson, abbia realizzato anche i due monumenti commemorativi di Elizabeth Craggs e di Michael Richards (Charlton, St. Luke Church), rispettivamente madre e zio di James.
Seppur con alcune varianti, il G. ripropose la medesima struttura compositiva del Monumento Craggs in altre due opere di poco posteriori. Si tratta del documentato Monumento al conte di Warwick in St. Mary Abbots a Kensington (1730), in cui la figura del defunto è rappresentata seduta, e di quello dedicato a Thomas Watson Wentworth nella cattedrale di York (1731). Quest'ultimo, disegnato da Kent, presenta la significativa aggiunta della cosiddetta "mourning lady", la vedova inconsolabile seduta ai piedi del defunto marito. La netta impronta neopalladiana di queste opere venne riproposta in maniera ancor più incisiva nel Monumento commemorativo della duchessa di Richmond (1734: Deene, Northamptonshire), in cui l'elegante struttura architettonica è esemplata sul frontespizio delle Fabbriche antiche di A. Palladio, volume pubblicato da lord Burlington nel 1730. Insieme con Kent, autore del disegno, collaborarono Boson, che scolpì l'edicola, e il G. che realizzò e firmò il busto della duchessa, il cui modello in terracotta è conservato al Victoria and Albert Museum. Sempre caratterizzati dalla presenza dei busti ritratto, sono i tre monumenti commissionati al G. da Thomas Fane, sesto conte di Westmorland, per adempiere alle ultime volontà della defunta moglie Katherine Stringer. Il primo a essere realizzato, su disegno di Kent, fu quello a Thomas e Katherine Stringer, genitori della contessa (1731: Kirkthorpe, West Yorkshire), per il quale lo scultore ricevette un compenso di 150 sterline. Seguirono poi il monumento a Richard Beaumont, primo marito della Stringer (1731-32: Kirkheaton, Yorkshire), pagato 100 sterline, e quello dedicato al colonnello Thomas Stringer, in cui il defunto è rappresentato con indosso una raffinatissima armatura, ispirata a un prototipo cinquecentesco lombardo.
Nel maggio del 1726, la nomina di Kent a "master carpenter" della Casa reale favorì notevolmente l'ascesa del G. che, a partire dall'anno successivo, iniziò a essere coinvolto in una serie di progetti per la Corona sovrintesi dallo stesso Kent. Nel 1727 venne pagato 57 sterline e 15 scellini per realizzare i candelieri destinati a illuminare la hall di Westminster durante la cerimonia di incoronazione di Giorgio II. Nel 1730 lo stesso re gli commissionò tre teste in marmo statuario per decorare un caminetto nella old lodge di Richmond, dimora prediletta da Giorgio II e dalla regina Carolina, andata distrutta nel 1771. A Richmond la regina concentrò la sua attenzione sulle trasformazioni del grande giardino, che venne completamente rimodellato e arricchito con alcuni bizzarri edifici. Tra questi spiccava il cadente grotto (oggi distrutto), ideato da Kent, per il quale, nel 1731, furono commissionati al G. quattro busti in pietra raffiguranti Isaac Newton, John Locke, Samuel Clarke e William Woolaston. A questi, ne venne aggiunto successivamente un quinto dedicato a Robert Boyle. Poco dopo l'inizio dei lavori, si decise di realizzare le opere nel più pregiato marmo e l'intera commissione, per motivi non ben precisati, passò a M. Rysbrack.
La critica ha da sempre assegnato a Rysbrack i cinque busti, oggi conservati a Kensington Palace; tuttavia almeno i ritratti di Clarke (1731-32) e di Boyle (1733 circa) furono eseguiti con certezza dal Guelfi. Nel primo caso fu lo stesso Rysbrack a negare la paternità dell'opera in una lettera del gennaio 1756 inviata a sir Edward Littleton (Webb, 1954); nel secondo caso, invece, è un pagamento del 1732 a certificarne l'autografia (Kew, Public Record Office, AO 1/2454/166). La stessa cifra (68 sterline) comprendeva anche il compenso per il restauro e il trasporto di una statua di Venere di epoca ellenistica acquistata da Carlo I con la collezione Gonzaga (Londra, British Museum). Recentemente è apparso sul mercato antiquario londinese un secondo busto di Boyle, anch'esso ascrivibile al G., e assolutamente identico a quello di Kensington per materiale e misure.
George Vertue, nei suoi Note Books, ci informa che il G. lasciò l'Inghilterra nel 1734 e si recò a Bologna; tuttavia negli archivi cittadini non è stata rilevata alcuna traccia della sua presenza. Il G., probabilmente già ammalato, dopo la partenza da Londra e una breve sosta a Livorno presso il fratello Carlo, nel 1735 risulta nuovamente a Roma.
Il 29 febbr. 1736 "gravemente infermo, e languido di corpo" fece testamento (Archivio di Stato di Roma, 30 Notai Capitolini, Uff. 7, vol. 17, c. 16r); tra i testimoni, si segnala lo scultore Giuseppe Rusconi.
Il G. morì a Roma il 1° marzo 1736 e fu sepolto nella chiesa di S. Andrea delle Fratte.
Tra le opere variamente attribuite al G. si ricordano i busti di Thomas Fermor e di sua moglie Henrietta Louisa all'Ashmolean Museum di Oxford (Penny, 1992), più probabilmente opera di Joseph Wilton; quello di John Locke, in collezione privata inglese (Webb, 1960); quello in pietra di Isaac Newton, appartenuto ad Alexander Pope e oggi a Scone Palace nel Perthshire (Id., 1952); i due busti di Chatsworth (Derbyshire) che ritraggono AndreaPalladio e Iñigo Jones, già ascritti anche a Rysbrack (Jackson-Stops).
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