GRANDI, Giovanni Battista
Figlio di Antonio Maria, nacque a Varese nella parrocchia di S. Vittore e fu battezzato il 6 giugno 1643. Accanto ad A. Castelli, detto il Castellino, il G. ricevette forse la prima formazione artistica nell'ambiente, scarsamente noto, dei quadraturisti Mariani (Orlandi). Impregnata della cultura figurativa lombarda della seconda metà del Seicento, l'educazione del G. si definì a confronto con la solidità grave e il marcato plasticismo del quadraturismo locale, declinato in un formulario pittorico attento all'effetto teatrale, con più moderne aperture a suggestioni bolognesi e a echi romani, sensibile poi all'impostazione solida e precisa degli scorci di A. Pozzo. Fonti di ispirazione privilegiate per il G. furono le grandiose scenografie dipinte della certosa di Pavia e le imponenti quadrature di F. Villa al Sacro Monte di Varese. Proprio un Sacro Monte, quello di Varallo, vide l'esordio del G., impegnato nella decorazione della cappella XXXII di Gesù che sale al pretorio; oggi in avanzato stato di deperimento, datata, forse troppo anticipatamente, intorno al 1665 (Debiaggi), dovette comunque essere realizzata entro il 1671. Nel 1679 sarebbe tornato a Varallo per eseguire le architetture dipinte nella cappella di Gesù ricondotto davanti a Pilato.
Al primo momento dell'attività del G. risale anche l'incisione di traduzione dell'ancona della chiesa della Beata Vergine del Pianto a Robbiate, nel Comasco, conservata presso la Civica Raccolta A. Bertarelli al Castello Sforzesco di Milano: disegnata dal G. dopo il 1670, da un'invenzione di G.S. Doneda detto il Montalto, la stampa è costruita sul forte aggetto di sei colonne corinzie, due delle quali tortili, e da una trabeazione spezzata, che inquadrano prospetticamente la pala d'altare centrale (Tirloni).
Nel 1677 il G. intervenne nella realizzazione del perduto ciclo di affreschi per la cappella dell'Umiltà nella chiesa di S. Francesco a Varese, entrando in contatto con il figurista F. Bianchi, con cui avrebbe avuto successive importanti occasioni di collaborazione.
A partire da questa data, accanto al G. operò costantemente il fratello Girolamo.
La carriera pittorica di Girolamo, nato a Varese l'11 marzo 1658, si svolse all'ombra del fratello maggiore, come confermano i contratti e le fonti che alternatamente richiamano il nome del G. o di entrambi i fratelli. Girolamo morì a Milano il 3 maggio 1718 e fu sepolto nell'oratorio dell'Angelo Custode, annesso alla chiesa del S. Sepolcro, alla cui decorazione aveva poco prima preso parte.
Dal 1681, ma forse già prima, il G., con Girolamo e alcune sorelle, si stabilì a Milano in parrocchia S. Salvatore, qui documentato con continuità per oltre un decennio, in sintonia con il sempre più stabile inserimento nell'ambiente artistico locale. Nel 1681 fu incaricato insieme con F. Bianchi di eseguire gli affreschi della cappella XIV del Rosario al Sacro Monte di Varese, più tardi in realtà realizzata da S. Legnani, detto il Legnanino (Merelli). La continuità di relazioni con Bianchi portò il G. a siglare il 27 ag. 1683, insieme anche con F. Abbiati, l'importante contratto con il collegio barnabita di S. Alessandro in Zebedia a Milano. Impegnatosi a realizzare entro il mese di marzo del 1686 la decorazione del coro e della cappella maggiore della chiesa, il G. fu successivamente a più riprese attivo presso il cantiere che, guidato dal progetto iconografico di D. Supensi, costituisce il complesso decorativo più omogeneo della Lombardia tardobarocca.
Nel 1685 si deve porre una breve parentesi toscana dei fratelli Grandi che in quell'anno furono impegnati nella certosa di Calci presso Pisa: è probabile che a chiamarli fosse stato proprio il priore, B. Besozzi, di origine milanese (Carubelli, 1978, p. 110).
Problematica, forse frutto di un fraintendimento da parte delle fonti ottocentesche (Piombanti, pp. 244 s.), è invece la notizia di un soggiorno del G. a Livorno, impegnato, ancora con Girolamo, in interventi di decorazione nella cappella di S. Giuseppe nella chiesa di S. Sebastiano e nella volta della chiesa di S. Barbara, entrambi perduti.
Intenso e meglio documentato, il percorso del G. nell'ultimo decennio del secolo appare paradigmatico delle tensioni interne alla cultura figurativa lombarda, ancorata a un bagaglio iconografico tardosecentesco, ma già precocemente percorsa da istanze di innovazione in direzione rococò. In questo senso, significativo per il G. fu il contatto con il figurista G. Bonola che, rientrato da Roma con un bagaglio figurativo di tipo marattesco, coinvolse numerosi frescanti lombardi nella decorazione della cappella di S. Luca nella parrocchiale di S. Stefano a Corconio nel Novarese, avviando, fra 1691 e 1693, una riflessione sulla lezione classicista romana che maturò qualche anno più tardi. Con Bianchi, il G. fu invece attivo nel sottarco e realizzò anche "due portine laterali di vaga et ricca inventione" di cui ne rimane soltanto una (Savoini, 1994, p. 151).
Intorno al 1694, e comunque entro il 1699, il G. fu impegnato, sempre con il fratello, nella cappella XIII della Pentecoste al Sacro Monte di Varese, affrescata lungo il vano circolare e nella cupola, poi ridipinta, dove, attraverso la finzione illusionista della quadratura, realizzò un porticato sorretto da otto imponenti colonne tortili dalla elaborata decorazione a carattere zoomorfo e vegetale. In diretta continuità con questi lavori, la collaborazione con Bianchi continuò nella cappella XIII dell'Umiltà di s. Francesco al Sacro Monte d'Orta.
Nel 1695, sulla scia dell'esperienza di decorazione della cappella di S. Stefano, il G. aderì con il fratello alla neonata Accademia di S. Luca a Corconio, che intorno al nome di C. Maratta aveva catalizzato l'attenzione di numerosi pittori lombardi, in una stagione intensa se pur breve, importante nell'apertura al nuovo secolo rococò (Savoini, 1992). In questo contesto avvenne probabilmente l'incontro con il Legnanino, con il quale, entro il dicembre del 1695, il G. siglò il Paradiso della volta della cappella dei banchieri e dei mercanti a Torino, commissionata da A. Provana, direttore della Congregazione gesuita.
L'influsso del Legnanino verso una pittura ariosa e libera dalle pesantezze della quadratura architettonica proseguì sullo scorcio del secolo in occasione di ripetute collaborazioni. Nel 1696 il G. fu infatti coinvolto, insieme con Girolamo, nella prestigiosa commissione del torinese palazzo Carignano, dove lavorò nell'ala settentrionale, nell'appartamento del pianterreno, nella galleria e al piano nobile. Tra il luglio e il dicembre del 1698 si scandiscono i pagamenti al G., documentato anche come responsabile dei lavori a stucco e d'intaglio, per i quali fornì i disegni e diresse le maestranze; mentre non sembrano a lui attribuibili gli affreschi per il lato meridionale del piano nobile, dove in anni successivi continuò a dipingere il Legnanino.
La rinnovata concezione dello spazio del Legnanino costruito, attraverso suggestioni genovesi, per dissolvenze cromatiche e colori digradanti, trovò nel G. un sensibile e attento interprete, stimolandolo a un'armonica e graduale evoluzione della sua cifra stilistica monocroma verso delicate tonalità pastello. I soggetti mitologici delle volte si inseriscono in partiti prospettici ariosi e leggeri, la cui freschezza inventiva svela una tendenza ormai barocchetta negli sfondi impreziositi da motivi floreali, mazzi di fiori, pendagli che coinvolgono nel festoso gioco ornamentale anche volute, ovuli classici e scanalature geometriche, residui di un precedente repertorio figurativo.
La collaborazione con il Legnanino proseguì a Milano nella cappella della Scuola della Beata Vergine Addolorata in S. Maria in Beltrade, dove il G. fu attivo dopo il 1697 ed entro il 1701.
Commissionate nella primavera del 1698 e concluse tra aprile e agosto del 1699, seguirono poi le quadrature per il sottarco del presbiterio della chiesa di S. Maria dell'Incoronata a Lodi: ancora una volta a supporto delle figure angeliche dipinte dal Legnanino, in un'inedita collaborazione con il quadraturista P. Romagnolo (Dell'Omo, p. 181), il G. è anche ritenuto responsabile della progettazione architettonica della nuova cappella maggiore (Novasconi, p. 53), prospettando la possibilità di un'estensione di competenze che, non documentata, è stata tuttavia più volte richiamata.
Rientrato a Milano, il G. lavorò, probabilmente sullo scorcio del secolo, ai perduti affreschi di S. Caterina di Brera (Orlandi), e collaborò con G. Parravicini, detto il Gianolo, altro importante membro dell'Accademia di Corconio, alla decorazione dell'oratorio di S. Michele dei Disciplinati presso S. Calimero, restaurato con la partecipazione di R. Bonola, cofondatore della Congregazione cusiana intitolata a S. Luca (Savoini, 1994, p. 148).
Ancora con Parravicini, e con Girolamo, il G. fu impegnato nel santuario carmelitano di S. Maria della Croce a Crema. Documentata dal contratto del 4 genn. 1700, la decorazione della cupola con il Trionfo della Croce si concluse nel 1702, come indica il cartiglio sopra un arcone, che ne riferisce la responsabilità alla commissaria istituita da Camilla Miragola, i cui esecutori saldarono effettivamente i lavori il 4 ag. 1705.
Interessando i costoloni della volta e l'incorniciatura delle finestre del tiburio, alternate a finti vasi bronzei, l'intervento del G. si estese anche al finto cornicione lungo la navata su cui Parravicini dispose Sibille e profeti; mentre finissimi e deliziosi paesaggi, mimetizzati fra le venature dei finti marmi delle colonne del tiburio, costituiscono un virtuosistico divertissement invisibile dal basso, svelato soltanto in occasione dei restauri della fine degli anni Ottanta del Novecento.
La collaborazione con il Gianolo proseguì, nel segno di un crescente successo della corrente accademizzante, nel 1704, quando il G. lavorò alle Storie dei ss. Pietro e Paolo nel coro della parrocchiale di Biumo Inferiore nel Varesotto, intervenendo anche nel presbiterio e sull'arco trionfale; mentre con Bianchi lavorò, probabilmente subito dopo, nella villa Orrigoni, poi Litta Modigliani (Pittura tra Ticino e Olona, p. 56).
Tra la fine del 1707 e il maggio del 1708, il G. è documentato nella sagrestia della chiesa di S. Barnaba a Milano. Nel segno di una continuità di committenza barnabitica il G. fu subito dopo chiamato a Monza da I. Montalti nella chiesa di S. Maria del Carrobiolo, dove la finzione illusionistica di un'articolata struttura incorniciò il cielo della Gloria di s. Agata, realizzata dal figurista milanese A. Porta.
Saldata nel marzo del 1709, l'opera incontrò il plauso dei padri barnabiti che incaricarono il G. dell'esecuzione di altri affreschi (perduti) per due cappelle in corrispondenza della testata delle navate laterali, saldati più tardi e ricompensati con un "agnus legato in argento" (Colombo - Marsili, p. 30).
Nel frattempo il successo delle decorazioni eseguite a Crema, apprezzate per il loro carattere innovativo e culturalmente aggiornato, portò il G., ancora con Parravicini, a siglare in città entro il 1710 i perduti affreschi per la cappella del Crocifisso del duomo e per la chiesa delle Zitelle di S. Carlo.
Con il fratello, il G. realizzò, negli stessi anni, il piccolo e raffinato impianto quadraturistico della cappella di S. Antonio nel santuario di S. Francesco a Saronno, nuovamente vicino ad A. Porta.
Commissionati dal guardiano C.A. Rotondi, gli affreschi della volta d'accesso e di quella centrale con la Gloria di s. Antonio, nonché le architetture dipinte sulle pareti vennero realizzati fra il settembre 1709 e il marzo dell'anno successivo. Il G. venne in seguito incaricato di affrescare lo stemma dell'abate nel refettorio e con Parravicini, sempre su istanza di padre Rotondi, intorno al 1712 la cappella dell'Immacolata, in corrispondenza della distrutta abside.
Proseguendo la collaborazione con il figurista valtellinese, il G. fu impegnato nel 1714 nella parrocchiale di Bagnolo Cremasco dove la finta quinta architettonica che ospita la pala della prima cappella a destra, intitolata a S. Giuseppe, rivela familiari cifre stilistiche, declinate tuttavia con un andamento più rigido e schematico (Carubelli, 1975, p. 210).
Il consueto repertorio decorativo di vasi fioriti e festoni, riproposti con grazia e freschezza cromatica, dispone in sequenza i cicli di Saronno e Bagnolo con quello di S. Vittore di Varese dove il G. lavorò con G. Ghisolfi fra il 19 marzo 1714 e il 27 febbr. 1715, realizzando le quadrature del presbiterio e più tardi forse anche un progetto per la cappella dell'Addolorata che nuovamente chiama in causa le presunte, ma non confermabili, competenze architettoniche.
La soluzione delle arcate trasversali che, coinvolte nel gioco illusionistico, ritmano la continuità della volta celeste, sperimentata a Monza, venne ripresa nel 1715 nella decorazione condotta in collaborazione con P. Gilardi nell'oratorio dell'Angelo Custode al S. Sepolcro di Milano, divenuto sala Borromeo della Biblioteca Ambrosiana, ma poi distrutto durante la seconda guerra mondiale e noto attraverso un'antica documentazione fotografica.
A Milano, perduti ma ricordati dalle fonti, sono anche gli affreschi per l'oratorio della chiesa di S. Maria della Fontana, in riferimento ai quali il G. torna a essere celebrato anche in qualità di architetto (Latuada). Il suo nome viene inoltre associato alle decorazioni della casa Alemagna e delle chiese di S. Maria Assunta e dell'Annunziata a Varese, perdute e non ulteriormente documentabili (Carubelli, 1978, p. 113).
Ultimo intervento del G. furono gli affreschi per palazzo Recalcati a Casbeno, databili al 1717-18.
Il G. morì a Bizzozero (ora Varese) il 21 apr. 1718.
Fonti e Bibl.: D. Bigiogero, Le glorie della Gran Vergine al Sagro Monte sopra Varese, Milano 1699, p. 65; P.A. Orlandi, L'abecedario pittorico, Bologna 1719, p. 232; S. Latuada, Descrizione di Milano, Milano 1737, I, p. 264; III, p. 37; IV, p. 82; G. Piombanti, Guida storica ed artistica della città e dei contorni di Livorno, Livorno 1873, pp. 244 s., 272; L. Brambilla, Varese e il suo circondario, Varese 1874, p. 179; C. Debiaggi, Il pittore Pier Francesco Gianoli da Campertogno, in Boll. stor. per la provincia di Novara, LI (1960), 1, pp. 11, 31, 41; A. Novasconi, L'Incoronata di Lodi, Lodi 1974, pp. 53, 144; L. Carubelli, Schede per la parrocchiale di Bagnolo Cremasco, per palazzo Terni de Gregory di Crema, per la parrocchiale di Casaletto Ceredano, in Arte lombarda, 1975, nn. 47-48, pp. 210-212; Id., Per il quadraturismo lombardo fra barocco e barocchetto. I fratelli Grandi, ibid., 1978, n. 50, pp. 104-115 (con bibl.); E. Cattano - S. Colombo, Nel cuore di Varese. La basilica, il battistero, la torre campanaria, Varese 1982, p. 196; C. Carena, La Congregazione di S. Luca a Corconio, in Novarien, XV (1985), pp. 47, 55; P. Tirloni, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, III, Bergamo 1985, p. 458; M.G. Cerri, Palazzo Carignano. Tre secoli di idee, progetti e realizzazioni, Torino 1990, p. 253; V. Caprara, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 740 s.; Settecento pisano. Pittura e scultura a Pisa nel secolo XVIII, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 1990, pp. 187 s., 192; C. Alpini, Arte e decorazione, 1600-1900, in La basilica di S. Maria della Croce a Crema, Cinisello Balsamo 1990, pp. 153, 156 s., 166, 172 s.; I restauri della basilica di S. Maria della Croce a Crema (1983-1988), a cura di E. Edallo, Crema 1991, pp. 189, 205; P.F. Merelli, La cappella del Rosario al Sacro Monte sopra Varese: l'opera dei cappuccini, Milano 1991, p. 77; Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord-occidentale, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1992, pp. 56, 59 s., 288; S. Francesco diSaronno nella storia e nell'arte, Cinisello Balsamo 1992, ad indicem; C. Savoini, Accademici di S. Luca di Corconio nella chiesa di S. Pietro in Carcegna, in Arte lombarda, 1992, nn. 102-103, p. 72; M. Colombo - G. Marsili, La chiesa e il collegio di S. Maria del Carrobiolo a Monza, in Studi monzesi, 1992, n. 8, pp. 20-30; S. Coppa, in Pittura in Brianza e in Valsassina dall'Alto Medioevo al neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1993, pp. 61, 295 s.; Id., Ricerche e restauri sul Settecento monzese. Novità per Andrea e Ferdinando Porta, i fratelli Grandi, Antonio Longone, in Studi monzesi, 1994, n. 9, pp. 5 s., 10 s.; C. Savoini, L'inesplorata attività di Giacomo Parravicini, detto il Gianolo, nel Cusio, in Boll. della Società storica valtellinese, XLVII (1994), pp. 148, 150-152; Pittura tra Verbano e il lago d'Orta dal Medioevo al Settecento, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo 1996, pp. 58, 68, 320 s.; Restauri in Piemonte 1996, a cura di G.E. Spantigati, Torino 1997, p. 48; M. Dell'Omo, Il Legnanino, Bologna 1998, ad indicem; S. Coppa, La pittura a Milano dal tardo Seicento alle soglie dell'età neoclassica, in Pittura a Milano dal Seicento al neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Milano 1999, p. 44; R. Corsini, Affreschi del Sacro Monte di Varese, Gavirate 2000, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 508.