GIGOLA (Cigola), Giovanni Battista
Figlio di Giovanni, di professione merciaio, e di Elena Franzini, nacque a Brescia il 28 giugno 1767 (Parisio).
Le notizie sulla sua vita sono in gran parte ricavabili dal testo di Tommaso Castellini, che affermò di essersi basato sulle memorie inedite dell'artista. Il padre tentò inizialmente di avviare il G. allo studio delle lettere; in seguito lo mise a bottega presso un ignoto pittore, e poi a lavorare nella ricevitoria del lotto di sua proprietà. Nel 1787, dopo la morte del padre e la chiusura della ricevitoria, il G. cominciò a dedicarsi al ritratto miniato su avorio, genere allora molto in voga che si rifaceva soprattutto agli esempi di Rosalba Carriera e Anton Raphael Mengs.
Nel 1789 il G. lasciò Brescia per frequentare i corsi dell'Accademia di Brera a Milano; in particolare seguì le lezioni di elementi di figura tenute dal disegnatore e incisore Domenico Aspari. Nel 1791 intraprese un viaggio a Roma: vi frequentò l'accademia del nudo in Campidoglio e poi l'Accademia di S. Luca, dove partecipò al concorso sul tema La morte di Giuliano l'Apostata ottenendo il primo premio con un'opera che non ci è pervenuta, come neppure le diverse miniature da lui eseguite per una pubblicazione illustrata sugli scavi di villa Negroni.
In alcuni lavori di questi anni romani si nota il vivo interesse del G. per l'opera di Mengs, come nella miniatura su avorio Dedalo e Icaro (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo). Sempre al soggiorno romano risalgono Il Convito di Platone, copia di un acquerello di Asmus Jacob Carstens (Copenaghen, Museo Thorvaldsen) e Socrate rimprovera Alcibiade trovato nel gineceo (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), due grandi miniature su pergamena, tecnica allora quasi del tutto abbandonata.
Nel 1796 il G. si trasferì a Milano e l'anno seguente ritornò a Brescia, dove partecipò all'insurrezione della città (secondo Castellini, p. 237, militò nella guardia nazionale raggiungendo il grado di generale). Intorno al 1800 si stabilì nuovamente a Milano "trovandosi come egli stesso ci narra ammogliato senza saperlo. Quella moglie aveva la mania della Letteratura, e gli visse 16 anni" (ibid.).
In questo periodo i committenti furono soprattutto gli aristocratici bresciani, che avevano partecipato alla rivoluzione e che ancora combattevano nelle campagne napoleoniche. Opere esemplari sono la miniatura su pergamena Ritratto del conte Girolamo Fenaroli (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), che evoca la moda inglese del ritratto a figura intera, e quella su avorio Ritratto del conte Giuseppe Lechi (Brescia, collezione privata), realizzata secondo il modello ravvisabile in due stampe di proprietà della famiglia Lechi con i ritratti di Marie-J0seph-Paul de La Fayette e George Washington; la scelta tipologica, certo suggerita dal committente, doveva sottolineare l'ammirazione del conte per la rivoluzione e la costituzione degli Stati Uniti d'America (Mazzocca, 1978, p. 195).
A Milano il G. conobbe il marchese Gian Giacomo Trivulzio; fra i due si stabilì un solido rapporto di committenza che durò fino alla conclusione dell'attività dell'artista. Oltre al ritratto miniato della moglie Beatrice, il G. ne realizzò vari del marchese, rappresentato nella sua veste di raffinato intellettuale, colto nel momento in cui consulta i suoi amati libri, oppure con aspetto e abiti più mondani, o di profilo come in un cammeo: impostazione quest'ultima che si ritrova anche nella miniatura su avorio raffigurante Le quattro figlie di G.G. Trivulzio cheincoronano il busto del padre (tutte le opere sono in collezione privata a Milano: ibid., pp. 206, 208, 210, 213).
Nel 1802 il G. eseguì i ritratti di Ugo Foscolo e di Antonietta Fagnani Arese, commissionati dal poeta in vista di un'imminente separazione dall'amata. I due ritratti non ci sono pervenuti; ma il rapporto fra l'artista e il letterato è ben documentato dall'epistolario del Foscolo e dal ritratto (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo) di un'altra donna amata dal poeta: Marzia Martinengo Cesaresco Provaglio, realizzato dal G. con ogni probabilità nel 1807.
Nonostante le prestigiose commissioni, il G. decise di partire per Parigi, dove espose alcuni suoi ritratti al Salon del 1802 (Hubert); frequentò assiduamente il Louvre per studiare la tecnica dei fiamminghi e dei più famosi miniaturisti francesi; studiò inoltre presso il miniatore Jean-Baptiste Isabey (Thieme - Becker). Sempre a Parigi il G. instaurò un lungo rapporto di lavoro e di amicizia con Giambattista Sommariva che gli commissionò le copie miniate in smalto dei dipinti della sua collezione. Eseguite dopo il ritorno del G. a Milano, avvenuto nel 1804, sono oggi in gran parte disperse; ci sono pervenuti i due smalti su rame Amore e Psiche e Leda (Milano, Galleria d'arte moderna): il primo è la copia di un dipinto di Gioacchino Serangeli, il secondo è probabilmente tratto dall'opera di un leonardesco (Mazzocca, 1978, pp. 57, 84).
A Milano il G. riprese i rapporti con G.G. Trivulzio e fu nominato miniatore ritrattista di corte del viceré Eugenio di Beauharnais. Eseguì vari ritratti del viceré, fra i quali quello a figura intera in miniatura su pergamena del 1805 (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), della viceregina Amalia di Baviera e dei loro figli (ibid., p. 203). Per ordine di Eugenio di Beauharnais il G. si recò a Venezia per studio poiché il viceré, che aveva anche il titolo di principe di Venezia, desiderava dei ritratti che avessero come sfondo vedute lagunari.
Nel 1811 il G. si dedicò per la prima volta alle miniature per un testo letterario, il cosiddetto Decamerone Trivulzio (Milano, Archivio storico).
Il marchese Trivulzio scelse nella sua biblioteca la ristampa veneziana del 1729 dell'edizione fiorentina del 1527, commissionando al G. l'esecuzione di 12 miniature su pergamena a imitazione dei codici antichi. L'artista si trovò così a confrontarsi direttamente con soggetti storici medievali e con una tradizione, quella del codice miniato, che doveva essere completamente reinterpretata. Tranne le prime due che raffigurano Il ritratto di GiovanniBoccaccio e La peste di Firenze, tutte le pagine miniate hanno un bordo esterno a motivi decorativi e simbolici e un riquadro interno relativo a una giornata del Decamerone. La ricerca del G. si concentrò sulla resa di uno stile che può essere confrontato al gusto inglese del Gothic revival o al troubadour francese, ma anche con i suoi veri punti di riferimento, ben lontani dallo stile medievale: le cornici decorative presentano grottesche di ispirazione rinascimentale, fiori di gusto rococò, cammei neoclassici; le scene narrative ostentano riferimenti quattrocenteschi e barocchi. La qualità di queste miniature deriva, oltre che dalla grande abilità tecnica del G., proprio dalla commistione di stili che le caratterizza. Sono pregevoli in particolare le pagine che raffigurano Alatiel e il re del Garbo, I due senesi, Maestro Alberto da Bologna, Re Carlo e le due giovinette, Calandrino emonna Tessa (ibid., pp. 92-100).
In seguito il G. si dedicò alle miniature per il testo Gli amori di Dafni eCloe (opera oggi dispersa). Nel 1812 fu premiato con la medaglia d'oro al concorso annuale delle arti e dei mestieri, al quale partecipò con un'opera in smalto della quale si ignora il soggetto. Nella motivazione del premio, oltre alle considerazioni sulla perfezione tecnica dell'opera, si faceva riferimento al G. come a colui che aveva introdotto e perfezionato l'uso dello smalto.
In questi stessi anni l'artista acquistò da G.B. Sommariva, pagandola con alcune opere, una villa a Tremezzo, sul lago di Como.
Nel 1818 il G. partecipò per la prima volta all'Esposizione di Brera con due opere, tra cui Bradamante nella grotta di Merlino, da identificarsi forse nella miniatura di analogo soggetto oggi conservata a Milano (Pinacoteca Ambrosiana); in seguito sarà saltuariamente presente ad altre esposizioni dell'Accademia (ibid., pp. 30 s., 63 s.).
Nel 1819 fu conclusa la stampa in sette esemplari della novella di Giulietta e Romeo nella versione di Luigi Da Porto. Era stato lo stesso G. a scegliere il testo e a commissionare la stampa di questi volumi, per poi dedicarsi all'esecuzione delle miniature su pergamena, variando in ogni esemplare il numero delle illustrazioni e in parte l'iconografia dei soggetti.
Gli acquirenti furono G.G. Trivulzio e Giuseppe Poldi Pezzoli (questi esemplari sono ora a Milano, Archivio storico), il granduca Ferdinando III di Asburgo Lorena (Firenze, Biblioteca nazionale) e lord George Spencer (Manchester, Rylands Library); degli altri volumi, già di proprietà Archinto, Gwyder-Borrel e Sommariva (che lo ricevette in dono dall'amico artista), si sono oggi perse le tracce. Il lavoro di illustrazione fu concluso tra il 1822 e il 1825, a parte un'aggiunta successiva di due miniature per l'esemplare Trivulzio (ibid., p. 250). Rispetto al Decamerone, nelle miniature per Giulietta e Romeo si nota una più stretta relazione simbolica fra le cornici decorative e i riquadri narrativi; per esempio, Il duello tra Romeo e Tebaldo, negli esemplari Trivulzio e Poldi, ha una cornice a racemi vegetali tra i quali combattono due coppie di putti; nell'esemplare Spencer la cornice è decorata da trofei di armi; in quello di Firenze è invece costituita da una ricca architettura gotica (ibid., pp. 131-133). Anche in queste miniature, come nel Decamerone, si possono rintracciare le innumerevoli fonti stilistiche e iconografiche del G.: dal rococò al neogotico, con una particolare attenzione per artisti contemporanei come Francesco Hayez e John Flaxman. Sono inoltre interessanti gli elementi giocosi o addirittura comici, soprattutto nelle cornici; per esempio nella miniatura che raffigura Le nozze di Giulietta e Romeo, negli esemplari Trivulzio e Poldi tre amorini sembrano inscenare la parodia della rappresentazione principale (ibid., pp. 126 s.).
Nel 1825 il G. cominciò a lavorare al Corsaro di George Byron.
Inizialmente progettò di eseguire le pagine miniate per sei volumi, poi decise di limitarsi a tre; forse l'artista era già affetto da problemi di vista o, più probabilmente, ebbe difficoltà a trovare acquirenti: degli esemplari realizzati uno resterà di proprietà del G. (Brescia, Ateneo), mentre gli altri due (oggi dispersi) furono acquistati dal conte Schoenborn-Wiesentheid e dal negoziante Treves, che può forse essere identificato con il banchiere veneziano Iacopo Treves (ibid., p. 165). Il volume che ci è pervenuto contiene 13 miniature su pergamena che illustrano l'edizione in lingua originale stampata poi a Milano nel 1826: la prima è un Ritratto di lord Byron, di profilo in atteggiamento malinconico e meditativo, raffigurato in un ovale e sormontato dall'allegoria La Fama trionfa sull'ignoranza (allusione alle vivaci polemiche sul valore dell'opera di Byron), mentre in basso alcuni amorini piangono sulla sua tomba. Il G. si trovò ad affrontare di nuovo il genere del ritratto che gli era sempre stato molto congeniale e che, in questo caso, gli dava la possibilità di studiare anche i caratteri dei vari personaggi del poema e di utilizzare le cornici per sottolinearne alcuni aspetti: nel Ritratto del feroce Conrad, i rettangoli superiore e inferiore contengono un mare burrascoso con tritoni in combattimento (ibid., p. 171). Ma la cornice è utilizzata anche in maniera diversa rispetto ai suoi lavori precedenti: per esempio la miniatura che raffigura Gulnare visitaConrad in prigione è incorniciata da una torre merlata che rappresenta il carcere stesso, in modo da presentare la scena come se fosse vista attraverso le mura.
Le miniature del Corsaro furono l'ultima opera del G. che, colpito da un grave indebolimento della vista, non poté più dedicarsi al suo lavoro.
Il 20 apr. 1831 il G. fu eletto socio d'onore dell'Ateneo di Brescia, al quale, con il testamento redatto il 14 apr. 1839, destinò ogni suo bene, ponendo come condizioni l'usufrutto per la sua seconda moglie Aurelia Bertera e, dopo la morte di lei, la realizzazione da parte dell'ateneo di alcuni monumenti ai bresciani illustri, da porre nel portico del camposanto della città. Dieci anni più tardi, durante la villeggiatura estiva a Tremezzo, sul lago di Como, aggiunse un codicillo al suo testamento.
Il G. morì a Tremezzo il 7 ag. 1841 (Parisio).
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