FERRARI (Ferrario), Giovanni Battista
Nacque a Modena dal notaio Giovanni e da Verde Alberghetti, in un anno imprecisato, che potrebbe essere identificato con il 1445 o con il 1451.
La seconda data si ricava da una consolidata tradizione che vuole il F. morto nel 1502 all'età di cinquantuno anni; la prima sembra invece doversi desumere da un documento del 17 luglio 1462 (Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 576, c. 168r), dov'egli è detto "clericus Mutinensis qui, ut asserit, in XVIII vel circa sue etatis anno constitutus exsistit".
Vestì molto giovane l'abito ecclesiastico e si diede allo studio, dapprima delle arti (a questo periodo si deve la trascrizione, terminata il 21 luglio 1459, dei primi dieci canti della Farsaglia di Lucano, in un codice che alla fine dell'Ottocento era conservato presso la famiglia Ferrari di Modena) quindi del diritto, materia in cui conseguì la laurea probabilmente a Padova alla metà degli anni Sessanta del sec. XV. Divenuto notaio, fu in seguito protonotaio apostolico: a Modena ancora nel 1466, l'anno successivo era a Roma, dove ottenne da Paola II che gli venisse riservato un canonicato nella cattedrale della propria città. A Roma entrò nei favori del cardinale Rodrigo Borgia, grazie al cui appoggio ebbe un primo incarico in Cancelleria. Nel 1471 ottenne la carica di sollecitatore delle lettere apostoliche e nel 1482 quella di abbreviatore di parco maggiore, un ufficio che acquistò per denaro, quasi certamente con i 1.200 ducati d'oro che nel 1479 aveva preso a prestito dal fratello Francesco. Prima però aveva ricoperto la speciale carica di segretario per Giovanni II d'Aragona, forse esercitando questa professione presso l'oratore del re in Curia; in tal modo contribuì comunque a rafforzare quel legame che sempre più lo teneva unito al futuro Alessandro VI.
Non si hanno notizie sull'attività curiale del F. per tutti gli anni Ottanta, ma è certo che nel decennio che seguì, in particolare a partire dal 1495, egli procedette ad un cumulo impressionante di uffici. Il 6 ottobre di quell'anno fu promosso referendario, ma già in un documento dell'11 settembre era ricordato come assistente del cardinale Ascanio Maria Sforza nella spedizione delle bolle. In questa stessa data fu nominato vescovo di Modena in luogo di Giovanni Andrea Boccacci da Reggio.
Tra le opere per la sua diocesi si ricordano l'esazione di un sussidio di carità per il clero meno abbiente, la promulgazione di un editto contro i gabellieri ancora in favore del clero ed infine l'ingiunzione agli abitanti del Ducato di contribuire all'offerta da versare al duomo della città in onore di s. Gimignano. Al tempo del suo episcopato fu eretto inoltre a Modena il Monte della farina in seguito alla predicazione di fra' Girolamo da Verona.
Dal 12 apr. 1496 poi (e ininterrottamente fino alla morte) fu datario, con il titolo di prodatario dopo la nomina cardinalizia. Il 27 novembre dello stesso anno ottenne l'ufficio di segretario, resosi vacante per la morte di Giovanni vescovo di Crotone; a partire dal 1497, Poi, il suo nome compare negli elenchi degli scrittori e, per un breve periodo, degli abbreviatori "de parco minori"; inoltre fu anche, per pochi mesi, reggente di Cancelleria, in seguito alla morte del vicencancelliere Luigi Capra il 13ag. 1498, e ricoprì la medesima carica dall'agosto al dicembre dell'anno successivo in sostituzione del vescovo di Pesaro, che era stato nominato giustiziare da Alessandro VI. In tutto questo tempo egli abitò nei palazzi apostolici in quanto familiare del pontefice.
Ma è soprattutto in qualità di datario che il F. fu indispensabile a papa Borgia, per la sua estrema abilità nel procurare denaro (si calcola che sotto Alessandro VI furono spedite dal suo ufficio, con relativa tassa, almeno 15.000 aspettative), che lo rese invece odioso in Curia e nella città di Roma, tanto da far dire al Burcardo che egli fu duro e crudele con i poveri e vendette uffici e benefici (una prassi che, sebbene fino ad allora tollerata, acquistò solo con il F. enormi dimensioni e una consuetudine quotidiana) al costo più elevato che poteva al fine di ingraziarsi il papa, ma ricoprendosi di ignominia.
A lui sembra che alludesse l'ormai vecchio cardinale Oliviero Carafa, il quale, riprendendo le critiche formulate dal magister supplicationum, nel progetto di riforma degli uffici della Curia compilato nel, 1497, auspicava che il datario fosse per il futuro "vir bonus et iustus et bene qualificatus, timens Deum" (Bibl. apost: Vaticana, Vat. lat. 3884., c. 110). Sembra anzi che si debba proprio all'iniziativa del F. l'estensione, anche ai documenti emessi dalla Cancelleria e dalla Camera, di quella tassa di registrazione che già veniva riscossa in Dataria. Al periodo in cui egli presiedette a quest'ufficio vanno assegnati l'amicizia con il domenicano Timoteo Totti da Modena, professore a Bologna, il quale gli dedicò il discorso funebre scritto per la morte del maestro domenicano Ludovico da Ferrara, stampato a Roma da E. Silber il 4 maggio 1497, e l'acquisto di alcune case del cardinale Giacomo Sclafenati nel rione Ponte per la somma considerevole di 3.000 ducati.
Per la posizione di particolare prestigio di cui godeva in Curia, il F. ag! in tutti questi anni quale rappresentante degli interessi del duca Ercole I d'Este, presso la corte pontificia. Sono moltissimi gli an, di natura sia ecclesiastica (beneficiale, in primo luogo) sia politica, di cui si fece tramite tra il duca ed il pontefice; per il giubileo del 1500, in cui il F. fu incaricato insieme con Francesco Borgia della solenne chiusura delle porte, su richiesta di Ercole d'Este, che era impossibilitato a recarsi a Roma per via di una caduta da cavallo, il F. ottenne dal pontefice il privilegio - di cui redasse egli stesso il testo - che si potessero lucrare le indulgenze anche nelle città di Modena, Ferrara e Reggio nell'anno successivo a quello giubilare, con ben due proroghe alla data di scadenza. Ma la maggiore attività diplomatica del F. presso il duca è testimoniata dalla preparazione delle seconde nozze di Lucrezia Borgia, della quale egli, insieme con il Podocataro, aveva tenuto a battesimo il figlio Rodrigo. Alla morte dei primo marito, Alfonso d'Aragona, fatto uccidere da Cesare Borgia nell'agosto 1500, il F. si adoperò infatti per conto del papa al fine di combinare il fidanzamento di Lucrezia con Alfonso d'Este, primogenito di Ercole, il quale era a sua volta rimasto vedovo per la morte della moglie Anna Sforza. Vincendo l'ostilità del duca a questo progetto, e insistendo soprattutto sulla sicurezza che il matrimonio avrebbe portato allo Stato estense, in poco tempo egli riuscì ad ottenere quanto desiderato dal pontefice; il 5 genn. 1502, subito dopo la partenza di Lucrezia da Roma, scriveva al duca affinché egli ed il figlio Alfonso accogliessero convenientemente la sposa.
Il 28 sett. 1500 Alessandro VI aveva nel frattempo elevato il fedele datario - che poco prima era stato insignito dall'imperatore Massimiliano I del titolo di conte palatino (1º giugno 1500) - alla carica cardinalizia con il titolo di S. Crisogono.
A Modena, non appena giunse la notizia, furono fatti grandi festeggiamenti e processioni, furono liberati i prigionieri e mandati ambasciatori a Roma per ringraziare il pontefice; fu infine decretato che, in memoria del fatto, si sarebbe dovuto festeggiare ogni prossimo 5 ottobre, giorno in cui la notizia era giunta in città.
Il 9 ag. 1501 (non il 6 agosto, come in Ferrari Moreni) il F. fu trasferito alla ricca sede episcopale di Capua, vacante per la morte del cardinale Giovanni Lopez, che gli garantì un gettito annuo di ben 3.000 ducati; le sue armi gentilizie si vedevano ancora a distanza di decenni sopra la porta maggiore della chiesa arcivescovile di questa città, sul muro che egli aveva provveduto a far dipingere con l'immagine di s. Giovanni Battista.
Continuava intanto la collaborazione del F. alla politica di Alessandro VI, oltre che attraverso un notevole arricchimento del Fisco, anche mediante contributi personali, come quello di 300 ducati versato nella primavera del 1501 per contribuire alle spese di allestimento della flotta per combattere contro i Turchi. Il papa d'altronde non cessò mai di servirsi dei suo datario nelle circostanze più svariate, giungendo perfmo a disporre che, nelle celebrazioni domenicali, il F. facesse le sue veci durante la sua assenza da Roma per recarsi a Civitavecchia (febbraio 1502).
Il F. morì a Roma il 20 luglio 1502, in seguito a una febbre provocata da avvelenamento, opera del suo domestico Sebastiano Pinzoni da Cremona; la sua morte fu accompagnata da mordaci satire in versi, che ne colpivano soprattutto il vizio dell'avidità e che furono raccolte e tramandate dal Burcardo (pp. 333-335).
Già i contemporanei indicarono i mandanti nel Valentino, se non addirittura nel papa stesso, bramosi entrambi di impossessarsi delle enormi ricchezze accumulate dal F., che si calcolava ammontassero a circa 84.000 ducati d'oro, oltre ai vari benefici ed uffici, e che di fatto furono annesse al Fisco, in virtù di una rinuncia in tal senso fatta firmare al F. poco prima di morire, in contrasto con precedenti lasciti testamentari a favore dei familiari, ai quali rimasero soltanto i beni che non erano a Roma, soprattutto quelli che egli aveva acquistato nella campagna modenese; il fratello Francesco, quasi per compensare la sottrazione di tante ricchezze, fu fatto a sua volta vescovo di Modena. Le ossa del F., poste dapprima nella basilica di S. Pietro (nella cappella di S. Maria delle Febbri), furono in seguito trasportate nella città natale, nel cui duomo furono collocate tra il 1508 ed il 1510 con quelle del fratello e successore alla guida della diocesi.
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