DURAZZO, Giovanni Battista
Nacque a Genova verso il 1565 da Vincenzo di Giovanni (uno dei fratelli di Giacomo, il primo doge della famiglia, 1573-75; Pietro Durazzo, il secondo doge, 1619-21, era suo cugino) e da Giulia Garbarino di Raffaele; suoi fratelli erano un Giovanni Agostino, del quale non si hanno notizie, e Giovanni Antonio.
I Durazzo, in origine popolari, erano nel primo Seicento una delle più influenti famiglie della nobiltà genovese: insieme con i Balbi, Saluzzo e Moneglia, secondo un anonimo polemista dei primi anni '20, formavano le "quattro case" che controllavano la fazione della nobiltà "nuova" cittadina e, in larga misura, la politica della Repubblica. In confronto ai rami principali della famiglia, quello del doge Pietro, e quello di Agostino, che acquisi il feudo di Gabiano, nel Monferrato, la linea del D. era meno eminente.
Nelle capitazioni (tasse della nobiltà) del 1593, 1624 e 1636 il padre Vincenzo e poi il D. vennero accreditati di imponibili rilevanti rispetto alla media del patriziato cittadino, ma inferiori a quelli dei più noti parenti. Nel 1593 Vincenzo venne tassato su un imponibile di 67.777 lire genovine mentre i tre figli del doge Giacomo vantavano imponibili tra le 247.000 e le 290.000 lire; nel 1624 il D. e un fratello vennero tassati su 120.000lire mentre i cugini lo erano su 710.000; nel 1636 l'imponibile del D. era di 97.777 lire contro le oltre 800.000 dell'eredità di Giovanni Durazzo e di Giacomo Filippo Durazzo. Nobile "de mediana fortuna" (Archivo general de Simancas) classificò il D. l'ambasciatore spagnolo don Francisco de Melo nel 1633.
Il cursus honorum del D. fu tuttavia di assoluto rilievo. Nel 1607, anno nel quale venne eletto tra i provvisori del Vino, fu imbussolato nell'urna del Seminario, requisito per l'accesso alle cariche di senatore e procuratore (poiché l'età minima richiesta era di quarant'anni, il D. doveva comunque essere nato entro il 1567). Subito estratto, fu procuratore (cioè componente del Collegio camerale, incaricato della gestione delle finanze della Repubblica) nel 1608-1609. Nel 1610 venne nominato tra i capitani di città, comandanti delle milizie urbane; ma alla fine dell'anno, oltre ad essere imbussolato di nuovo nell'urna del Seminario, fu eletto all'importante carica di governatore di Corsica, di durata biennale.
Al rientro dall'isola (dove nel 1613, a Bastia, venne apposta una lapide in suo ricordo sul palazzo del governo) fu nuovamente provvisore del Vino, mentre nel 1616 entrò nel magistrato dell'Abbondanza e nel maggio 1617 passò a reggere per un anno il capitanato di Bisagno, una delle giurisdizioni amministrative più importanti, perché prossime alla città. Incarichi nelle magistrature annonarie e incarichi militari si alternarono anche in seguito nella sua carriera: fu infatti dell'Abbondanza nel 1623 e nel 1627, mentre nel 1618 fu ancora capitano di città e poi eletto al magistrato delle Galee, e nel 1625, durante la guerra contro il duca di Savoia, fu nominato commissario d'armi nelle Riviere. Nel 1628 fece parte del magistrato della Consegna, incaricato di controllare il movimento dei forestieri in città, e l'anno seguente passò tra i supremi sindicatori; estratto nuovamente come procuratore, dal luglio 1630 al giugno 1632 fu nuovamente nella Camera, e come procuratore copri alcuni degli incarichi di presidenza spettanti ai membri dei Collegi: fu preside dell'ufficio di Corsica (forse l'essere un ex governatore venne tenuto in conto) e del magistrato di Sanità, incarico, quest'ultimo, di particolare delicatezza, per l'imperversare della peste nella vicina Lombardia e in Toscana. Nel 1635 fu ancora dei supremi sindicatori, poi nel magistrato di Misericordia, e nel 1638 fu eletto per la sesta volta tra i protettori di S. Giorgio (la più alta carica nell'amministrazione delle Compere). Fu anche per dodici volte uno dei trenta elettori incaricati di scegliere i componenti dei Consigli della Repubblica (1607, 1615, 1619, 1620, 1621, 1623, 1625, 1627, 1629, 1632, 1635, 1638).
Era stato candidato al dogato nel 1627 (fu quarto nel sestetto in ballottaggio, con pochi voti), nel 1631 (terzo con una trentina di voti in meno dell'eletto, Leonardo Della Torre), secondo nel 1635 (con venti voti in meno dell'eletto Giovan Francesco Brignole); riusci infine eletto nel 1639, succedendo ad Agostino Pallavicino, che finiva un dogato travagliato dai contrasti all'interno del ceto di governo sui rapporti tra Consigli, Collegi e supremi sindicatori.
In quell'anno, per la tacita regola dell'alternanza al dogato tra famiglie "vecchie" e "nuove", la carica spettava alle famiglie "nuove"; la rosa dei candidati comprendeva un Brignole, due De Franchi, un Frugoni, un Sauli e il D., che prevalse per 190 voti a 179 su Ottavio Sauli, figlio del doge Lorenzo (1599-1601). Le operazioni elettorali richiesero una dozzina di giorni, segno dell'esistenza di contrasti nella scelta della rosa, e si conclusero il 28 luglio 1639. La notizia dell'elezione fu tra le prime date dalla gazzetta genovese Il Sincero stampata da Luca Assarino: al nuovo doge il gazzettiere attribuiva "tutte le virtù principesche come pietà, prudenza, giustizia, vigilanza, ed una certa affabile gravità che desta in altrui amore insieme e reverenza". Dal 1635 era arcivescovo di Genova il cardinale Stefano Durazzo, cugino del D.; di li a non molto uno dei figli del D., Francesco, venne creato vescovo di Brugnato: e fu questi a benedire il padre in occasione della cerimonia dell'incoronazione (27 apr. 1640), ritardata per attendere l'elevazione di Francesco all'episcopato.
Il predecessore nel dogato, Agostino Pallavicino, aveva impersonato il tentativo di una parte del gruppo dirigente di imprimere una svolta alla politica della Repubblica, prendendo le distanze dalla Spagna, e favorendo una politica "navalista", di ritorno al mare, simboleggiata dall'allestimento di un certo numero di nuove galee con equipaggi salariati (le "galee di libertà"); nel contempo la Repubblica aveva acquisito la dignità di "testa coronata", eleggendo la Madonna a regina, e rimarcato la volontà di essere riconosciuta come uno Stato ormai svincolato dal protettorato spagnolo. Gli urti con la Spagna all'indomani della guerra contro il duca di Savoia e il fatto nuovo della ripresa della guerra aperta tra Spagna e Francia (anche nel Mediterraneo: donde la necessità di rafforzare la flotta e l'opportunità di stabilire buone relazioni con i nemici del re Cattolico) avevano fatto da sfondo agli sforzi del Pallavicino e del partito dei "giovani". Il D. era stato qualificato alcuni anni prima dal de Melo in un elenco come "repubblichista", cioè sostenitore degli interessi della Repubblica, e in un altro elenco come "bien afecto a su Magestad", cioè come filospagnolo (Archivo general de Simancas). Analoga oscillazione di giudizio veniva espressa a proposito di altri Durazzo, che complessivamente in quel momento non figuravano tra gli apertamente ostili al re, come era invece il caso di Agostino Pallavicino. Rispetto al dogato precedente, il D. segnava l'approdo ad una posizione più tradizionale, che però ereditava il frutto delle tensioni ormai esistenti tra la Repubblica e la Spagna.
Proprio nel, 1639 infatti il governatore di Milano, marchese di Leganés, confisco per rappresaglia i beni posseduti nello Stato di Milano dai protettori di S. Giorgio che nel 1638 avevano decretato il sequestro di una nave finalina rea di aver infranto la dogana genovese per contrabbandare sale (il cui smercio era monopolio delle Compere di S. Giorgio, delle quali costituiva uno dei gettiti principali). Tra i protettori colpiti figurava anche il Durazzo. L'incidente, al quale la Repubblica rispose a sua volta con rappresaglie commerciali, venne composto abbastanza rapidamente; ma era un segnale dell'attrito che andava manifestandosi tra la Repubblica e l'antico protettore spagnolo.
Durante il dogato del D. procedettero i lavori per la costruzione del Molo Nuovo, la più importante opera di ingegneria portuale genovese del secolo, realizzata su progetto di Ansaldo De Mari. Nello stesso periodo venne discussa la possibilità di trapiantare in Corsica coloni fiamminghi, per bonificare e popolare delle aree pianeggianti cerealicole nei pressi di Aleria. In ambito internazionale, la Repubblica ottenne dall'imperatore il riconoscimento del titolo di serenissimo per il doge: un successo per Genova dal punto di vista dell'acquisizione di uno status internazionale.
Il D. lasciò la sede ducale il 28 ag. 1641 per passare, come era diritto degli ex dogi, tra i procuratori perpetui. Nel 1642 fu incaricato di custodire la chiave del Libro d'oro della nobiltà cittadina: incarico onorifico che teneva forse conto dell'età del Durazzo. Questi fece testamento il 23 maggio 1642 e mori il 28 maggio a Genova. Fu sepolto nella chiesa della Consolazione.
Sposò forse in prime nozze Maria Assereto, e poi Lelia Ricci; suoi figli furono Giovan Matteo, Vincenzo, Giovan Antonio, Gregorio, i religiosi Francesco, vescovo di Brugnato, e Gio. Bernardo, carmelitano, Carlo Ottavio e Raffaele, dei quali non si hanno notizie e forse morti in tenera età; le figlie Giulia e Anna entrarono nel monastero di S. Marta, mentre Benedetta sposò Orazio De Franceschi.
Fonti: Archivo general de Simancas, Papeles de estado, Génova, legajo 3591; Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto 476, Terzo libro dei Cerimoniali, cc. 19, 35, 56, 854-891: Manuali dei decreti del Senato; Genova, Civica Biblioteca Berio, m. r. VIII.2.28: A. M. Buonarroti, Alberi genealogici di diverse famiglia nobili…, I, f. 356; Ibid., Biblioteca universitaria, Manoscritti, C.IX.19-21: A. Della Cella, Famiglie di Genova e Riviere, II, c. 32; Il Sincero (Gazzetta di Genova), luglio 1639, 27 apr. 1640, 3 ag. 1641; Orazioni per l'incoronazione del D., di C. De Mari, F. D. V. Raineri, A. Castello, in La coronatione del ser.mo G. D. D., Genova 1640; F. Brandi, Ai Serenissimi Collegi, nobiltà e cittadinanza di Genova per l'anniversaria solennità dell'unione, presente il doge, recitata nel sacro tempio del Gesù, Genova 1640; A. Roccatagliata, Annali della Repubblica di Genova dall'anno 1581 all'anno 1607, Genova 1873, p. 278; G. Cavalli, Cittara zeneise, s. 1. 1745, pp. 234 ss.; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova nel secolo decimosettimo, Genova 1799-1800, pp. 246 s.; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, I, Genova 1825, p. 4; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, pp. 346, 393, 398; L. Volpicella, I Libri cerimoniali della Repubblica di Genova, San Pier d'Arena 1921, pp. 249 s.; P. L. M. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699. Dal 1634 al 1699, Genova 1930, pp. 47-57; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis" e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 174; C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna, Torino 1978, p. 283; L'Archivio dei Durazzo marchesi di Gabiano, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XCV (1981), pp. 12 s., 158; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., II, p. 641.
C. Bitossi