DORIA, Giovanni Battista
Nacque a Genova tra il 1530 e il 1540 da Domenico (uomo politico messosi in luce durante la repressione della congiura dei Fieschi) e da Maria Doria di Francesco. Entrò nella vita politica in un momento conflittuale: durante quella guerra civile del 1575 tra nobiltà "vecchia" (cui il D. apparteneva) e "nuova" che, dopo la fase di secessione dei ("vecchi" nel Finale, si sarebbe composta con gli accordi di Casale del 1576, conclusi grazie alla mediazione ispano-imperiale. Dal Finale, dove si trovava, il D. venne inviato a Firenze affinché ragguagliasse il granduca sugli eventi di quegli ultimi mesi, ovviamente secondo il punto di vista della nobiltà "vecchia".
Nelle istruzioni lo si metteva in guardia dagli inviati della nobiltà "nuova" e lo si esortava a sottoporre al granduca tutte le premesse politiche del conflitto, insistendo sulla arbitrarietà delle pretese dei "nuovi", dalla richiesta di nuove norme elettorali nel 1573 fino a quella di abolizione della legge del '47. Dopo Firenze, il D. doveva proseguire il suo viaggio per Urbino e Parma, sempre con eguale scopo illustrativo-propagandistico presso i rispettivi duchi.La missione dovette concludersi rapidamente e positivamente, perché alla fine di novembre il D. si trovava a Casale, dove veniva eletto tra i commissari incaricati del recupero delle spese sostenute dai "vecchi" durante la guerra civile.
Il cardinale G. Morone e gli altri mediatori ispano-imperialì della pacificazione avevano ricevuto, dai deputati della nobiltà "vecchia", facoltà di eleggere una magistratura straordinaria incaricata di recuperare le spese ricorrendo ad una tassazione del 2 e 1/2% sui patrimoni. I commissari, oltre al D., furono Giovanni Lomellini, Bartolomeo Salvago, Giacomo Lercari, Stefano Pinelli, Agostino Grimaldi ' Giacomo Spinola; per gli eventuali impedimenti temporanei degli eletti, furono nominati due sostituti nelle persone di Luca Grimaldi e Francesco Salvago.
Proprio il D., dopo aver partecipato alla seduta del 5 genn. 1576 nel Finale (nella quale si decisero i criteri di valutazione dei patrimoni), dovette essere sostituito dal Grimaldi in quella del 29gennaio. Nel frattempo altri sette commissari eletti con lo scopo di valutare i patrimoni dei tassatori fissavano a 30.000 lire l'imponibile del D.: il più consistente, insieme con quelli del Pinelli e di Agostino Grimaldi, anche se non particolarmente vistoso in confronto ai patrimoni di altri membri della nobiltà, tra le 100 e le 200.000 lire. A pacificazione avvenuta, il D. era di nuovo presente nelle sedute della commissione tenute a Genova, nel chiostro di S. Maria delle Vigne, dal 4 aprile fino al dicembre, sedute rese necessarie dal protrarsi delle operazioni di esazione. Tra le varie sedute, il D. espletò comunque almeno un'altra ambasceria: il 17 aprile venne inviato ad Oneglia, feudo di Gian Gerolamo Doria, che aveva manifestato l'intenzione di vendere al duca di Savoia la propria giurisdizione su quel territorio.
Il D. doveva dissuaderlo e convincerlo a vendere piuttosto alla Repubblica allo stesso prezzo, insistendo sul principio che nessun cittadino poteva alienare alcun feudo situato nel dominio senza il consenso del governo. Ma l'ambasceria del D. non ebbe successo; la vendita infatti fu conclusa nello stesso anno e nel territorio della Repubblica si determinò una pericolosa frattura.
Due nuovi incarichi diplomatici di non grande rilievo furono affidati al D. nel 1581: il primo da svolgersi a Genova, in occasione del, passaggio di Maria d'Asburgo, vedova dell'imperatore Massimiliano II, diretta in Spagna (il D. fu incaricato con Odoardo Cicala di andarle incontro a Campi, in Valpolcevera, e di scortarla in città); il secondo in Spagna, dove il D. venne inviato nel maggio-giugno come straordinario insieme a Giovan Battista Spinola. Nella sede di Madrid l'ambasciatore residente Francesco Spinola, malato, era stato sostituito da Lorenzo Spinola, a sua volta morto durante l'incarico. Il D. e Giovan Battista Spinola dovevano ritirare i documenti dell'ambasciata, temporaneamente affidati a un fratello dei defunto, e restare a Madrid fino all'arrivo del nuovo incaricato, Gian Giacomo Grimaldi, residente dall'ottobre 1581.
Un più delicato incarico portò il D. a Milano nel settembre 1585, per ottenere dal governatore, Carlo d'Aragona duca di Terranova, in base agli accordi di scambio vigenti, la consegna di alcuni banditi colpiti da pena capitale.
Al governo genovese premeva soprattutto la consegna di Nicolò Salvago e degli uomini della sua banda, che avevano organizzato alcuni clamorosi sequestri di nobili, tra cui Domenico Cattaneo e Giovanni Adorno, per ottenerne il riscatto. Il Salvago aveva iniziato la sua attività di ribelle incendiando la casa di un altro Salvago, Stefano, per motivi di vendetta personale, ma il governo genovese sospettava legami della banda con potenze straniere o comunque con gruppi interessati ad alimentare il disordine interno. Perciò il D. doveva ottenere ad ogni costo la consegna del Salvago o almeno la possibilità di interrogarlo, visto che il Salvago, ferito, era in pericolo di vita, per sapere, anche ricorrendo alla tortura, i nomi dei suoi fornitori di armi e di denaro. Lettere del principe Giovan Andrea Doria e dell'ambasciatore di Spagna dovevano consentire al D. di ottenere tale permesso, nonostante l'atteggiamento di non collaborazione del governatore milanese.
Dopo il ritorno a Genova, il D. si vide conferire l'incarico di ambasciatore triennale a Madrid. Partì, con moglie e figli, nel novembre 1586, insieme con Giovan Battista Spinola, inviato particolare per alcuni problemi di confine con lo Stato di Milano. Arrivati insieme a Barcellona il 4 dicembre, lo Spinola prosegui direttamente per Madrid, ma attese per le visite ufficiali il D., che viaggiava più lentamente a causa del numeroso seguito.
Al D. erano affidati vari incarichi specifici, oltre alle ovvie attestazioni di devozione al re, ai membri della famiglia reale e ai principali ministri e all'invito a cooperare con lo Spinola sulla questione dei confini ovadesi (problema che coinvolgeva quello dei rapporti col governatore di Milano, recalcitrante a rispettare i diritti della Repubblica). Il D. doveva sostenere la precedenza dei rappresentanti diplomatici di Genova su quelli di Ferrara, Firenze e Mantova; doveva negoziare il titolo di "serenissimo" per il doge di Genova, trattare l'acquisto di Aulla e altri territori nel Pontremolese; difendere la giurisdizione e gli antichi diritti di Genova nel Finale; regolare la pratica della abbazia di Tiglieto in modo che questa venisse acquisita alla Repubblica; collaborare con altri incaricati del governo genovese sulla questione dei confini di Pornassio col duca di Savoia, la cui definizione era affidata al principe Doria, inviato a tal fine a Torino; rivendicare la libertà di Genova anche a proposito dell'ordine, dato dal principe Doria, capitano generale del re di Spagna, che le galee della Repubblica fossero le prime a salutare la sua capitana, ma non le altre capitane dei regni della Corona spagnola; assistere alcuni sudditi della Repubblica, nativi di Cogoleto, in lite a Madrid con certi presunti credi spagnoli di Cristoforo Colombo (su quest'ultimo punto, il D. era incaricato di farsi dare una copia del testamento di Colombo dal dottor Scipione Canova e di inviarla al governo di Genova).
Il D. rimase a Madrid fino al settembre 1590, e tutti questi problemi furono ribaditi, a quella data, nelle istruzioni consegnate al suo successore, Pier Battista Cattaneo Della Volta. Ma se quasi tutti erano rimasti irrisolti, il governo genovese riconobbe come grande merito del D. l'aver ottenuto che il saluto anticipato delle galee della Repubblica fosse riservato unicamente alla capitana reale. Alle ormai indiscusse capacità di negoziazione del D. la Repubblica ricorse di nuovo nel 1596, per risolvere la questione di Madrignano.
La località, feudo dei Malaspina, incastonata nel territorio di Lavagna, e perciò dei conti Fieschi, aveva visto nella primavera 1596 una sollevazione popolare contro il marchese di Malaspina, in quel momento gravemente malato. Poiché i capi della Comunità minacciavano di consegnare il territorio ad altri signori, il 7 giugno il Senato genovese fece partire il D. affinché svolgesse opera di pacificazione tra il Malaspina e i sudditi. Arrivato a Madrignano il 9 giugno, il D. trovò il marchese già morto (e su questa morte comunicava al governo i propri sospetti) e la situazione evoluta in senso complessivamente soddisfacente per la Repubblica. Infatti era giunto nel frattempo sul posto, proveniente da Loreto, don Cosimo Centurione, che era riuscito a convincere i sudditi del defunto marchese a giurare fedeltà al figlio di lui treenne, restando il Centurione stesso come governatore. Il D., restaurato l'ordine generale in pieno accordo col Centurione, poté ripartire dopo aver calmato le proteste della vedova e del fratello del marchese.
Nel febbraio 1599 un nuovo incarico diplomatico vide il D. impegnato a trattare direttamente con la regina di Spagna e l'arciduca d'Austria il problema delle precedenze che il contestabile di Milano pretendeva nei confronti del doge della Repubblica.
Margherita, sorella dell'arciduca Ferdinando e nipote di Rodolfo II d'Asburgo, era stata unita per procura a Filippo III e veniva a Genova per imbarcarsi alla volta della Spagna. Il D. venne inviato a Novi per le accoglienze protocollari, ma anche perché chiarisse subito il problema delle precedenze, che si sarebbe presentato quando il doge, con i due Collegi, fosse andato incontro al corteo reale a Sanipierdarena per scortarlo fino alla villa del principe Doria a Fassolo, dove avrebbe alloggiato la regina. La gravità con cui la Repubblica avvertiva il problema è confermata dal tono delle istruzioni al D., al quale si ordinava (qualora don Carlo Doria, figlio del principe Giovan Andrea, non avesse ricevuto preventive assicurazioni in proposito) di presentarsi personalmente all'arciduca e di esibirgli i documenti sui quali la Repubblica poggiava il suo antico diritto di precedenza. In occasione di questo passaggio della regina, il D. fu anche incaricato, insieme con Arrigo Salvago, di tutta la minuziosa organizzazione delle accoglienze.
Nel 1605, dopo essere stato estratto tra i procuratori (cioè tra i membri della Camera), il D. venne nominato tra i quattro ambasciatori incaricati delle congratulazioni al nuovo pontefice Paolo V, ma rifiutò e venne sostituito dal suo omonimo, Giovanni Battista Doria fu Nicolò. Nel marzo 1607, mentre era invece governatore (membro cioè del Senato), si recò in Spagna, ma di questo viaggio non sono indicate ragioni ufficiali; in Senato venne sostituito da Giovan Pietro Serra. Tornato a Genova, il D. venne ancora impiegato in una missione diplomatica, probabilmente l'ultima. L'11 sett. 1609 fu inviato a Milano al governatore Pedro Enriquezde Acevedo, conte di Fuentes, per difendere i diritti commerciali della Repubblica e della Casa di S. Giorgio nel Finale, che erano stati lesi in un recente episodio, apparentemente legato ai contrabbandi locali di olio. Il 3 ottobre il D. comunicava da Milano le proprie perplessità sulla esasperante lentezza nella conduzione della pratica e avvertiva che, qualora la causa non fosse stata discussa nella seduta successiva, si sarebbe comunque congedato. Dopo una lettera del Fuentes dell'8 ott. 1609, carica di espressioni di stima per il D., non si hanno di lui altre notizie.
Dal suo matrimonio con Geronima Grillo di Luca erano nati un unico maschio, Domenico (poi sposo a Vittoria Doria di Battista e capostipite di vasta discendenza), e due femmine, Maria, moglie di Camillo Pavese, e Angela, monaca.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Instrurtiones et relationes, Arch. segr., 2707 D, nn. 77, 126, 137; 2707 E, nn. 20-24; Ibid., ms. 653, cc. 2011, 2037, 2217, 2264-2266; Genova, Bibl. civ. Berio, m. r. X, 2, 168: L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, c.56; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, pp. 212, 235, 242 ss., 257 s., 271, 275, 319, 321, 338 s.; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1800, V, p. 75; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 63; P. A. Olivieri, Carte e cronache manoscritte nella Biblioteca universitaria di Genova per la storia genovese, Genova 1855, p. 208; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, Genova 1851, I, p. 98; A. Roccatagliata, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1873, pp. 9, 62, 80, 122, 211, 255, 257, 272; F. Poggi, Le guerre civili di Genova, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, LIV (1930), pp. 110, 146; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, ibid., LXIII (1934), pp. 55, 76, 83, 93, 165, 166; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, p. 159.