DELL'ISOLA (Isola, Insula), Giovanni Battista
Incerti sono sia la data sia il luogo di nascita.
Il Claretta lo definisce "nobile di Chivasso", il Manno gli attribuisce un'origine ligure, mentre in alcune lettere egli stesso si definisce "cittadino svizzero et avendo fatti loro molti servitii ... non mi mancheranno mai amici né commodità" (De Antonio, La valle d'Aosta..., p. 257). Tuttavia l'acquisizione di tale cittadinanza, sicuramente presso un Cantone cattolico, potrebbe anche essere avveffùta successivamente e le molte relazioni avute dal D., dal fratello Stefano e dal nipote Francesco con Genova avvalorerebbero l'ipotesi del Manno. Nelle numerose lettere del D. conservate a Torino appare uno stemma nobiliare inquartato, con due leoni contrapposti alternativamente a due torri, molto simile a quello assai più noto di Castiglia.Nel 1536 il D. figura già al servizio dell'imperatore Carlo V con il grado di colonnello cesareo: in quell'anno venne inviato da Antonio de Leyva in missione presso i Cantoni cattolici per invitarli a coalizzarsi contro quelli protestanti, in particolare Berna e Friburgo, che stavano occupando buona parte delle terre sabaude, dal Paese di Vaud al Chiablese, alla stessa Savoia, dalla quale tuttavia furono fatti ritirare dal re di Francia Francesco I. Fu certamente a partire da tali anni che il D. entrò al servizio di Carlo II di Savoia, pur non essendone sicuramente suddito. D'altro canto i servizi prestati al duca prima e ad Emanuele Filiberto poi furono di duplice natura: da un lato essenzialmente finanziari, come riscatti di antichi prestiti, appalti di imposte, anticipi sui ricavati di diverse gabelle, riscossione di crediti; dall'altro di carattere diplomatico-militare, svolti presso la corte imperiale, Milano, i Cantoni cattolici o, all'interno del Ducato, per provvedere alla difesa militare di questa o quella piazzaforte, questo o quel castello. Così nel 1545 ricevette dal duca la procura per riscuotere dalla Tesoreria generale 22.000 scudi, con i quali riscattare a Genova le gioie impegnate presso Bernardo Spinola. L'anno seguente anticipò al giovane Emanuele Filiberto, appena giunto presso la corte di Carlo V, circa 1.200 scudi, garantiti dal feudo di Neive; e nel 1549 tornò a Genova per contrattare un altro prestito di 8.000 scudi.
Altrettanto frequenti furono le sue missioni diplomatiche: nel 1541 era ad Augusta presso Carlo V; nel 1545 a Milano per ottenere nuovi aiuti militari per la difesa del Piemonte, mentre sempre più frequenti erano i suoi contatti con i Cantoni cattolici e le trattative con Berna e Friburgo per ottenere la restituzione dei territori occupati nel 1536.
Le sue numerose lettere, conservate in diverse serie dell'Archivio di Stato di Torino, informano dettagliatamente dei suoi continui viaggi e delle sue missioni. Nel 1546 è a Ratisbona al seguito di Emanuele Filiberto. Scrive al duca Carlo II, informandolo dei preparativi dell'imminente campagna contro i luterani, del trattamento riservato al giovane principe da parte di Carlo V, della concessione fattagli dell'Ordine del Toson d'oro; nonché del prestito fatto al principe da lui stesso, in cambio della concessione dei feudi di Neive e Castagnole, ai cui abitanti scriverà lo stesso Emanuele Filiberto per avvertirli dell'accaduto e invitarli a non creare difficoltà al nuovo feudatario.
In effetti il carattere del personaggio D. emerge anche da questa sua capacità di saper trarre notevoli vantaggi personali dai servizi da lui svolti, nonché dalla sua esperienza in materia di finanze e di credito, che lo porteranno a gestire la gabella del sale di Nizza (1545), quella del dacito (dogana) di Asti (1546 e 1548), del sale del contado di Asti (1550), o a riscuotere i frutti della pensione di 40.000 scudi assegnata da Carlo V al duca di Savoia a Milano. E in tali attività il suo impegno non fu certo inferiore a quello politico-diplomatico. Tanto che nel 1550 scrisse più volte al duca sui danni che il contrabbando del sale operato dalla Francia e da Genova a scapito della gabella di Nizza causava all'erario ducale; così da recarsi egli stesso più volte a Milano presso il governatore generale Ferrante Gonzaga, per ottenerne l'appoggio contro Genova. In questo effettivamente la sua figura era ben diversa da quella dei pochi ufficiali piemontesi e savoiardi rimasti fedeli ai Savoia quali i Valperga di Masino, gli Challant, i Provana di Leinì, i Costa della Trinità, i Luserna, o i Lullin, di più o meno antica nobiltà feudale, legati da secoli ai Savoia.
Tuttavia anch'egli seppe meritarsi alti elogi nella sua attività al servizio dei Savoia, tanto che lo stesso conte di Masino, luogotenente generale dei Ducato, lo definiva in una lettera del 1554 ad Emanuele Filiberto "fedelissimo et svisceratissimo servitore di Vostra Altezza", mentre il vescovo d'Aosta Pietro Gazino scriveva al duca che "...de' pari suoi se ne trova rarissimi". La sua azione del resto era ben nota agli stessi Francesi e al loro governatore generale del Piemonte, Carlo Cossè di Brissac, che, nel 1554, ne chiese l'espulsione dalla Valle d'Aosta "perché servitore dell'Imperatore et perché avea fatti molti disservitii al re di Francia" (Claretta, pp. 90 s.; De Antonio, pp. 177 ss.).
Nel 1553 il D. era a Vercelli. dove partecipò attivamente alla difesá della città, sorpresa da un attacco notturno del Brissac. Nella notte dal 17 al 18 novembre, grazie anche ad un tradimento interno e alla debolezza mostrata da Tommaso di Valperga, governatore del castello, il Brissac s'introdusse nella città, una delle poche ancora rimaste in possesso dei Savoia, e l'occupò per quattro giorni, prendendo prigionieri il maresciallo di Savoia René de Challant, luogotenente generale in Piemonte e i conti di Arignano e Polonghera. Ma, come egli stesso scrisse al duca, il D., insieme con il mastro spagnolo Sebastiano di San Miguel e con il capitano Caresana, si asserragliò nella cittadella, inviando nello stesso tempo a chiedere soccorsi a Novara e ad Asti, dove si trovava con la fanteria italiana don Francesco d'Este. Il pronto arrivo di quest'ultimo costrinse i Francesi a ritirarsi dalla città, ma non riuscì ad ottenere il recupero del ricco bottino, dovuto al saccheggio dei tesoro ducale, e la liberazione dei prigionieri.
In particolare la cattura dello Challant fu un duro colpo per i Sabaudi, perché la sua azione era di particolare importanza nell'assicurare la neutralità della Valle d'Aosta, di cui egli era il più importante e potente feudatario. Così nel gennaio del 1554 il D. fu inviato una prima volta in missione nella Valle per assicurarsi delle capacità difensive della regione in caso di attacco dei Francesi e per contattare al riguardo la moglie dello Challant, donna Mencia di Portogallo, affinché permettesse che le guarnigioni fossero rafforzate da soldati ducali, in particolare nei castelli di Verrès e d'Issogne.
In base ad antichi trattati stipulati già nel Quattrocento la Valle d'Aosta, in caso di guerra, veniva considerata una zona franca e neutrale sia dalla Francia sia dalla Savoia e dai Cantoni svizzeri. I trattati, rinnovati periodicamente, e in particolare negli anni 1537, 1542, 1552, prevedevano la neutralità della Valle, che conservava tutte le sue franchigie e privilegi, impedendo tuttavia il transito alle truppe dei vari paesi in conflitto, che si impegnavano a non entrare o passare nella regione. Il governo militare nella Valle era assicurato dai vari feudatari, con i loro castelli, e, tra questi, il ruolo degli Challant fu sempre determinante, sia per il numero sia per l'importanza dei castelli posseduti. La missione del D. era quindi importante e delicata ad un tempo, data la prigionia dello Challant a Torino presso il Brissac, che minacciava già da vicino Ivrea e Masino, poste a breve distanza dalla Valle. Egli visitò dapprima e fece rafforzare i castelli di Pont SaintMartiri (omolto mal in ordine"), Bard, Moritjovet e Issogne. Il 9 febbraio si fermò ad Aosta, ove richiese la convocazione degli Stati per deliberare un nuovo donativo per le spese militari. Grazie anche all'appoggio del vescovo Gazino e al ricorso al voto palese ("acciò io sapessi di chi si poteva fidare e castigare i cattivi ...") ottenne la concessione di un donativo di 12.300 scudi, con i quali provvide a nuovi arruolamenti nella Valle e al rafforzamento dei castelli più deboli.
Tornato a Vercelli nel giugno 1554, fu incaricato di una nuova missione presso i Ferrero Fieschi, marchesi di Masserano e Crevacuore, antichi e importanti feudi pontifici, tra Biella e Vercelli, che da tempo costituivano una giurisdizione separata dalle terre sabaude, sempre meno tollerata da Emanuele Filiberto. La missione del D. fu indirizzata in particolare presso Pier Luca Ferrero Fieschi, signore di Crevacuore, che, in lite con la S. Sede per alcuni diritti feudali, era stato di recente spogliato da una sentenza pontificia di alcuni diritti. Il D. gli recò un'offerta del duca per l'acquisto del feudo per 18.000 scudi, offerta accettata nel settembre dello stesso anno, ma provocando la reazione dei potente cugino Filiberto Ferrero, marchese di Masserano, che già da tempo legato ai Francesi, si schierò allora apertamente con il Brissac, appoggiandolo sia nell'attacco e nella conquista di Ivrea sia in quello del castello di Masino. La perdita di questi due importanti caposaldi, a breve distanza dalla Valle, spinse il Consiglio ducale ad inviare nuovamente ad Aosta il D., che vi sì recò già nel mese di ottobre, e lì venne proclamato capitano generale della Valle. Nello stesso mese varcò il Gottardo per recarsi in Svizzera a rinnovare gli accordi fra i Cantoni e la Valle d'Aosta, come scriveva da Sion al conte di Masino. Ritornò ad Aosta in dicembre, insieme con alcuni ambasciatori del Vallese per rinnovare gli accordi di neutralità.
Nel mese di gennaio 1555 fece riunire nuovamente gli Stati per chiedere un ulteriore donativo di 2.200 scudi., ottenendo anche la costituzione di tre compagnie di milizia, di 200 uomini l'una, per la difesa da eventuali attacchi francesi. E la sua continua azione in tale periodo venne pienamente riconosciuta dal Provana di Leinì, inviato dallo stesso Emanuele Filiberto presso la contessa di Challant ad attestare la piena fiducia che il duca manteneva verso la Valle. Ad aiutare il D. nella sua azione diplomatica presso i Cantoni contribuì anche il nipote Francesco, figlio del fratello Stefano, che trattava in quel periodo a Lucerna. Nei mesi seguenti il D. fece la spola fra Milano e Vercelli per ottenere dal duca d'Alba e dal marchese di Marignano la consegna di alcune migliaia di scudi lasciati da Emanuele Filiberto per la difesa d'Aosta, ma riuscendo ad ottenerne solo una parte. Ancora nel mese di ottobre era a Bellinzona per trattare con i Cantoni, missione confermatagli nel mese di dicembre dal duca, insieme con il conte di Challant con i "pieni poteri ... per trattare e convenire con i Signori della Lega conferma e rinnovo dell'antica amicizia...". Costretto a fermarsi a Milano da una grave e improvvisa malattia, il D. vi moriva negli ultimi giorni del dicembre 1555, lasciando erede il nipote Francesco, al quale Emanuele Filiberto, in riconoscimento dell'azione svolta dal D., volle fossero assegnati tutti i diritti e i crediti vantati dal defunto, anche in pregiudizio del fisco ducale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte, Protocolli dei notai ducali, n. 164, cc. 1920 (1545 apr. 3), appalto gabelle di Nizza; n. 218, c. 158; n. 219, c. 77 (1545 maggio 27), appalto dazio d'Asti; n. 176, cc. 20, 43, procura per riscattare le gioie impegnate presso B. Spinola; n. 219, cc. 47, 81v (1548 maggio 1º), consigliere del contado d'Asti e infeudaz. di Neive e Castagnole; Ibid., Trattati Svizzeri, m. 1 (1547-48); Ibid., Lettere ministri, Milano, m. 1 (1550 e 1555); Ibid., Francia, m. 1 (1551); Ibid., Lettere particolari, I, mm. 2, 8; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Ilpatriziato subalpino..., IV (datt.), sub voce; Arch. di Stato di Mantova, Archivio storico Gonzaga, E esterni, XLIX, n. 3, b. 1662, lettere sulla missione del D. presso i Cantoni cattolici, 1536; Le Congregazioni dei tre stati della Valle d'Aosta..., a cura di F. E. Bollati, Torino 1877-84, II, pp. 87, 92, 104 e passim; G. Claretta, La success. di Emanuele Filiberto al trono sabaudo, Torino 1884, pp. 32 ss., 38, 57-62, 90 s. e passim; A. Segre, Documenti di storia sabauda dal 1510 al 1536, in Miscell. di storia ital., s. 3, VIII (1903), pp. 118 s.; R. Quazza, La contea di Masserano e Filiberto Ferrero Fieschi, Biella 1901, pp. 72 s.; T. Liebenau, Sui fatti dal 1539 al 1559 e sulle relazioni dei Cantoni Svizzeri colla Casa di Savoia, col maresciallo di Challant e colla Valle d'Aosta, in Boll. dell'Acc. di S. Anselmo, XX (1912), aprile, pp. 19, 23 e passim; Id., Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 57, 100;C. De Antonio, La Valle d'Aosta ed Emanuele Filiberto, in Lo Stato sabaudo al tempo di Emanuele Filiberto, Torino 1928, I, pp. 155, 177 ss., 182, 257-260, 269; A. Segre, L'opera politica-militare di Andrea Provana di Leynì..., in Atti d. R. Accad. dei Lincei, cl. di sc. mor. stor. filol., s. 5, VI (1898), pp. 18, 25 e passim; Emanuele Filiberto, I diari delle guerre di Fiandra, a cura di E. Brunelli, Torino 1928, pp. 13, 15 s., 141, 167 (dove tuttavia a volte il D. viene confuso con un omonimo operante in Fiandra al seguito di Emanuele Filiberto); A. Segre, Emanuele Filiberto, I, Torino 1928, pp. 39, 93, 98, 104.