CONFALONIERI, Giovanni Battista
Nacque a Roma intorno al 1561 da Filippo e da Francesca Emilia; ma la sua famiglia era d'origine milanese, probabilmente nobile, e non sembra che versasse in floride condizioni economiche. Si ha notizia di una sorella, Giulia, e di alcuni nipoti.
Fu educato al Collegio Romano, dove seguì l'ormai consolidato cursus di studi dei gesuiti, apprendendovi, oltre al latino, il greco e l'ebraico. Per quattro anni fu allievo del Suarez, che insegnava allora teologia al Collegio Romano, "Doctor philosophiae et sacrae theologiae", sacerdote, protonotario apostolico, così figurava in documenti ufficiali del 1592. Probabilmente il C. era stato ordinato sacerdote di recente, così come da poco aveva ottenuto, grazie al favore del cardinale Alfonso Gesualdo, vescovo di Ostia e Velletri dal 1591, di cui era segretario, un canonicato alla cattedrale di Velletri. Dagli Acta del sinodo di Velletri sappiamo che il 21 giugno 1592 il C., già canonico della cattedrale, veniva eletto segretario del sinodo, visitatore e giudice sinodale (Arch. Segr. Vat., Fondo Confalonieri, vol.14). Fu "amicissimo" dei gesuiti, come ricaviamo da una lettera commendatizia del generale dei gesuiti Acquaviva, scritta nel 1597, in occasione di un viaggio del C. in Spagna. Del resto, a documentare i suoi rapporti con l'Ordine, vi sono i suoi contatti con il Bellarmino, a cui più volte fa riferimento nella corrispondenza. Di questi contatti costituisce un esempio di rilievo la lettera del Bellarmino al C., scritta da Capua nel luglio 1602, e pubblicata da J. B. Couderc (Le vénérable cardinal Bellarmin, Paris 1893, II, p. 59), dove il cardinale tenta di motivare al C. la posizione da lui assunta nella controversia molinista.
Nel periodo in cui il C. era a Roma segretario del Gesualdo, inoltre, compose gli indici alle Disputationes de controversiis fidei christianne del Bellarmino che furono pubblicati nella terza edizione di Ingolstadt (Disputationes... tribus tomis comprehensae..., Ingolstadii 1590).
Quando, nel 1592, Fabio Biondi da Montalto, patriarca di Gerusalemme, fu nominato da Clemente VIII collettore in Portogallo, il C. lasciò il servizio del Gesualdo, per seguire il Biondi come segretario; e restò poi in Portogallo fino alla fine del 1596, quando il Biondi, che era venuto a trovarsi in rapporti molto tesi con le autorità civili, che lo accusavano di abuso di poteri e d'indebito arricchimento, fu sostituito nella collettoria dal milanese Ferrante Taverna (15 ott. 1596).
Il C. del suo viaggio in Portogallo, come dei successivi, ha lasciato un resoconto redatto in italiano, pubblicato insieme con altri alla fine del secolo scorso. Le sue descrizioni "delle cose notabili occorse nel viaggio" non sono opere d'importanza letteraria, ma appunti attenti di un mondo visto con occhio curioso e penetrante: "Non è mio intento di comporre libri e tessere istoria che ciò lo fanno et l'han fatto uomini eruditissimi: ma solo io pretendo di notare alcune cose, che ho viste e di che mi sono informato a pieno, nell'occasione di questo viaggio..." (Palmieri, 1890, p. 181).
Questi resoconti di viaggio costituiscono una fonte preziosa per cogliere alcuni aspetti particolarmente illuminanti della vita del tempo.
La partenza avvenne da Civitavecchia nel novembre 1592: il Biondi si mise in viaggio insieme con il nuovo nunzio in Spagna, Camillo Caetani, patriarca d'Alessandria, e con i relativi seguiti. Nel resoconto del viaggio, il C. si sofferma a parlare lungamente di Genova, dei suoi conventi, dei suoi tesori artistici e delle reliquie che vi si trovavano. Fresche e acute le sue annotazioni sui costumi femminili: "Le donne di questa città sono in grandissimo numero, e per la prammatica vanno talmente vestite, che non si conoscono le gentildonne dall'artigiane. Sono di gran libertà, e di sangue bello, vanno per le strade sole senza serva, etiam le gentildonne, e vanno con altre pari loro" (ibid, p. 191). Giunto a Nizza, il C. si sofferma sulle scorrerie del duca d'Epernon, che era giunto fin sotto la città, "onde sino alle donne ajutavano a fortificare le mura della Città" (ibid., p. 199). Nel viaggio per mare da Nizza a Marsiglia, le galere su cui erano imbarcati s'imbatterono in quelle del duca d'Epernon, per cui "essendo galere che non levavano se non passeggieri e robbe, non potevano essere fornite di soldati e di arme: però ognuno s'ingegnò di porsi all'ordine et alle balestre et al meglio che si poteva..." (ibid., p. 200). Notevole, qui, una lunga descrizione delle galere e dei patimenti che vi si subivano, sia come prigionieri, sia anche come semplici passeggeri: "Solo dirò -scrive - che la galera ci par sorella carnale o almeno cugina della forca, et in questa vita è come un inferno" (ibid., p. 207). Anche la sosta a Marsiglia offre spunto a notazioni curiose: "Li preti di questa città non eccedono nella polizia e mondizia de' paramenti; e per questo andassimo a celebrare le nostre messe del SS.mo Natale alli Cappuccini" (ibid., p. 205). Marsiglia era allora in lotta con i Savoia, che avevano approfittato della morte di Enrico III per cercare di occuparla, "dubitando che Marsiglia non sia infettata o occupata dagli Principi eretici, ch'egli [il duca di Savoia] la vuol pigliare a difendere; tanto più volentieri, quanto ch'ella è vicina alli suoi Stati, per il che importarebbe assai s'ella fosse travagliata" (ibid., p. 205). Di questa situazione fecero le spese i viaggiatori, imbarcati su galere savoiarde, che furono obbligati a lasciare precipitosamente la città.
Il 13 genn. 1593 giunsero a Barcellona, da dove dovevano proseguire per via di terra. Il C. è colpito, al suo primo contatto con la Spagna di Filippo II, dal gran numero di forche che caratterizzano il paesaggio: "et è cosa grande che per questo regno non si trova altro che forche e uomini appiccati e squartati" (ibid., p. 218). Il 3 febbraio arrivarono a Madrid, "quasi Madre id, che vuol dire in italiano Madre andatevene" (ibid., p. 441), spiega con una fantasiosa etimologia. Ampia ed attenta la descrizione della corte e del sovrano: "Il re è di statura piuttosto piccola, che mediana, di capelli e barba bionda, ma in questo tempo era tutto canuto, di color bianchissimo, con le labbra grosse come sono tutti gli austriaci..." (ibid., p. 463). A giudizio del C., il S. Uffizio era rigorosissimo e particolarmente in tre casi: "di heresia, bestemmia e sodomia, e in questi ultimi si danno poi in mano alla giustizia secolare, et ogni minimo cenno, nonché fatto, basta per essere abbruciati, et un grande di Spagna, che hoggi è vivo, solo con haver messo il braccio al collo ad un paggio, stette dieci anni prigione, et li costò più di centocinquanta mila scudi" (ibid., p. 461). Particolarmente duro su questioni d'Inquisizione il re, che obbliga la regina a consegnare al S. Uffizio un libro sospetto da lei posseduto "non sapendo ella che cosa fosse" e fa giustiziare per sodomia un suo cugino primo "essendosi presente il re ad una finestra". Anche qui, come a Genova, il C. si stupisce della libertà di cui godono le donne: "Sono di grand'animo per la libertà grande che tengono, e camminano per le strade di notte e di giorno come cavalli corsieri; parlano bene, e pronte nelle risposte; cantano bene, e lavorano meglio: hanno però tanta libertà, che alle volte pare che passino i segni della modestia, et i termini dell'honestà" (ibid., p. 458). Interessante, per l'antico allievo dei gesuiti, la visita all'università di Alcala: "et le scuole sono ... basse oscure e senza ordine, e li scolari se vogliono scrivere, bisogna che scrivino sul ginocchio; è però collegio celebre per i Padri valenti che vi sono, fra i quali trovai il R. P. Francesco Soarez..." (ibid., p. 238). Nel resoconto della storia di un famoso negromante, il marchese di Viglienna, poi, il C. ha modo di esprimere il suo gusto per questo tipo di argomenti, che egli approfondirà anche in seguito, come testimoniano i resoconti di casi di sortilegio e gli appunti sul Pimander e sull'opera di Martino Del Rio sparsi nel suo fondo: "il marchese vecchio - scriveva - al tempo di Carlo Quinto, ingannato dal demonio, come quello che attendeva alla necromantia, si fece tagliare in pezzetti minuti a poco a poco, essendo vivo, e questo fece fare dal suo maggiordomo, con ordinarli, che dopo che l'havesse così sminuzzato, lo dovesse porre a stillare... perché tra tanti giorni, egli si doveva rinovare, e di vecchio che era, diventar giovinetto, anzi bambino; tanto era il desiderio di vivere, giovine, che si lasciò persuadere dal demonio questa inventione, e soffrì una morte così crudele, per credere al padre delle bugie" (ibid., p. 473).
I viaggiatori giunsero successivamente a Saragozza, dove era stata appena domata una rivolta popolare, legata alle vicende di Antonio Perez, segretario di Filippo II, caduto in disgrazia e imprigionato; questi, liberato dal popolo di Saragozza, era fuggito in Francia. Il C., che mostra un notevole interesse per le vicende del suo collega spagnolo, descrive la repressione della rivolta: "e le loro teste [dei capi nobili della rivolta] furono fritte nell'olio acciò si conservassero; et ora stanno poste in varie parti della città, come sopra le porte principali, con le loro iscrizioni in marmo, ad perpetuam rei memoriam, e stanno poste dentro certe ferrate rodonde in maniera che possono essere viste da tutti comodamente, e non solo questi tali e loro eredi sono restati infami, e privi di tutti lor beni, ma ancora le loro case sono state spianate e sopra di esse seminatovi il sale" (ibid., p. 230).
L'11 marzo il C. giungeva a Lisbona. Il Portogallo gli appariva molto diverso dalla Spagna e assai simile all'Italia: "Finalmente ogni cosa mi rappresentava la prospettiva et alcun'altra cosa d'Italia" (ibid., p. 482). Nel corso del soggiorno in Portogallo, nel 1594, il C. compì al seguito del Biondi un pellegrinaggio d'un mese al santuario di Santiago di Compostela, lasciandone una relazione. Oltre alla dettagliata descrizione del viaggio, egli vi narra la storia d'una donna che sottrasse l'ostia consacrata per portarla ad una giudea; ma l'ostia, avvolta in un mantello, prese a sanguinare, fino a che il marito non la denunciò per stregoneria. Un topos, questo, della tradizione antisemitica, di cui del resto il C. si fece più volte e volentieri portavoce.
In questo periodo, il C. doveva essersi reso ormai prezioso come segretario, dato che sia il vescovo di Evora, don Teutonio di Braganza, che già aveva conosciuto ad Evora, sia il successore del Biondi nella collettoria, Ferrante Taverna, che aveva conosciuto al Collegio Romano, e che fu poi governatore di Roma all'epoca della condanna di Giordano Bruno, insistettero lungamente perché egli si ponesse al loro servizio. Rifiutando ogni offerta, il C. tornò però a Roma con il Biondi; ma qui lo raggiungeva la richiesta di recarsi in Spagna come segretario del nunzio Camillo Caetani. Così "prestato" dal Biondi, nel settembre 1597 il C. partiva nuovamente per la Spagna, dove restò fino al 1600, quando il Caetani fu sostituito nella nunziatura.
Sono questi anni importanti per la Spagna, dove Filippo II moriva nel 1598: molti dei volumi del Fondo Confalonieri sono dedicati alla Spagna e contengono scritture ed opuscoli a stampa sugli avvenimenti spagnoli. Questo materiale in parte fu raccolto e portato personalmente in Italia, come la nota delle navi, forze militari e provviste dell'Invincibile Armata; in parte, come il materiale riferentesi alla cacciata dei Moriscos del 1609, gli fu spedito successivamente. Le sue lettere al Biondi, scritte durante l'intero periodo del suo soggiorno in Spagna e conservate nel fondo (vol. 26), testimoniano dei loro ininterrotti legami, narrano le vicende della corte e chiedono con insistenza notizie da Roma. È interessante osservare che l'atteggiamento del C. verso i viaggi è, a differenza di quello di tanti altri prelati del suo tempo, sostanzialmente positivo, e questo rende forse interessanti i suoi resoconti e le sue lettere, che negli altri casi spesso si riducevano a lunghe lamentele sulle scomodità dei viaggi. Con tutto ciò, il ritorno a Roma nel 1600 gli appare come una meta ambita e graditissima.
A Roma il C. fu obbligato a rientrare al servizio del Gesualdo, con molta sua riluttanza. Alla fine dell'anno, però, quando il Gesualdo si recò nella sua diocesi di Napoli, egli rinunziò il canonicato di Velletri, le cui rendite aveva considerato essenziali in quegli anni e, prendendo a pretesto la necessità di rimettersi in salute (si era infatti ammalato durante l'ultimo periodo del soggiorno in Spagna), "si liberò da Gesualdo", come scrive egli stesso (vol. 46, f. 2). Il 1° febbr. 1601 il C. poteva, così, libero da ogni obbligo, seguire in Vaticano il suo protettore Fabio Biondi, nominato maestro di Palazzo da Clemente VIII.
Degli anni curiali del C., fino al 1626, anno della sua nomina a prefetto dell'Archivio di Castel Sant'Angelo, non sappiamo molto. Il suo fondo testimonia dell'attività nella segreteria pontificia, sia attraverso le minute scritte a nome del Biondi, sia attraverso le minute di epistulae di Paolo V a principi, cardinali e nunzi, datate tra il 1609 e il 1611 (vol. 54). Nel 1616 fece un viaggio a Napoli, di cui ci resta la descrizione, meno interessante di quelle dei viaggi giovanili, con uno spiccato interesse per chiese, monasteri e reliquie, e non solo dal punto di vista religioso, ma soprattutto da quello strettamente patrimoniale, come risulta dai minuziosi elenchi delle dotazioni dei vari conventi del Napoletano. Nel 1624 ottenne, grazie al cardinal Lante, l'ufficio di decano dei tre visitatori del monastero di S. Susanna.
A partire dal 1626, il C. esercitò l'ufficio di prefetto dell'Archivio di Castel Sant'Angelo, dove ebbe modo di affermare le sue doti di erudito e di paziente riordinatore e postillatore di documenti, doti che fino a quel momento gli avevano valso soltanto una larga fama come segretario di vescovi e cardinali, senza offrirgli particolari onori e ricchezze. In due preghiere contenute nel suo fondo c'è la precisa consapevolezza di ciò: sono preghiere personali, molto ingenue, in cui chiede al Signore la salvezza per l'anima e per il corpo, per gli amici, per i nemici e per gli uffizi che non ha ottenuto (vol. 10, ff. 17-19).
Fino alla fine del sec. XVI, i documenti pontifici erano dispersi in vari depositi, il più importante dei quali era appunto l'Archivio di Castel Sant'Angelo, fondato da Sisto IV ed ingrandito dai suoi successori. Nel 1593 Clemente VIII iniziò l'opera di riordinamento e di unificazione degli archivi. Nell'Archivio di Castel Sant'Angelo confluirono, tra l'altro, i fondi rimasti ad Avignone. A questo enorme archivio il C. fu posto come prefetto, succedendo al cardinal Cobelluzzi, e dell'archivio egli portò a termine, per incarico di Urbano VIII, l'inventario nel 1632. Nel 1799 il materiale dell'archivio fu trasportato nell'Archivio Segreto Vaticano, dove si trova tuttora.
Nel 1629 il C. entrò a far parte come consultore della Congregazione dei Confini dello Stato della Chiesa. Legata a questa attività è la sua Relazione sulle carte di Benevento conservate nell'archivio di Castello (1635, vol. 10). Il C. intendeva presentare alla Congregazione un elenco di tutte le carte che si riferivano ai confini antichi e recenti della città e del territorio beneventano, per salvaguardare i diritti della S. Sede. Ad analogo fine erano diretti un De Beneventana civitate opusculum (1633, vol. 2,) il De Sedis Apostolicae iuribus in utroque Regno Siciliae (1631, vol. 2), il De scriptis Urbini in Archivio S. Angeli exsistentibus (1631, vol. 2).
Nel 1638 il C. fu colpito da apoplessia e rimase privo della parola; gli fu allora posto come coadiutore Carlo Cartari, che gli succederà ufficialmente solo alla morte del C., avvenuta dieci anni dopo a Roma il 29 ott. 1648.
Il C. ha lasciato, nell'Archivio, un suo fondo personale, finora assai limitatamente esplorato, composto di ben ottantanove volumi (Indice dell'Arch. Segr. Vat., n. 1051). Vi si trovano le descrizioni dei suoi viaggi, il suo amplissimo epistolario, materiale riguardante la Spagna e il Portogallo, le minute delle lettere da lui scritte durante la sua lunga attività di segretario, opuscoli a stampa, in particolare spagnoli o portoghesi, copie di brevi, e materiale di varia natura e provenienza, frutto della sua instancabile opera di raccoglitore di notizie e curiosità, cataloghi di carte dell'Archivio, indici di libri e appunti di sue lettere, genealogie, note delle spese, ecc. Particolarmente importante è il suo fondo per quanto riguarda l'attività missionaria (scritture, opuscoli e lettere sul Giappone, Congo, Goa, ecc., di notevole interesse). Anche le vicende della guerra dei Trent'anni hanno attirato il suo interesse, come testimoniano vari "avvisi" di Germania degli anni tra il 1617 e il 1620 e una Relazione sulla presa di Praga del 1620 (vol. 25). Inoltre, alcuni volumi raccolgono materiale giudiziario.
Fonti e Bibl.: G. Palmieri, Viaggio di G. C. da Roma a Madrid nel 1592, in Spicilegio Vaticano…, I, Roma 1890, pp. 169-239, 441-490; Id., Viaggio di G. C. nel 1616 da Roma a Napoli, in Il Muratori, I (1892), pp. 39 s., 89-92, 127-136, 235-240; II (1893), pp. 171-174; J. Guerra Campos, Viaie de Lisboa a Santiago en 1594 por Juan Bautista C., in Cuadernos de Estudios Gallegos, XIX (1964), pp. 185-250; P. Mandosio, Bibliotheca Romana…, Romae 1682, I, pp. 36-38; P.Kehr, Papsturkunden in Rom, II, in Nachrichten von der Gesellschaft der Wisc. zu Göttingen, 1900, p. 391; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes, Helsinki 1910, pp. 255, 257; [A. Mercati], Sussidi per la consult. dell'Archivio Vaticano, I, Roma 1926, p. 221; L. von Pastor, Storia dei papi…, XIII, Roma 1961, p. 933; J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de SixteIV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad Indicem; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, I, col. 1157.