COMOLLI, Giovanni Battista
L'atto di battesimo, conservato presso la parrocchia di S. Maria Maggiore a Valenza (Alessandria), lo registra nato il 19 febbraio del 1775 da Giovanni e Giuseppina Frasta (Trasti). Secondo A. Caimi (Delle arti del disegno e degli artisti nelle provincie di Lombardia dal 1777 al 1862, Milano 1862, p. 162), fu allievo a Milano dello scultore Giuseppe Franchi all'Accademia di Brera; ma sulla sua formazione mancano documenti sicuri. In data imprecisata si trasferì a Roma dove già risiedeva Angelo Comolli, letterato ed erudito d'arte che pare fosse suo zio (P. Zani, Enciclopedia metodica... delle belle arti, I, 7, Parma 1821, p. 242). L'emergere della sua attività è legato alle vicende della occupazione francese del 1798.
Proclamata la Repubblica romana, lo scultore partecipò agli allestimenti per la festa della Federazione, 20 marzo 1798, con un gruppo rappresentante La Francia che abbraccia la Libertà e la presenta a Roma, posto a coronamento dell'arco trionfale eretto da Giuseppe Barberi presso il ponte S. Angelo. La sua posizione si fece centrale nella successiva festa per l'"Abbruciamento del libro d'oro", 17 luglio 1798, in cui il C. era responsabile degli allestimenti accanto ad uno dei quattro architetti della Repubblica Romana, il livornese Paolo Bargigli, cui il console Visconti aveva affidato una particolare giurisdizione sugli apparati provvisori e celebrativi. Un gruppo del C., La Verità trionfante tra i geni delle repubbliche romana e francese, formava in questa occasione il centro della macchina simbolica immaginata dal Bargigli, che il Sala, nel suo Diario (1882), trova scandalosa per la nudità delle figure.
Alla caduta della Repubblica romana, il C. riparò in Francia a Grenoble che era allora sede del governo piemontese in esilio e uno dei centri più vivaci dell'emigrazione politica italiana. Ancora nel dicembre 1799 il suo nome non è compreso negli elenchi dei residenti stranieri stesi dalla amministrazione municipale e conservati nelle Archives départementales di Grenoble, cart. 58 M. Ma nel marzo 1800 il dipartimento dell'Isère gli affidò l'esecuzione di una serie di busti per la Biblioteca civica e nei documenti il C., presentato con il titolo ufficiale di "scultore della Repubblica Romana", viene detto autore, per committenti del Delfinato, già di alcuni busti-ritratto "che hanno fatto conoscere i suoi talenti". Da ulteriori elenchi dei rifugiati piemontesi, compilati da Gaspare Morardo tra il maggio e il giugno 1800, sappiamo che lo scultore risiedeva in città con un fratello che le liste definiscono "patriote éclairé" e che è probabilmente lo stesso segnalato come agitatore in Torino da rapporti della polizia francese nel 1802 (Aulard, III, 1906, p. 388; il nome di questo fratello non è precisato). Il 24 giugno 1800, il C. fu eletto membro del Licée de Science et des Arts di Grenoble.
Sulla base di indicazioni dello stesso C. nei costituti ai processi per i moti del '21, alcuni biografi parlano della concessione di una vera e propria cattedra di scultura. A Grenoble, però, fino alla riforma del 1802 il termine "Liceo" designava non un istituto di istruzione ma l'associazione da cui prese origine la rinascita, nel 1814, dell'Accademia Delfinale. Ne era presidente Louis-Joseph Jay, distintosi nell'appoggio agli emigrati piemontesi, professore di disegno all'Ecole centrale cittadina e stretto amico del patriota unitario G. Fantoni. Non risultando l'istituzione di cattedre di scultura, eventuali lezioni del C. sembrano essere passate più che altro in via ufficiosa.
Quanto all'incarico per la Biblioteca, si trattò del busti di Bayard, Mably, Condillac, Vaucanson, Bernard, Fontaine: per i documenti, come per le liste di G. Morardo, si vedano i regesti curati da A. Prudhomme in Inventaire sommaire des Archives départementales, Isère, serie L, II, Grenoble 1908, pp. 132, 261, 372. L'esito della commissione è insufficientemente noto: i cataloghi del Museo-Biblioteca di Grenoble attribuiscono al C., a partire da ricerche del Maignien nel 1887(vedi in particolare La Bibliothèque..., pp. 43-47), due busti di Mably e Condillac in terracotta che provenivano però da un dono fatto pochi decenni prima dall'Accademia Delfinale e risultano attualmente anch'essi dispersi.
Cessata l'occupazione austro-russa, il governo piemontese nominò il C. scultore nazionale il 26 ag. 1800 e gli affidò la direzione della scuola di scultura con un provvedimento che premiava certamente più le relazioni acquisite in Francia e le benemerenze di patriota che le opere fino ad allora note dell'artista. In Piemonte il C. non rimase a lungo. Incaricato di eseguire un busto del Massena, fu presentato al generale in Milano dal Colla e già nel 1801 ripartì per la Francia, lasciando come supplente Giacomo Spalla, che dal novembre 1800 gli era stato affiancato col titolo di "Conservatore dello studio nazionale di scultura".
Per il Salon parigino del settembre 1801 il C., che dal Livret dell'esposizione risulta aver aperto studio in "rue Bailleul n. 182", preparò due busti-ritratto in marmo e il modello di una statua colossale di Napoleone pacificatore nell'atto di rimettere la spada nel fodero. Il gesso, avendo Bonaparte deciso di ritirare dal Salon tutti i propri ritratti, poté venir esposto solo in novembre all'Hôtel de Salm; suscitò indubbio interesse, se l'ambasciatore austriaco a Parigi Ph. von Cobenzl trovò opportuno inserirne la descrizione in un suo rapporto al principe di Colloredo in Vienna (vedi, anche per il successivo busto di Napoleone, i documenti pubblicati in Da Como, 1934-40, ad Indicem). Ilprogetto di trascrivere la statua in marmo per collocarla davanti agli Invalides, cui accenna Cobenzl, non ebbe seguito. Il C. si provò allora a studiarne l'inserimento nei piani della Cisalpina per il Foro Bonaparte, che già avevano dato luogo a trattative con Canova.
Per l'interessamento di Giuseppe Tambroni e di F. Marescalchi, un busto di Napoleone in gesso patinato color bronzo venne spedito alla Consulta di Lione e donato alla Cisalpina il 9 genn. 1801. Ad appoggiarlo fu direttamente il Melzi, che in questa occasione definì il C. "uno del più rinomati scuolari del celebre Canova" (ibid., p. 75); la lettera accompagnatoria, in cui il C. si proponeva per "qualche impresa durevole" (ibid.) rimase però senza esito.
Lo scultore si presentò in seguito al concorso bandito nel 1802 per una statua di Napoleone in Genova, ma è difficile che le sue idee siano in rapporto col modello esposto al Salon di Parigi: la partecipazione del C. al concorso è attestata nel 1805 (Carteggi Melzi, VII, p. 496) e per la statua di Genova era stato deciso nel 1803 di fissare un'iconografia in abito e "alla moderna" (Hubert, La sculpture..., 1964, p. 297). Il successo (F. Alizeri, Notizie dei prof. del disegno in Liguria dalla fondaz. dell'Accademia, II, Genova 1865, pp. 220 s.) fu solo momentaneo, e proprio nel corso del 1805 i deputati liguri decisero di aggiornare la competizione.
A Genova risulta tuttavia nel 1805 la collocazione in palazzo Saliceti di un busto non identificato, opera del C. (lettera dello scultore a Luigi Bossi, Genova 25 genn. 1805, conservata presso la Bibl. naz. di Firenze, Cart. vari 205-103).
Da una lettera del Jay per Felice Bongioanni (G. Vaccarino, I patrioti "anarchistes" e l'idea dell'unità italiana 1796-1799, Torino 1955, pp. 243 s.) sappiamo che il C. rientrò dalla Francia nel febbraio 1802 dopo un ulteriore passaggio per Grenoble. Già nell'autunno di quell'anno si ha tuttavia un nuovo soggiorno di qualche mese a Parigi, a conferma di una situazione che vede il C. titolare di cattedra in Piemonte fino al 1814 ma assente in pratica per la maggior parte del suo mandato. Nel frattempo si attuò la fusione tra l'Accademia e l'ateneo torinese, regolarizzata con decreto 12 dic. 1802 ma già impostata da tempo: il C. perse il titolo di scultore nazionale, ma acquistò quello, più illustre, di professore universitario (Dalmasso, 1980).
Con l'appoggio del Consiglio di Istruzione pubblica (Brayda, Botta e Giraud) lo scultore lavorò nel 1802 a una serie di busti per la sala grande dell'ateneo. Sono i ritratti di Napoleone, Jourdan, Brune e Massena (docc. in Schede Vesme, 1963, pp. 349 s.), completati tutti entro il settembre di quello stesso anno ma non posti in opera, se un inventario steso in contraddittorio con lo Spalla li segnala nel 1803 ancora proprietà del C. nei depositi della scuola di scultura (Arch. di Stato di Torino, Carte epoca francese, s. II, cart. 10). In settembre, il C. rassegnò una perizia a sostegno di quella del Tarini, direttore del Museo di antichità, sui torsi loricati di epoca romana da poco ritrovati in Susa (Levi Momigliano, 1980). Lo stesso mese presentò un busto in terracotta dell'Alfieri alla seduta inaugurale dell'Accademia subalpina di storia e belle arti (Schede Vesme, 1963, p. 350). Il 5 ottobre gli venne affidato l'incarico di un busto di J. Chaptal, nuovo ministro francese degli Interni, e la commissione, prevista ancora per l'ateneo di Torino, motiva nel 1802 il terzo soggiorno a Parigi del Comolli.
A questo viaggio possono risalire alcune delle opere citate nel 1804 in una lettera del Bossi (Hubert, La sculpture..., 1964, pp. 316 s., da docc. nell'Arch. di Stato di Milano); e cioè un ulteriore busto di Brune, che risulta ancora in corso di pagamento ed è forse da identificare con l'esemplare oggi al Musée de l'Armée, un ritratto di M.me Brune ed un busto del Marescalchi in terracotta, entrambi dispersi e di datazione incerta. Il busto di Chaptal fu terminato in marmo a Torino e brevemente esposto nell'agosto 1803. Il ministro ne ordinò subito un paio di copie e dispose per il trasferimento del prototipo alla Scuola speciale di chirurgia di Montpellier, presso la cui facoltà di medicina si trova tuttora.
Gli anni fino al 1803 furono centrali per l'affermazione professionale del C., che sotto l'amministrazione Jourdan si assicurò a Torino un ruolo cui la sua opera faticherà a tener dietro negli anni dell'Impero. Sappiamo tuttavia che la scuola di scultura stentò ad avviarsi; conflitti con lo Spalla ne paralizzarono in parte l'attività (docc. a Parigi, Archives nat., cart. F¹ 7 1603) e contribuiscono a spiegare la libertà con cui il C. si assentò dal territorio nazionale. Sono da indagare le implicazioni politiche del suoi viaggi a Parigi: rapporti di polizia pubblicati dall'Aulard insinuano che lo scultore vi svolgeva attività contro l'annessione del Piemonte alla Francia e registrano con preoccupazione i suoi contatti col generale Massena "à qui il présente tous les mauvais sujets piémontais, liguriens, napolitains et cisalpins". Già in precedenza pare che il C. avesse rischiato di venir implicato nelle indagini sulla congiura di G. Ceracchi: "Comolli était un intime de Ceracchi, et il fut obligé de quitter Paris, où il est rentré depuis" (Aulard, III, 1906, pp. 388 e 564 s., rapporti del 10 nov. 1802 e del 12 genn. 1803). Altri documenti sulla questione sono a Parigi, Archives nat., cart. F7 6330, e da essi risulta che le accuse del 1803 erano basate su una denuncia anonima, la stessa che causava in quel periodo l'arresto e l'espulsione di Michele Buniva. Il C. si sottrasse ad un provvedimento analogo solo perché a fine gennaio non era più possibile rintracciarlo in Parigi.
Dopo il terzo viaggio in Francia lo scultore rientrò a Torino nel febbraio 1803; ma anche in Piemonte il clima si fece subito più inquieto. Il 21 marzo diventò operante la sostituzione del generale Jourdan con Menou, come amministratore della 27ª divisione militare (Piemonte); programmi ed operato del precedente Consiglio di Istruzione pubblica vennero messi sotto inchiesta. Ancora il 25 febbraio era stata commissionata al C. una statua di Pallade, di cui l'artista approntò il modello in piccolo; ma in aprile le polemiche si accesero attorno a richieste per il pagamento di arretrati e all'arrivo di alcune casse contenenti calchi in gesso di statue. Il C. ne aveva chiesto a Chaptal nel 1802 il dono per la scuola di scultura di Torino; il nuovo Consiglio di Istruzione, presieduto da Falletti di Barolo, rifiutava di coprirne le spese di incasso e di trasporto (docc. in Schede Vesme, 1963., p. 351). II C., che si trovava nel frattempo ad affrontare accuse di cattiva condotta amministrativa (gli si imputava di aver alienato marmi e gessi degli scultori Collino, di proprietà nazionale) ottennea suo favore l'intervento diretto di Chaptal; ma la sua posizione restava critica.
Stando ai documenti finora noti, non gli si conoscono inPiemonte fra il 1803 e il 1805 che due sole commissioni di un certo livello ufficiale: un ritratto di Menou per incarico dell'Accademia delle scienze (il C. chiede sedute di posa con lettera 26 dic. 1803) e un busto dell'Alfieri per sottoscrizione della città di Asti (Journal de Turin, 10 ag. 1805: un marmo di questo soggetto fu completato per Melzi nel 1806). Il C. conservò l'incarico di professore di scultura, sia pure con la riduzione di prestigio e stipendio sancita dalle riorganizzazioni dell'ateneo nel 1803 e 1805, che ristabilivano la distinzione tra le cattedre scientifico-letterarie e quelle artistiche. Ma nelle iniziative di rappresentanza e nei rapporti con la Francia gli veniva costantemente preferito lo Spalla che, messo a capo nel 1803 del Museo delle arti del disegno presso l'ateneo, nominato nel 1807 scultore di S. M. per i dipartimenti di Oltralpe, giungeva a cumulare retribuzioni sensibilmente superiori.
Una richiesta, di appoggio in Milano, inviata a Francesco Melzi D'Eril che decadeva allora dall'incarico di vicepresidente della Repubblica Italiana, documenta la difficile situazione in cui il C. si trovava nel 1805 a Torino a causa dell'ostilità di Menou e della concorrenza dello Spalla (Carteggi Melzi, VII, pp. 495 s.); ma già in precedenza lo scultore accennava a spostare la propria attività fuori del Piemonte. Un busto del poeta G. B. Casti modellato dal vero forse a Parigi nel 1802 (vedi A. Laquiante, Un hiver à Paris sous le Consulat, 1802-1803, Paris 1896, p. 16) venne terminato in marmo nel gennaio 1804 per il Melzi (Journal de Turin, 27 genn. 1804; il marmo è alla Galleria d'arte moderna di Milano; Pescarmona, 1980, p. 205). Contemporanea fu l'esecuzione, fra la fine del 1803 e il luglio 1804, di un ritratto del Melzi (Bellagio, villa Melzi D'Eril: gesso alla Gall. d'arte mod. di Milano) che diede luogo a viaggi a Milano e Genova e al personale interessamento del Bossi, commissario della Repubblica Italiana in Torino. Ulteriore sintomo di insoddisfazione fu, nel luglio 1806, il tentativo di ottenere tramite Jourdan una chiamata a Napoli presso l'Accademia o la corte di Giuseppe Bonaparte; è nota, in proposito, la netta opposizione di Wicar (F. Beaucamp, Le peintre lillois Jean-Baptiste Wicar, II, Lille 1939, p. 398, da documenti nell'Archivio di Stato di Napoli). Seguirono, fra l'ottobre e il novembre 1807, trattative per. l'ottenimento di un congedo a lungo termine dall'ateneo di Torino, chiesto per recarsi a Carrara ad eseguire ancora una nuova commissione per il Melzi.
Si tratta del gruppo Beatrice che consola Dante della profezia sull'esilio indicandogli la giustizia superiore, l'opera forse più impegnativa e comunemente nota del Comolli.
A seguito di sfortunati contatti con lo scultore francese Charles-Antoine Caliamard per una statua a Napoleone, Melzi si era trovato nel 1803 proprietario di due blocchi in marmo che ancora nel 1807 giacevano inutilizzati a Carrara. Da qui (documenti complementari a quelli pubblicati dall'Hubert, La sculpture..., 1964, p. 205, sono in Arch. di Stato di Milano, Studip. m., cart. 278) l'idea di una commissione al C. che per suo conto aveva certo personali motivi di interesse per l'Accademia cittadina, dove la cattedra di scultura era vacante a seguito della partenza di Angelo Pizzi per Venezia e dove professore di architettura era dal 1804 il Bargigli, collega degli anni romani. Segretario dell'Accademia era stato fino a pochi mesi prima il Fantoni.
Il C., che si presentò alla corte lucchese (Carrara faceva parte degli Stati di Elisa Bonaparte) con credenziali del Melzi e del Jourdan, ebbe già nel settembre 1807 un colloquio con Hector Sonnolet, da poco nominato direttore della Banca Elisiana, in cui rifiutò la cattedra. Rileggendo i documenti pubblicati dal Marmottan, e verificandoli sugli incartamenti originali (Arch. di Stato di Massa, Banca Elisiana, cart. 203) ci si può chiedere tuttavia se non sia stato piuttosto Sonnolet a provocare con diplomazia quella che egli stesso definisce la "fuga" dell'artista (Marmottan, 1901, pp. 262 s.). Proprio in quel periodo infatti, Sonnolet stava facendo pressioni per ottenere l'invio di uno scultore francese e si trovava particolarmente ai ferri corti con Bargigli, i cui legami con il C. gli erano certamente noti.
Si aveva però interesse a mantenere il C. nell'ambito degli ateliers carraresi. Nominato professore il Bartolini, Sonnolet appoggiò così nell'agosto 1808 l'idea di una missione di Bargigli e del C. in Lombardia dove i due si proponevano di attirare, grazie alle loro conoscenze, commissioni per le istituzioni elisiane. Risultato del viaggio (settembre-novembre) furono lavori di artigianato per privati e per il prefetto del dipartimento del Crostolo, contatti col Cagnola per l'Arco della pace e, soprattutto, la promessa da parte del Melzi di affidare a Carrara l'esecuzione dei marmi per la sua villa in costruzione a Bellagio. Bargigli aveva proposto di collocare il gruppo del C. Dante e Beatrice nel giardino di palazzo Melzi a Milano, al centro di un tempietto con erme di poeti e letterati illustri (Archivio di Stato di Massa, Amministrazione camerale, cart. 78). Il gruppo (il cui soggetto allude forse alle vicende personali del Melzi, messo in disparte dall'attività politica a seguito dell'istituzione del Regno d'Italia), sarà tuttavia terminato nel 1810 e sistemato a Bellagio su un piedistallo neogotico, sempre su disegno del Bargigli.
Di ritorno a Carrara, il C. chiese il 22 febbr. 1809 udienza alla Baciocchi per presentare alcune riflessioni in merito alla Banca Elisiana (Archivio di Stato di Massa, Banca Elisiana, cart. 203). Qualche mese prima (Gazzetta di Lucca, 26 giugno 1808) si situa la presentazione alla principessa dell'opuscolo Projet d'une fontaine publique, par J. B. Comolli, professeur de sculpture à l'Université impériale de Turin, stampato a Parma nel 1808 dal Bodoni con incisioni del piemontese A. Boucheron. Si tratta del progetto per una monumentale fontana in onore di Napoleone: intenzione del C. era probabilmente quella di intervenire, con una iniziativa che fosse banco di prova per gli ateliers carraresi, sulla questione dell'acquedotto di Lucca e della sistemazione della piazza davanti al palazzo dei principi, dove già nel 1806 l'architetto T. Bienaimé aveva proposto l'esecuzione di una fontana.
Attraverso i documenti della segreteria lucchese di Stato e di gabinetto e le trattative per l'esportazione in franchigia dei marmi (Regesto del carteggio privato dei principi Elisa e Felice Baciocchi 1803-1814, a cura di D. Corsi, Roma 1963, pp. 19, 67, 257), possiamo seguire parte dell'opera del C. in questi anni. Nel febbraio 1809ero pronto un busto del Bodoni e fu coriunissionato il ritratto di Elisa Baciocchi (Marmottan, 1901, p. 87, e Hubert, La sculpture..., 1964, pp. 318 s., ne segnalano esemplari nella collez. Fabius in Francia, a villa Vicentina, a villa Melzi); fra l'aprile e il giugno si parla più volte di busti di Eugenio di Beauharnais (noti nell'esemplare di Versailles in abito di corte e nelle erme della Malmaison e delle Tuileries, distrutta: Hubert, La sculpture..., p. 318; sedute di posa erano state chieste nel 1808 al viceré tramite il Melzi: Carteggi Melzi, VIII, pp. 55 s.). Il 28 giugno 1810 il C. ottiene l'uscita in franchigia per altri busti della famiglia imperiale e per il gruppo Dante e Beatrice, esposti a Milano dal 15 novembre a Brera; nel 1811 le agevolazioni vennero negate per due busti di Napoleone a causa della soppressione del privilegi della Banca Elisiana.
Un ritratto di Napoleone in gesso era stato offerto all'ateneo di Torino già nel 1808 (Schede Vesme, 1963, pp. 353 s.); tra il 1809e il 1812 il busto venne replicato in una serie di varianti segnalate a Casale Monferrato (municipio: F. Gasparolo, Una lapide napoleonica al Museo civico di Casale Monferrato, in Riv. di st., arte, archeologia per la prov. di Alessandria, XXXV [1926], pp. 449 s.), a Genova (Gasparolo, Memorie stor. ..., I, 1, p. 241), ad Alessandria e Piacenza (Musei civici), a Milano (Museo del Risorgimento), a Piacenza in casa Maggi Trettenera e, per dono della famiglia De Cardenas, nel municipio di Valenza. Un busto di Napoleone fu presentato dal C. nel 1812 al Salon des Beaux-Arts et Manufactures di Torino; un altro fu donato dal Breme al Senato del Regno italico nell'aprile 1811; identificazioni e questioni di autografia devono tuttavia tener conto dell'attività di replica svolta in quegli anni dagli ateliers carraresi.
Se fra il 1808 e il 1812 Carrara sembra il principale centro di attività del C., che vi aprì studio e partecipò come professore onorario all'attività dell'Accademia, in seguito si accentuò l'alternanza con Milano, dove il 16 sett. 1810 il C. chiese in concessione al governo l'ex chiesa di S. Damiano per aprire uno studio e una scuola di scultura. Il 30 genn. 1811 il viceré gli commissionò ufficialmente l'esecuzione del Monumento alla pace di Campoformido, da erigersi nel dipartimento del Passariano su progetto del Voghera. La statua, eseguita a Carrara, giustifica la richiesta di un prolungamento del congedo da Torino. Il 13 giugno ne venne esposto a Carrara il modello, nel dicembre 1812 l'opera era completa e si trovava in Milano da dove venne trasferita l'anno seguente in Friuli. Venne eretta però solo nel 1818 in piazza Contarena a Udine, su basamento predisposto dall'architetto V. Presani (F. Braidotti, Il monumento della pace di Campoformido..., Udine 1911).
Un rapporto governativo, forse del 1911, sulle belle arti nel Regno d'Italia (Arch. di Stato di Milano, Studi p. m., cart. 328), firmato dal direttore generale della Pubblica Istruzione, Scopoli, attribuisce al C. un posto onorevole nella capitale accanto al Pacetti e al Monti e segnala l'esecuzione di una statua per il duomo di Milano, non identificata. Per gli anni successivi, si possono citare il Redentore della villa Melzi di Bellagio, firmato e datato 1813, e un busto di Chasseloup esposto al Salon di Parigi nel 1814. A chiusura dell'età napoleonica l'artista godeva di una buona stima professionale, ed anche a prescindere dall'originalità di cui egli aveva dato prova nel Dante eBeatrice (una delle prime sculture italiane ad affrontare la raffigurazione di personaggi in costume medievale), il suo gusto per una vivace caratterizzazione ne aveva fatto l'autore di alcuni fra i migliori ritratti del periodo. L'irrequietezza, e i continui spostamenti tra il Regno d'Italia, Torino, la Toscana e l'ex ducato parmense (il C. vi è testimoniato con sicurezza almeno nel 1807: Marmottan, p. 263; v. inoltre bibliografia riassunta in Arisi, 1960, p. 292 per l'attribuzione al C. delle sculture del tabernacolo nella cappella del Rosario in S. Giovanni a Piacenza, 1805-1810) contribuirono tuttavia a tenerlo ai margini dell'attività ufficiale e il suo ruolo e la sua autorità non furono, in ultima analisi assicurati in alcuna parte.
Con la Restaurazione, il C. perse, nel 1814, l'incarico di professore all'ateneo. Nella crisi di commissioni che segue la fine del Regno Italico, l'artista decise di trasferirsi in Inghilterra, ed a quanto dichiara nei costituti era presente a Londra con la famiglia dal 1816 circa al luglio 1820. A Londra il C. era già stato nel gennaio 1801, ai tempi della Consulta di Lione (lettera del Tambroni in Da Como, 1934-40). Tra i due viaggi dovrebbero scaglionarsi, quindi, le opere di cui abbiamo notizie solo imprecise dalle compilazioni del Gunnis (1953) e del Braidotti (1911): i busti di Fox, del duca di Gloucester, del marchese di Buckingham, di Thomas Grenville, di lord Grenville, un ulteriore Napoleone per lo Junior United Service Club, e, soprattutto, l'altare e i marmi per la chiesa cattolica di S. Maria a Moorfields, nella City di Londra, commissionati nel 1818 circa (è l'edificio distrutto nel 1900: vedi Arch. stor. lombardo, XXVII [1900], p. 202).
La chiesa di Moorfields venne consacrata nell'aprile 1820; il 10 agosto il C. era a Parigi, dove l'Airoldi gli affidò una lettera per Federico Confalonieri (Carteggio del conte Confalonieri ed altri documenti spettanti alla sua biografia, a cura di G. Gallavresi, II, 1, Milano 1911, p. 312); tra agosto e ottobre si collocano il definitivo rientro in Italia e i quattro successivi passaggi in Piemonte che gli verranno imputati ai processi del '22, di cui uno per vedere gli amici Lorenzo e Francesco De Cardenas, impegnati a Valenza in una scuola di mutuo insegnamento parallela a quelle sostenute dal Confalonieri.
Stabilitosi a Milano nel 1820 in una casa di via S. Calogero acquistata in comproprietà col fratello Andrea, il C. tentò di riprender quota professionalmente. Riaprì contatti con i Melzi; modellò il busto del Monti che nel '26 Costanza Perticari proporrà alla municipalità di Ferrara (Epistolario di V. Monti, a cura di A. Bertoldi, IV, Firenze 1931, pp. 248 s., e, per la datazione, i costituti del C.; il busto si trova oggi nei depositi dell'Ambrosiana). Espose a Brera nel '22 un'erma del Volta che, da una lettera a Pietro Configliachi (Forlì, Biblioteca civica, Autografi Piancastelli), risulta impostata nel '21, pare in connessione con un progetto non realizzato di monumento in Como.
Sfruttando conoscenze ulteriormente sviluppate a Londra, lo scultore si inserì negli ambienti dell'aristocrazia liberale milanese: frequentava Confalonieri, casa Porro, S. Trecchi che nei costituti diceva di aver conosciuto in Inghilterra lavorando a un busto di "Lord Graje" (forse lo statista Charles Grey). Si giunse così, il 3 apr. 1822, all'arresto per alto tradimento in seguito a maldestre dichiarazioni del Confalonieri che lo compromettevano nei fatti del '21.
Confalonieri nelle sue Memorie (1889, p. 40) loda il comportamento "fermo e nobile" del C. la cui linea di condotta, prudentemente negativa, fu attenta ad evitare nuove vittime. Nei suoi costituti, 5 aprile, 2 agosto, 8 nov. 1822, 3 e 6 genn. 1823, il C. ammise di essere stato iscritto alla massoneria per breve tempo in Francia ai primi dell'Ottocento; dichiarò di non aver dato importanza alle voci di una cospirazione filopiemontese che correvano nel '21 in Milano e ridusse la portata dei suoi contatti col Confalonieri a questioni di interesse, occorrendogli nella sua professione di frequentare "i ricchi" il più possibile. Negò ogni addebito sulle accuse più specifiche che gli venivano mosse dal Salvotti, quelle cioè di aver ospitato nel suo studio le prime riunioni dei federati, e di aver fatto da tramite tra il colonnello Perrone di San Martino e il Confalonieri per messaggi segreti di Carlo Alberto.
Nonostante il Confalonieri ribadisca anche nelle Memorie l'estraneità del C. alle cospirazioni, resta l'impressione che il C. fosse implicato più di quanto non ammettesse e si fosse forse lasciato trascinare dal desiderio di coltivare, nel clima cittadino di generale scontento verso l'Austria, i suoi rapporti con quelli che erano allora i membri più energici e attivi della nobiltà lombarda. Così del resto concludeva a chiusura del processo la decisione del Supremo Tribunale di Giustizia, 9 ott. 1821, che nei confronti del C. è dubitativa e non assolutoria e sancisce la semplice sospensione del procedimento. Alla scarcerazione non fu forse estraneo il giudizio del Salvotti che annotava in calce ai costituti "il suo carattere non pare capace di grandi progetti politici", e che lo descriveva centralmente preoccupato, nei diciotto mesi di fermo, del difficile stato in cui era venuta a trovarsi la famiglia.
Secondo il Braidotti (1911) il C. aveva modellato in carcere il gruppo Achille e l'ucciso Patroclo e i busti del professor Tamburini di Pavia e di Federico Confalonieri, quest'ultimo donato a Teresa Casati attorno al febbraio 1824. Gli veniva poi accordato nel 1823 l'acquisto con contributo del governo per conto dell'Accademia di Brera delle copie in gesso dei marmi del Partenone e del tempio di Apollo in Figalia, causa non ultima del suoi rapporti col Confalonieri. Alla ricerca di un modo per farsi notare al suo rientro in Italia, il C. aveva infatti ordinato nel 1820 le copie per suo conto al British Museum, contando di rivenderle a Brera o di inserirle nei piani di cui Confalonieri gli aveva parlato per un bazar e un ateneo in Milano. Nonostante l'unanime parere favorevole del corpo accademico di Brera, le trattative col governo austriaco erano state particolarmente spinose.
All'uscita dal carcere il C. si trovava in difficoltà economiche aggravate dall'obbligo, cui era stato condannato, di sostenere il pagamento delle spese processuali. Il 28 marzo supplicò di potersi recare a Carrara ad eseguire in segno di rappacificazione il busto di Francesco I (documenti in Arch. di Stato di Milano, Autografi, s. v. Comolli) che fu donato nel 1825 a Vienna per conto della municipalità di Milano. Ne era prevista la collocazione negli appartamenti imperiali su piedistallo disposto da L. Cagnola (Arch. di Stato di Varallo Sesia, Carte Cagnola). Questo architetto affidò inoltre al C. l'esecuzione delle cariatidi per il campanile di Urgnano e di due serraglie per l'Arco della pace, rappresentanti l'Astronomia e il Regno Lombardo-Veneto.
I resoconti delle esposizioni annuali in Brera registrano parte della sua attività negli ultimi anni. Nel 1824 il C. espose cinque busti-ritratto; nel '25 il busto dell'Imperatore, nel '26 un Giacomo Rezia e vari altri ritratti mentre si annunciava un "lavoro erculeo" che è, probabilmente, il gruppo colossale La clemenza di Tito, per eseguire il quale il C. chiese nel '27 un ulteriore passaporto per Carrara (Arch. di Stato di Milano, Autografi, s. v. Comolli; il gruppo, che alla morte dell'artista era solo genericamente sbozzato, fu posto nel giardino di villa Galbiati a Grantola presso Varese). Nel '28 si hanno un busto del patriarca di Venezia Ladislao Pyrker e un ulteriore ritratto del Volta, eseguito per un primo monumento commemorativo nel cimitero di Camnago (vedi C. Poggi, Il salone dei cimeli, Como 1899, pp. 87-90, che ne segnala come repliche il busto ora alla Galleria d'arte moderna di Milano ed altri già a Como in proprietà di Zanino Volta e, per dono del Configliachi, nell'aula di fisica dell'università di Pavia). Seguono, nel '29, un bassorilievo funerario per la famiglia Majnoni, due ritratti di committenza Bono e Orelli, un'erma di Giuditta Pasta in vesti di Semiramide (ora a Milano, Museo teatrale alla Scala) e un busto di Carlo Marocco scolpiti per gli amici Marietti. Una Psiche, postuma, fu terminata da Francesco Stanga ed esposta, sempre a Brera, nel '36.
Tra le opere del periodo si segnalano inoltre nel '26 un ritratto del Metternich; nel'27 la commissione di un busto di Bolivar da parte del congresso federativo delle due Americhe a Panama; attorno al '28 le statue e il frontone del palazzo donato da Marcello Saporiti alla scuola di legge di Vigevano (Gazzetta piemontese, 1° febbr. 1831). Al '27-28 risalgono un ritratto di Isabella Teotochi Albrizzi e trattative per uno del Pindemonte che non fu eseguito (N. F. Cimmino, Ippolito Pindemonte e il suo tempo, I, Roma 1968, pp. 91, 94); nel 1829 si ha un busto di Francesco De Cardenas (gessopresso la Bibl. civica di Valenza). Sono attribuite al C. nella villa Melzi a Bellagio, la pala d'altare della cappella e vari busti (Giocondo Albertolli, Gianfrancesco Melzi, Maria Durazzo Melzi, quest'ultimo datato 1825); due statue di Bacco e Cerere al cancello di palazzo Cazzaniga a Stradella (G. Casalis, Diz. geogr. stor.. statist. commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, XX, Torino 1850, p. 461); stucchi nelle cappelle già dette del Carmine e dell'Ascensione nel duomo di Valenza; un busto di S. Pietro nella cattedrale di Alessandria; una statua in gesso rappresentante la Città di Valenza conservata oggi presso la locale Biblioteca civica. Gran parte della sua opera, tuttavia, è ancora da censire.
A partire dal '28 lo stato di salute del C. prese a farsi allarmante, pare a causa stessa del lavoro su marmi. Lo scultore morì a Milano il 26 dic. 1831, lasciando la vedova, Giuseppa Susanni, e cinque figli, Amalia, Maria, Clelia, Emilio e Giuseppe. Un fratello del C., Stefano (1769-1816) fu capitano nella Legione romana dell'anno VII e fece poi carriera nell'esercito francese; partecipò alla battaglia di Eylau ed alla ritirata di Russia; nel 1811 aveva ottenuto la nomina a cavaliere della Legion d'onore (A. Réverend, Armorial du premier Empire, I, Paris 1974, s. v.; Parigi, Arch. du Ministère de la Guerre, Armée de terre, Dossier individuel classement 1791-1847).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Processi politici, cart. 76 (raccoglie i costituti del C., solo parzialmente pubbl. dal Salata e dal Braidotti; il fondo è in corso di riordino); I costituti di F. Confalonieri, III, a cura di F. Salata, Firenze 1941, pp. 162-167; IV, a cura di A. Giussani, Roma 1956, ad Indicem. Punto di partenza fondamentale per le ricerche sul C. sono gli studi di P. Marmottan, Les arts en Toscane sous Napoléon. La princesse Elisa, Paris 1901, pp. 86-89, 97-99, 262 s.; F. Braidotti, G. B. C. scultore, Udine 1911; F. Gasparolo, C. G. B., scultore e i Comolli di Valenza, in Riv. di storia, arte, archeol. della prov. di Alessandria, XX (1911), pp. 211-214, 263-270; Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 348-356; G. Hubert, La scultrure dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, ad Indicem; Id., Lei sculpteurs italiens en France sous la Révolution, l'Empire et la Restauration 1790-1830. Paris 1964, pp. 17, 20, 32, 158, 262 ss.; F. Dalmasso, in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773-1861 (catal.), Torino 1980, p. 189; L. Levi Momigliano, ibid., p. 193; D. Pescarmona, ibid., pp. 205 ss. Per un approfondimento ulteriore si veda: Necrologia, in L'Eco, IV (1831), 3, pp. 10 s.; J. Britton-A. Pugin, Illustration of the public Buildings of London, I, London 1838, pp. 194-199; G. Campori, Memor. biograf. degli scult. ... nativi di Carrara..., Modena 1873, p. 305; G. A. Sala, Diario romano degli anni 1798-99, in Scritti... pubblicati sugli autografi da G. Cugnoni, II, Roma 1882, p. 33; III, ibid. 1886, pp. 260, 292-296; E. Maignien, La Bibliothèque de Grenoble et ses premiers bibliothécaires, Grenoble 1887, pp. 43-47; Id., Les artistes grenoblois, Grenoble 1887, s. v.; F. Confalonieri, Memorie e lettere, a cura di G. Casati, I, Milano 1889, pp. 32, 40, 61; J. Roman, Histoire et description du Musée Bibliothèque de Grenoble, Paris 1892, p. 192; G. Carotti, Capi d'arte appartenenti a S. E. la duchessa Josèphine Melzi d'Eril Barbò, Bergamo 1901, pp. 99, 107, 127, 129, 134, 144, 160; A. Aulard Paris sous le Consulat, II, Paris 1904, p. 598; III, ibid. 1906, pp. 388, 564 s.; G. Sforza, L'indennità ai giacobini piemontesi... 1800-1802, in Bibl. di storia ital. recente, II (1909), p. 213; A. Sandonà, Contributi alla storia dei processi del Ventuno…, Torino 1911, ad Indicem; G. Nicodemi, Lo scultore G. B. C., in Vita d'arte, VIII (1915), 87, pp. 68-72; F. Gasparolo, Mem. stor. valenzane, Casale Monferrato 1923, I, 1, pp. 240 ss.; 2, p. 435; U. Da Como, I Comizi naz. in Lione per la costituzione della Repubbl. ital., I-III, Bologna 1934-40, ad Ind.; L. C. Bollea, Lorenzo Pécheux..., Torino 1942 [ma 1936], pp. 176, 205, 239; R. Gunnis, Dict. of British Sculptors 1660-1851, London 1953, s. v.; F. Arisi, Il Museo civico di Piacenza, Piacenza 1960, pp. 291 s.; I carteggi di F. Melzi d'Eril..., a cura di C. Zaghi, VII, Milano 1964, pp. 131, 379, 495 s.; VIII, ibid. 1965, pp. 22, 55 s.; F. Boyer, Le monde des arts en Italie et la France de la Révolution et de l'Empire, Torino 1969, ad Indicem (vedi a p. 168 per un busto del card. Caselli); R. Carozzi, La scuola di Carrara tra Canova e Bartolini, in Scultura marmo lavoro (catal.), Milano 1981, pp. 330, 332 e passim; V. Monti e P. Zajotti, a cura di N. Vidacovich, Milano s. d., p. 239.