CENTURIONE, Giovanni Battista
Appartenente al ramo dei Becchignoni, nacque a Genova nel 1603 da Giorgio e da Ersilia de Marini. Nel 1621 venne iscritto al Libro d'oro della nobiltà; fu quindi eletto censore, con l'ufficio di sorvegliare che la buona fede cittadina non fosse ingannata dalle merci e dai generi alimentari posti in commercio. Nel 1631 fu nominato commissario della fortezza di Savona, ma ottenne di esserne dispensato per motivi familiari ed ebbe il compito di sovraintendere alla conservazione e alla fabbricazione del materiale di artiglieria. Nel 1636 venne incaricato di ricevere l'ammiraglio Melchiorre Borgia, proveniente da Napoli.
In seguito, il Banco di S. Giorgio lo chiamò a partecipare all'amministrazione della Casa con la carica di protettore e poi di provveditore. Nel 1645, adducendo gli impegni di quest'ultimo ufficio, chiese di essere sollevato dall'incarico di inviato presso la S. Sede; lo stesso anno, venne eletto inquisitore di Stato e capitano del Bisagno. Per due anni fece parte del magistrato di Guerra e degli Inquisitori di Stato (1649), poi del dicastero della Guerra. Nel 1656, diffusasi anche a Genova la terribile epidemia di peste che, secondo il Casoni, fu la più violenta mai propagatasi in città, al C. come commissario generale di Sanità venne assegnato il capitaneato del Bisagno, con centro a Sturla, dove fu fondato e affidato a lui il lazzaretto di S. Chiara, il primo ad essere aperto e uno degli ultimi ad essere chiusi; qui vennero ospitati gli appestati del Bisagno, dove il morbo causò 12.000 vittime.
Il 15 ott. 1658 il C. fu eletto doge. La votazione avvenne col nuovo sistema decretato dal Senato, per cui alla elezione doveva concorrere tutta la nobiltà e non solo il Consiglio dei quattrocento: il C. ottenne 335 voti su 1.237, e il 21 giugno 1659 veniva solennemente incoronato.
Accanto alle incombenze di "rappresentanza" che la carica imponeva (egli partecipò, tra l'altro, al banchetto per le nozze di Vittoria Della Rovere con Ambrogio Doria nel luglio e nel dicembre di quell'anno alla festa per la pace tra le corone di Francia e di Spagna), il C. caratterizzò il suo dogato per la intransigente difesa, contro le pretese del S. Uffizio di Genova, dei numerosi ebrei che, con decreto del Banco di S. Giorgio, erano stati ammessi per ragioni di commercio a vivere e a trafficare liberamente in città e che vi erano accorsi numerosi soprattutto dalla Spagna. Gli attriti tra la Repubblica e il S. Uffizio erano iniziati nel 1658, con la pubblicazione da parte del governo dei Capitoli della Natione Hebrea, revocati sotto la pressione intransigente dell'inquisitore a Genova, padre Cermelli, appoggiato da papa Alessandro VII. Nel marzo 1659 si giunse alla pubblicazione di nuovi capitoli, che consentirono la immigrazione di numerosi gruppi di ebrei, ma, nel maggio 1660, attraccata nel porto di Genova una nave proveniente dalla Spagna, che aveva come passeggeri due famiglie israelitiche, l'inquisitore ne ordinò l'arresto con procedura d'urgenza, accusando tali ebrei di essere cristiani battezzati che intendevano ora ritornare all'antica religione; ma il doge in persona intervenne immediatamente e convocò lo zelante inquisitore, invitandolo a recedere dalla sua iniziativa. Fu, tuttavia, necessario investire della questione il papa che, con propria decisione, ordinò che i prigionieri fossero scarcerati. Solo dopo una lunga contesa e dopo altri arresti si riuscì a garantire agli ebrei sufficiente libertà di traffico a Genova. Sotto il dogato del C. fu, inoltre, necessario provvedere all'ampliamento dell'Albergo dei poveri, dal momento che a Genova ne erano affluiti circa 30.000 a seguito della pestilenza degli anni precedenti.
Il C. uscì di carica il 15 ott. 1660 e, come procuratore perpetuo senatoriale, fu ascritto alla Giunta di giurisdizione, dove rimase per una decina d'anni, diventandone preside nel 1668. Nel 1661-62 come membro della Giunta dovette occuparsi di delicate questioni giurisdizionali sorte con l'arcivescovo Stefano Durazzo. Fu anche preside del magistrato di Guerra (1661), delegato contro i malviventi in città (1662), di nuovo preside del dicastero di Guerra (1663), priore della cappella di S. Giovanni Battista in S. Lorenzo (1666), addetto alla Giunta dei confini, revisore dei biglietti dei Calici (1667), ascritto alla Giunta di marina (1668) e preside del magistrato di Corsica (1669). Scoperta la congiura di Raffaele Della Torre, alleatosi con Carlo Emanuele II con l'intento di occupare Savona e avanzare su Genova, la Repubblica nominò il C., insieme con Giovan Luca Durazzo, commissario generale delle armi nella Riviera di Ponente, invasa dalle truppe piemontesi (1671).
Il duca di Savoia fece occupare la Pieve, dominio della Repubblica di Genova, sotto il pretesto di voler difendere gli uomini di Cenova, feudo del marchese del Marro, vassallo del duca, che sarebbero stati oggetto di soprusi da parte degli uomini di Rezzo, feudo del marchese Clavesana, vassallo della Repubblica. I commissari generali, residenti in Savona, in un manifesto indirizzato al conte Catalano Alfieri, maresciallo generale in campo della fanteria piemontese, misero in evidenza la poca forza delle ragioni che avevano spinto all'intervento armato piemontese e, con tono conciliante, dichiaravano la Repubblica pronta e trattare circa tali conflitti tra vassalli; ma alla risposta dell'Alfieri, che ribadiva le giustificazioni addotte all'intervento, si preferì non replicare e affrettare i preparativi militari. Insieme con il Durazzo, il C. guidò abilmente la campagna militare che portò alla vittoria di Castelvecchio (5 ag. 1672), salutata con manifestazioni di giubilo dalla cittadinanza di Savona, dove il C. si trovava, e che volle festeggiare con calore il commissario vittorioso. Egli pose quindi l'assedio ad Oneglia, occupata dai Piemontesi, che in breve tempo si arrese: ricevuta la capitolazione della piazza dal comandante, conte Tana, il C. vi entrava il 16, provvedendo ad inviare a Genova un ingente numero di prigionieri.
Negli anni seguenti, il C. partecipò più volte alla Giunta dei confini (1672, 1671, 1676, e 1677-1680) e fu addetto all'officio di Moneta (1676, 1680 e 1681) di cui fu preside nel 1681. In precedenza aveva fatto parte della Giunta di marina (1672) e aveva partecipato alla riforma del Cerimoniale (1674). Il 13 sett. 1673, unitamente a Bernardo Baliano, trattò affari diplomatici con Giovanni Finch, ambasciatore inglese alla Porta. Dal 1689 al 1692 fu ancora revisore dei biglietti dei Calici.
Morì a Genova il 22 nov. 1692, dopo aver chiesto di essere sepolto nella chiesa dei frati conventuali a Sestri Ponente, località nella quale possedeva una villa e vasti possedimenti.
Sposò Livia Cattaneo e, dopo la morte di questa, Geronima Di Negro; ebbe vari figli: Ersilia, che sposò Cristoforo Spinola, Selvaggina, che sposò Carlo Pallavicini, Lorenzo, doge nel 1715, Teresa, andata sposa a Ippolito Centurione, Giorgio e una figlia che fu monaca in S. Sebastiano.
Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Genova, Arch. segreto, Manuali del Senato, voll. 879-946; Antero Maria di San Bonaventura, Li lazaretti della città e riviere di Genova…, Genova 1658, pp. 252, 254, 524; F. M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova…,I, Lipsia [ma Lucca] 1750, p. 223; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1799-1800, IV, p. 149; VI, pp. 81, 83, 143-151; Id., Successi del contagio della Liguria...,a cura di P. A. Sbertoli, Genova 1831, p. 76; A. M. Centurione, Vita di Virginia Centurione Bracelli, Genova 1873, pp. 13, 230 s.; G. V. Verzellino, Delle memorie partic. e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, II, Savona 1891, pp. 471, 479, 486, 488 s.; L. Volpicella, I libri dei Cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. liguredi storia patria, XLIX (1919), pp. 272-75, 279, 284, 295; L. M. Levati, I dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699, II, Genova 1930, pp. 174-80; C. Brizzolari, Gli ebrei nella storia di Genova, Genova 1972, pp. 159 s.