CELLA, Giovanni Battista
Nacque, figlio di Giorgio e di Anna Fucci, da famiglia d'origine carnica, a Udine il 5 sett. 1837. Qui seguì regolarmente gli studi secondari, per iscriversi poi all'università di Padova alla facoltà di legge.
Nel 1859 il C. s'arruolò nei Cacciatori delle Alpi e vi restò fino allo scioglimento del corpo avvenuto a Milano. L'anno dopo fu dei Mille di Garibaldi, segnalandosi fin dallo sbarco a Marsala e poi nell'entrata a Palermo; dopo la battaglia del Volturno, cui prese parte, ottenne il grado di sottotenente. Educato agli ideali mazziniani e alla più generosa solidarietà, provvide col suo denaro alle necessità dei commilitoni feriti, all'ospedale di Napoli.
Membro attivo del Partito d'azione, partecipò nell'estate del '62 all'impresa garibaldina finita all'Aspromonte, compagno di altri friulani come S. Andreuzzi, M. Ciotti, F. Tolazzi. Per circa un anno soggiornò quindi a Torino, come emigrato politico, per fare ritorno a Udine all'inizio del '64, fingendo agli occhi delle autorità austriache d'essere pentito del suo passato. Invece, avendo a consenzienti il dott. A. Andreuzzi, G. Pontotti, F. Rizzani, E. Zuzzi e V. Perosa, il C. preparava un movimento armato che avrebbe dovuto provocare l'intervento italiano contro l'Austria. Ma la popolazione era indifferente, il Comitato politico centrale veneto diretto da A. Cavalletto contrario, lo stesso Comitato centrale unitario presieduto da B. Cairoli esitante, mentre i mezzi raccolti erano scarsi. Il Tolazzi, con una quarantina di compagni volle ugualmente tentare l'impresa e, muovendo da Navarons, compì incursioni contro la gendarmeria a Spilimbergo e a Maniago; poi, inseguito, dovette darsi alla montagna, dirigendosi verso Forni di Sopra e il monte Castello (15 ottobre-2 novembre). In questi frangenti, sussistevano assai scarse speranze di riuscita ed il C. corse a Milano, dove s'incontrò con G. Guerzoni ed E. Bezzi: ebbe dal primo aiuti in denaro, dal secondo la promessa del suo passaggio dalla Lombardia in Trentino per suscitarvi una sollevazione. Il 2 novembre il C. portò ottantadue napoleoni d'oro a L. Michelini e agli insorti a Valvasone, poi formò egli stesso una banda di ventisette uomini, con i quali il 6 novembre mosse da Maiano. La banda del C. compì una marcia dimostrativa alzando il tricolore ad Osoppo, Venzone, Moggio; qui requisì dei carri per portarsi verso il canale dell'Aupa, fino a Dordola.
La banda, ingrossata a trentacinque uomini con Asquini e Beltrame per ufficiali, non poté però mettersi in contatto con quella del Tolazzi, né avere aiuti dalla Lombardia, dove il Bezzi era stato fermato. Perciò, inseguita dai gendarmi, raggiunse Dierico, la valle del Chiarso fino a Lovea, per risalire sulle creste di Palasecca e sciogliersi poi a Illeggio presso Tolmezzo (13 novembre), quando la banda Tolazzi già s'era dispersa da alcuni giorni sul Dodismala (8 novembre). I più compromessi degli insorti riuscirono a rifugiarsi nel regno, anzi l'Andreuzzi e il Tolazzi visitarono Garibaldi a Caprera; il C. invece si fermò a Bologna (dicembre 1864), e poi si trasferì a Milano.
Trascorso il '65, fin dall'inizio del '66 si parlò fra gli emigrati della possibilità d'una insurrezione popolare che affiancasse le operazioni dell'esercito nell'imminenza del conflitto. Il Comitato unitario proponeva per capo il Tolazzi, mentre i moderati, che avevano la possibilità d'ottenere finanziamenti dal ministero, proponevano il C., ritenuto più prudente e leale. Due gruppi di combattenti avrebbero dovuto formarsi, in Friuli e in Cadore, per complessivi quattrocento uomini, ma occorrevano denaro e armi che il ministero prometteva in misura sempre troppo scarsa nel maggio. Perciò il C. si arruolò volontario col Tolazzi nel III battaglione dei bersaglieri lombardi. Ancora il Cavalletto e il Coiz, dirigenti dell'emigrazione moderata, confidavano nel ministero, quando il 23 giugno ebbero inizio le ostilità. Il C. ebbe il 24 l'ordine di Garibaldi di attaccare gli Austriaci al Caffaro di Stero e qui nei combattimenti del 25 seguente fu ferito da un capitano boemo. Così, quando il Coiz disponeva delle 30.000 lire richieste per i volontari friulani, egli si trovava ferito a Brescia. Non volendosi affidare l'impresa ad altri, C. Tivaroni e C. Vittorelli rimasero in Cadore, mentre sopraggiungeva la fine delle ostilità.
Rientrato ad Udine, il C. godette della fiducia del commissario Q. Sella e fu l'ascoltato e autorevole capo del partito democratico. Nominato cavaliere, respinse la croce, quando pochi mesi dopo la stessa onorificenza venne conferita al vescovo. Il 1ºmarzo 1867 egli accolse Garibaldi e B. Cairoli ad Udine come presidente della commissione per le accoglienze. Nei mesi seguenti egli si adoprò col Cucchi, il Guerzoni, l'Adamoli e il Bossi per preparare un moto insurrezionale a Roma, e a tal fine introdurvi armi.
Il 22 ott. 1867 poté entrare in Roma con un gruppo d'uomini armati, ma non vi trovò appoggio per un moto e si diede alla campagna. Nominato maggiore da Garibaldi, prese parte col Bezzi all'attacco compiuto dalla seconda colonna del ten. col. G. Frigyesy nella notte del 24 su Monterotondo; ancora come comandante del VI battaglione, resisté impavido contro i Francesi e portò ripetuti attacchi a villa Santucci nella giornata di Mentana (3 novembre), costretto a ritirarsi solo davanti alle soverchianti forze nemiche. Si rifugiò quindi a Firenze.
Rientrò ad Udine, dove fu consigliere comunale, membro della giunta e comandante di battaglione della guardia nazionale. Sfiduciato per la situazione politica e per la soluzione della questione romana, invano venne portato candidato alle elezioni del novembre 1874 dal partito democratico; nonostante le raccomandazioni di Garibaldi e di Cairoli, egli soccombette davanti al candidato governativo. Anche i suoi affari andavano male, una sua fabbrica di metri a Udine fallì ed il suo patrimonio ne fu ulteriormente assottigliato; perdette la giovane moglie. Eppure, secondo il console austriaco a Venezia, c'era da temere - durante l'occupazione della Bosnia - che il C. e i suoi fedeli avessero pronti dei volontari per fare incursione nel Goriziano (luglio 1878). Accettò nel '79 di rappresentare ad Udine il Comitato triestino-istriano, e fu poi con Bertani, Cavallotti, Fortis, Garibaldi, Imbriani, Mario, Tivaroni ed altri fra i fondatori della Lega della democrazia. Ma il 16 nov. 1879, a Udine, cedendo ad una crisi di depressione, si tolse la vita.
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