CAVI, Giovanni Battista
Organista e compositore romano della seconda metà del sec. XVIII, ben poco conosciamo della sua vita. Nato a Roma attorno al 1750 (forse nel 1747), si dedicò abbasta= presto alla musica, tanto che nel settembre del 1772 figura già aggregato come compositore alla Congregazione dei musicisti di S. Cecilia. Per parecchi anni rimase iscritto all'Accademia e la reputazione che vi si fece non dovette certo essere trascurabile se il suo nome appare ricordato accanto a quelli, ben più celebri nella storia della musica, di Carissimi, Cherubini, Clementi, Corelli e Frescobaldi. Nel Catalogo dei maestri compositori dell'Accademia egli è del resto esplicitamente considerato tra "que' tali che più salirono in fama per talento musicale, o che si resero maggiormente benemeriti della Congregazione e Accademia di S. Cecilia". All'indomani della riapertura della Congregazione dopo il quinquennio (1797-1802) di forzata sospensione di ogni attività, lo ritroviamo nelle vesti di "esaminatore", una delle tante cariche che l'Accademia si trascinava da due secoli, con nomina conferitagli nel rimpasto del 24 ag. 1803.
La vita del C. si svolse dunque perennemente su un doppio binario: quello, diremmo così, ufficiale e onorifico di appartenente all'Accademia ceciliana e l'altro economicamente più redditizio, di organista nonché maestro di cappella di varie chiese della capitale il cui elenco, secondo quanto informa il necrologio del musicista (apparso sulle Notizie del giorno di Roma il 20 sett. 1821) sarebbe "lunga cosa riferire". È certo che il C. ha svolto queste mansioni in S. Giacomo degli Spagnoli e in S. Ignazio; a quest'ultima chiesa anzi si può forse supporre che sia stato particolarmente legato se la moglie ritenne, alla sua scomparsa, di venderne le carte ai padri gesuiti. Notizie più dettagliate si conoscono sull'ufficio che svolse in S. Maria in Aracoeli: già il 28 sett. 1776 aveva ottenuto la promessa del posto di organista quale successore di F. Mucci, ma l'incarico gli venne ufficialmente conferito soltanto il 31 dic. 1779. Circa dieci anni dopo, il 28 sett. 1789, terminato il periodo di coadiutoria, entrò finalmente in carica'con lo stipendio annuo di settantuno scudi e venticinque baiocchi. Con l'avvento della Repubblica romana perse il posto che non poté poi riottenere perché soppresso: nel 1798, infatti, nel vortice delle "follie" repubblicane, l'organo dell'Aracoeli, dopo due secoli di esistenza, veniva asportato e solo nel 1836 - quattordici anni dopo la morte del C. -, in seguito all'acquisto di un piccolo organo, il Senato romano poté ripristinare l'ufficio. Tuttavia a partire dal 1° marzo 1805 il C. poté godere di quella che oggi si direbbe una pensione, dapprima ammontante a due scudi mensili, poi, dall'ottobre successivo, equiparata al trattamento dei "musici di Campidoglio", ovvero a tre scudi.
Pur venendo forzatamente privato del suo incarico di esecutore il C. non lasciò comunque la chiesa dell'Aracoeli, dove, succedendo a G. B. Casali, continuò a svolgere mansioni di maestro di cappella, attività alla quale forse dovette una maggiore notorietà se alla sua morte il necrologio lo ricorderà essenzialmente, e in termini oltremodo lusinghieri, proprio in questa veste. Anche a proposito di questa attività le notizie in nostro possesso sono tuttavia troppo scarse e farraginose: sappiamo; per es., che toccò a lui presiedere all'esecuzione corale in occasione della solenne funzione fatta celebrare dal Senato romano il 17 maggio 1805 in onore di papa Pio VII, rientrato a Roma il giorno precedente da Parigi. Davanti a un numeroso pubblico, tra il quale figuravano insigni personalità come l'elettore di Baviera, l'arciduchessa Marianna d'Este, nonché lo stesso re di Sardegna, il C. diresse una messa di Cimarosa ed un Te Deum non meglio identificato.
L'attività del C. non si esaurisce tuttavia nella pratica organistica e corale all'interno delle chiese, ma si allarga alle mondane riunioni nei salotti più rinomati della capitale. Il musicista fu infatti al servizio di molte famiglie patrizie romane, nonché della élite straniera residente in Roma. Ci è nota la straordinaria ammirazione che nutrì per lui uno dei personaggi più in vista della nobiltà del tempo: Abondio Rezzonico, nipote di papa Clemente XIII, eletto nel 1766 (o 1760) senatore romano dall'Accademia degli Arcadi.
Certa è altresì la data di morte del compositore, che scomparve nella notte del 27 ag. 1821. Alle esequie, secondo quanto si legge nel necrologio, presero parte "presso che cinquanta primari professori di musica in attestato di gratitudine e di ossequio verso un sì benemerito e sì eccellente soggetto". Le sue spoglie furono tumulate nella chiesa di S. Maria in Via.
Se a tutt'oggi la fortuna critica del C. é ben poca cosa, non si può dire che all'epoca il suo nome andasse molto al di là della ristretta cerchia dei blasonati allievi e di quegli accademici che ebbero modo di conoscerlo da vicino. Tuttavia alcune descrizioni che possiamo desumere da documenti del tempo sono senza dubbio lusinghiere. L'Alfieri non solo lo dipinge "pio, umile e cortese", ma gli attribuisce anche "un bello stile di chiesa, facile e di bell'effetto". Ancor più dettagliato è il ritratto che ritroviamo nel suo necrologio in cui si legge di lui come di un "uomo sempre geloso del suo onore, caritatevole, prudente ed irreprensibile nella sua moral condotta, per cui fu a tutti quei che lo conobbero piacevole ed accetto". Il giudizio positivo si allarga poi al suo specifico ruolo di musicista che "seppe eccellentemente accoppiare insieme l'agilità nel suonare coll'arte di comporre e di comunicare la musica". La sua produzione, pur spaziando prevalentemente nel campo della musica sacra, interessa tuttavia anche il teatro per il quale il C. non disdegnò di scrivere alcune opere di genere buffo.
Il suo primo lavoro teatrale, Il geloso stravagante, su testo di A. Gatta, fu rappresentato il 3 genn. 1769 in apertura della stagione di carnevale del teatro romano di Tordinona. L'intermezzo a quattro voci, che, diviso, come d'uso, in due parti, fu inserito tra gli atti della tragicommedia Lo Scanderbech, porta la dedica di A. Perotti a Prudenza Tartaglia Ruggia e fu composto espressamente per il famoso teatro. La presenza del C. in, questo teatro dunque non dovette essere casuale né limitata a quest'unica opera di cui abbiamo notizia certa; anche se con una attendibilità meno documentata il suo nome torna a legarsi con quello del Tordinona nel 1781. Pare fosse sua, infatti, la musica di un intermezzo che andò in scena unitamente alla commedia La scoperta delle Indie, ossia il Colombo la sera del 29 gennaio, data capitale per la storia del teatro romano che proprio quella notte fu interamente distrutto da un incendio.
Sempre a Roma, ma al teatro Capranica, fu rappresentato nel gennaio 1773 il suo secondo lavoro teatrale: la farsetta in due atti e a quattro voci La contadina fortunata, che servì probabilmente da riferimento all'omonima opera di un altro compositore romano, P. C. Guglielmi. Nuovamente al Capranica il C. torna tre anni più tardi con un'altra farsetta in due atti a cinque voci: La locandiera astuta su libretto di G. Donadini (genn. 1776). Una sola volta fu presentato in teatro, e precisamente al S. Samuele di Venezia nel carnevale del 1777, il dramma giocoso in due atti su testo di A. Piazza La prepotenza delusa.
Più cospicua la sua produzione sacra, prevalentemente per coro e orchestra (nella quale figurano però anche composizioni organistiche), di cui a tutt'oggi si conoscono: Messa a quattro concertata, Ave maris stella a quattro concertata, mottetto Caro mea a tre voci con accompagnamento d'organo, De torrente a due bassi, Dixit Dominus a quattro voci concertato, Domine Deus a tre, Domine spes mea, graduale a cinque concertato, Gratias a quattro voci, Mottetto per l'Elevazione a due, Qui sedes e Quoniam per tenore solo (tutte queste opere fanno parte del fondo musicale dell'Oratorio dei filippini). E inoltre: Beatus vir a quattro voci, Laudate Dominum omnes gentes a quattro voci, Laudate pueri a quattro voci, Credo a otto voci (tutte con accompagnamento d'organo e composteappositamente per S. Ignazio), Canoni a due voci concertati con basso continuo, o salutaris a tre voci concertato con basso continuo, o salutaris per una voce e strumenti, Haec dies a quattro voci, Litania a quattro voci concertata con organo, Sancta Maria a quattro voci. Compose inoltre: 5 sonate per cembalo e una sinfonia per due Violini, oboe, corno, viola e basso (citate dall'Eitner).
Fonti e Bibl.: Necrologio, in Notizie del giorno, n. 38, 20 sett. 1821; Catal. della musica esistente presso Fortunato Santini in Roma nel palazzo dei principi Odescalchi incontro la chiesa dei SS. Apostoli, Roma 1820; P. Alfieri, Brevi notizie stor. sulla Congregazione ed Accademia de' maestri e professori di musica di Roma sotto l'invocaz. di Santa Cecilia, Roma 1845, p. 61; Catalogo dei maestri compositori, dei professori di musica e dei soci di onore della Congregaz. ed Accad. di S. Cecilia, Roma 1845, p. 111; F. Clement-P. Larousse, Dictionn. lyrique ou Histoire de l'opéra, Paris 1867-69, p. 654; J. Towers, Dictionary-catalogue of operas and operettas, Morgentown 1910, pp. 513, 1004; A. Cametti, Organi, organisti e organari del Senato e del Popolo romano in S. Maria in Aracoeli (1583-1848), Torino 1919, pp. 38 s.; A. Cametti, Il teatro di Tordinona poi di Apollo, Tivoli 1938, I, p. 140, 146 s.; II, p. 392; U. Manferrari, Diz. univers. delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1954, p. 220; A. Bertini, Invent. del fondo musicale dell'Oratorio, Roma 1969, II, pp. 15 s.; R. Giazotto, Quattro secoli di storia dell'accademia nazion. di S. Cecilia, II, Roma 1970, pp. 62 s.; F. J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, I, p.230; R. Eitner, Quellen Lexikon der Musiker, pp. 381 s.; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 177 e Suppl., p. 316.