CASTELLANI, Giovanni Battista
Nacque a Cividale del Friuli il 12 febbr. 1820 dai nobili Giuseppe, medico, e Clara Claricini. Iscritto al seminario patriarcale di Venezia, seguì (1833-35) i corsi di grammatica per poi passare al seminario di Udine ove per due anni studiò filosofia. Aveva già vestito l'abito e ricevuto i quattro ordini minori quando una causa ignota, forse una crisi di coscienza, lo spinse nel giugno del 1840 a cambiar vita e a frequentare a Padova i corsi di legge. Nel 1841 compiva un viaggio in Lombardia e Piemonte riportando dall'incontro con uomini come il Manzoni o l'Azeglio una viva impressione; mentre documento di un giovanile interesse per la poesia sono i suoi primi versi apparsi nell'antologia Scintille (Venezia 1841) curata da N. Tommaseo, con cui iniziava una fervida amicizia, destinata a essere spazzata via dal fallimento dell'insurrezione veneziana nel 1849. Nel frattempo il C. compiva gli studi in legge, intraprendendo poi l'esercizio dell'avvocatura.
A portarlo d'improvviso in primo piano sulla scena politica del Veneto fu il 1848. Al momento dello scoppio insurrezionale antiaustriaco il C., che il 12 genn. 1845aveva sposato una figlia di Iacopo Castelli, futuro membro del governo provvisorio veneto, risiedeva a Udine e aveva appena superato il dolore causatogli dalla morte della giovane moglie, scomparsa il 30 marzo 1847, un anno e quattro mesi dopo aver dato alla luce il primo figlio. Quando la città si liberò del presidio austriaco (23 marzo 1848), il C. fondò con Clemente Fusinato il Giornale politico del Friuli, un periodico sul quale egli patrocinpò con calore l'unione della regione con Venezia. La posizione non piacque ai sostenitori dell'autonomia del Friuli, i quali, profittando di un suo viaggio a Venezia, organizzarono manifestazioni di protesta contro il giornale e minacciarono di morte il C., il quale pensò bene di non ritornare a Udine e accettò di compiere un viaggio nell'Italia centrale al fine di ottenere aiuti 'militari per la città di Venezia. Era l'inizio di quella missione che gli avrebbe conferito il titolo di inviato della Repubblica veneta prima presso il pontefice Pio IX, quindi presso la Repubblica romana.
Il C. giunse a Roma il 29 apr. 1848. Repubblicano, ma non mazziniano, cattolico sincero, inizialmente vide nell'allocuzione del 29 aprile più una precisazione di carattere religioso che una svolta politica. Perciò attese il 3 maggio per comunicare al suo governo: "temo... che Pio IX sia perduto per l'Italia e per la libertà", ma conservò un atteggiamento di grande deferenza verso il pontefice, sottolineando le obbiettive difficoltà della sua situazione politica. Contemporaneamente, di fronte. all'ingigantirsi della prospettiva di una fusione di Venezia col Regno di Sardegna, denunciò l'inopportunità di un simile atto politico che avrebbe premiato Carlo Alberto proprio nelle sue ambizioni dì monarca. Come alternativa, il C. propose la partecipazione ad una lega di tipo giobertiano in cui ogni Stato vedesse la propria autonomia garantita dalle mire espansionistiche del più forte. Ma a Venezia intanto la situazione precipitava. Il 23 giugno 1848 il C. indicava in una richiesta d'intervento alla Francia il modo per sottrarsi al ricatto sardo; poi, per esercitare maggiori pressioni, sul finire del mese si recò a Venezia: ma nell'Assemblea che il 4 luglio si pronunciò per la fusione, il disperato antipiemontesismo del C. trovò un'eco solo nell'appassionato intervento del Tommaseo.
Il 24 luglio il C. comunicò le sue dimissioni e, libero da obblighi ufficiali, intraprese un'azione personale tendente a controbattere con un'impostazione più accentuatamente democratica l'accettazione del concetto di guerra regia da parte dei governanti veneti. Questa evoluzione si tradusse in un'adesione al principio della Costituente propugnato dai repubblicani e lo spinse a cercare contatti con il Mazzini. Poi il 3 agosto fondava, insieme con G. La Cecilia, il Comitato nazionale di liberazione, il cui scopo dichiarato era la propaganda in favore della convocazione di un'Assemblea costituente italiana, che elaborasse una nuova configurazione politica della penisola realmente rispettosa della volontà popolare. Su questa linea egli continuò a puntare anche dopo che il 9 agosto, in conseguenza della firma dell'armistizio Salasco, Venezia si distaccò dal Piemonte e Manin lo riconfermò nella carica di inviato a Roma.
Nei dispacci che spedì a Venezia in questa seconda fase dála sua missione il C., coerente con le sue scelte più recenti, pose l'accento soprattutto sulla necessità della convocazione della Costituente. Per lui il problema di Venezia poteva essere risolto solo se inserito in un quadro più ampio che coinvolgesse tutta quella parte d'Italia che non guardava al Regno sardo come alla sola ancora di salvezza, e ciò spiega i reiterati inviti rivolti a Guerrazzi e a Mazzini perché si recassero a Venezia e con la loro autorità morale vincessero le esitazioni del Manin la cui solidità cominciava a subire, agli occhi del C., più di un'incrinatura (si vedano le lettere ad A. Torricelli del 7 novembre e dell'11 novembre in cui confida al suocero: "Io servo oggidì il paese, non chi lo governa"). Ma il tentativo di sganciamento da Manin era appena abbozzato quando, a mutare di colpo la situazione politica, giunsero, il 15 novembre, l'assassinio di P. Rossi e, il 24 novembre, la fuga dei papa da Roma.
Questi due eventi, il primo dei quali per la sua brutalità lo scosse profondamente, costrinsero il C. a dar fondo a tutte le proprie risorse di diplomatico per continuare a destreggiarsi tra le opposte fazioni avendo sempre di mira gli interessi di Venezia. Era l'inizio della terza fase della missione romana del Castellani.
Già il 22 novembre questi, interrogato da alcuni esponenti politici romani sull'opportunità della creazione di una repubblica, formulava un parere negativo motivandolo con. il timore dello sconvolgimento che essa avrebbe prodotto sia nei rapporti tra gli Stati italiani sia nella posizione delle grandi potenze verso lo Stato romano. In tale prospettiva egli respingeva ogni soluzione di tipo locale, mentre faceva pressioni perché in Roma si concentrasse una rappresentanza nazionale, obiettivo che cercava di conseguire lavorando d'intesa con F. De Boni e manovrando i circoli popolari. Da questo momento il C. divenne il più lucido, ma anche il più spietato degli osservatori della nuova realtà romana: comprensivo verso la classe politica veneziana, a quella romana non perdona nessuna incertezza. Convinto che la nascente Repubblica potesse aumentare le difficoltà di Venezia, il C. sì formò circa il ruolo del Piemonte un'opinione più positiva che in passato tanto che si attenuò in lui ogni entusiasmo per la Costituente (dispaccio del 29 genn. 1849 al Manin).
Con il passare dei giorni il giudizio del C. si fa sempre più severo per i nuovi governanti romani: per lui l'Assemblea perde tempo, non prepara lo Stato a resistere militarmente, assiste al tracollo finanziario senza batter ciglio, stanzia 100.000 scudi per la difesa di Venezia e subito se ne dimentica perché non sa approntare le misure finanziarie per reperire i fondi. Né l'arrivo di Mazzini, che pure il C. stimava., gli fece mutare parere; anzi uno scambio di idee con questo lo indusse a concludere che "la guerra del Piemonte è miglior cosa dell'inerzia vigliacca di Toscana e Roma" (disp. del 17 marzo), mentre di pochi giorni successivo è il timore che il triumviro "non abbia portato al potere che le idee, senza che, in generale, il suo nome spaventa, e non affida" (disp. del 31 marzo). Il Mazzini che appare nei dispacci del C. e un uomo di governo sempre dubbioso, incapace di dominare la situazione perché incapace di scegliere tra il compiere la rivoluzione fino in fondo o il venire a patti col papa, calato in un ambiente che non sente i suoi ideali e che perciò gli è estraneo: un ritratto di maniera, che rivela le sue insufficienze soprattutto dopo che l'arrivo dei Francesi, che fino all'ultimo il C. ha considerato come i protettori della democrazia europea, fa risaltare la compattezza morale di un popolo e di una classe dirigente in misura maggiore di quanto potessero far prevedere le pessimistiche comunicazioni dell'inviato veneto.
Caduta Roma, il C. vi si trattenne per altri due mesi, incerto sul da farsi; poi, appresa la notizia della resa di Venezia, ai primi di settembre riuscì, forse per mezzo di un compromesso con gli Austriaci, a trasferirsi a Casalta, un piccolo comune della Toscana dove con l'aiuto del Vieusseux aveva previdentemente acquistato un fondo. Nei mesi seguenti non gli mancarono le occasioni per rimeditare il recente passato e talvolta per rinnegarlo. Quando L. C. Farini pubblicò i suoi volumi sullo Stato romano, G. Gabussi, che stava redigendo le Memorie, volle sapere dal C. se si riconosceva nel ritratto di uomo moderato e fedele al papa che di lui aveva dato lo storico romagnolo; ed egli rispose con due lunghe memorie, stese tra il 1851 e il 1852, nelle quali con piglio da realista faceva sua la tesi moderata per la quale la riscossa italiana era mancata perché non si era voluta anteporre la conquista dell'indipendenza a quella dell'unità e perché Carlo Alberto non aveva ricevuto l'appoggio incondizionato di tutte le forze in campo.
Negli anni successivi il C. si occupò solamente della conduzione delle sue proprietà in Toscana, interessandosi in modo particolare alla coltura del baco da seta, e viaggiò anche in Oriente per commerciare in prodotti agricoli. Nell'ottobre 1865 si presentò come candidato alle elezioni per la IX legislatura per il collegio di Montalcino e, malgrado una ingenerosa campagna di stampa, che gli rinfacciò contatti troppo stretti con i clericali e presunte antiche collusioni con gli Austriaci, riuscì eletto. In Parlamento sedette a sinistra e il 26 febbr. 1866 prese la parola per criticare la sperequazione tra il carico fiscale imposto alla rendita fondiaria e quello gravante sui capitali; lo stesso tema affrontò quando, riconfermato nel marzo 1867 per la X legislatura, il 19, 20 e 21 marzo 1868 attaccò il programma finanziario della Destra nei suoi capisaldi, la tassa sul macinato e quella sull'entrata. Se a questo discorso seguirono le concitate repliche di Cambray-Digny e di Sella, clamori anche più violenti suscitò l'ultimo intervento parlamentare del C., che ebbe luogo l'11 giugno 1870 per patrocinare un progetto di legge mirante ad ottenere allo Stato crediti finanziari ad un costo più basso rispetto al progetto governativo, mediante un'operazione di sconto sui crediti dello Stato ad un tasso tra il 61/2 e il 71/2 che avrebbe portato a un'entrata di 150 milioni entro sei mesi. In quell'occasione molti della Destra lo accusarono di affarismo e di interessi personali, ma a difenderlo intervenne il Rattazzi.
Non fu più rieletto. Tornato allora ai suoi affari, il C. si stabilì a Firenze, dove morì il 15 ott. 1877.
Fonti e Bibl.: Tutti i dispacci inviati dal C. durante la sua missione romana sono stati pubbl. a cura di M. Cessi Drudi, La Repubblica veneta nel 1848-49, II, Padova 1954 (il primo vol. comprende numerose lettere del C. al suocero). Le due memorie redatte per il Gabussi insieme con alcune lettere di accompagnamento si leggono in appendice al lavoro di R. Giusti, Le vicende della Repubblica romana del 1849 nel carteggio di B. Musolino, G. B. C., F. De Boni ed altri democratici (1849-52), in Archivio veneto, XCI (1960), pp. 33-96. I rapporti col De Boni e i ripensamenti postrivoluzionari del C. sono documentati da F. Della Peruta, Idemocratici e la riv. it. Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848, Milano 1958, pp. 459-465 (vi si leggono le lettere del De Boni al C.); e da G. Monsagrati, Nuove ricerche su G. B. C. e sulla sua corrispondenza con Filippo De Boni (1849-50), in Mazzini e i repubblicani italiani. Studi in onore di Terenzio Grandi…, Torino 1976, pp. 193-221 (in appendice, tre lettere del C. al De Boni). Alcune sue lettere al Farini sono pubbl. in L. C. Farini, Epistolario, II, Bologna 1914, ad Indicem. Notizie generali sulla vita del C., sui rapporti col Tommaseo e sul dissidio intervenuto tra i due dopo il '49, si trovano in N. Tommaseo-G. Capponi, Carteggio ined. dal 1833 al 1874, a cura di I. Del Lungo-P. Prunas, II, Bologna 1914, ad Indicem;in N. Tommaseo, Venezia negli anni 1848 e 1849..., a cura di P. Prunas-G. Gambarin, I, Firenze 1931, ad Indicem. Importante per gli anni della giovinezza G. Biasutti, G. B. C. redattore del "Giornale Politico del Friuli" durante là rivoluzione del 1848, in Atti del III Congr. naz. di st. del giornalismo, 6-7-8dic. 1964, Udine 1971, pp. 121-126. Per una valutazione complessiva dell'azione del C. a Roma si vedano, tra i contemporanei, L. C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, III, Firenze 1853, pp. 26-29, 145-150, 198 s.; e G. Gabussi, Mem. per servire alla st. d. rivoluz. degli Stati Romani.... III, Genova 1852, pp. 92-100; e tra gli storici posteriori D. Ricciotti Bratti, Imoti romani del 1848-49dal carteggio di un diplom. del tempo, Venezia 1903; M. Cessi Drudi, Un patriota veneto del 1848: G.B.C., in Archivio veneto, LXXVIII (1948), pp. 127-163; A. Ventura, C. e il problema della fusione, ibid., LXXXV (1955), pp. 111-139; R. Cessi, Il Comitato naz. di liberaz. nel 1848, in Rend. dell'Accad. naz. dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e filol., s. 8, VI (1951), pp. 338-360. Della polemica antimazziniana del C. nel 1850-51 si è occupato R. Cessi, La crisi del mazzinianesimo dopo il crollo della Repubblica romana (1849), in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CVIII (1949-50), pp. 69-96. Molto scarse le notizie sulla vita del C. in Toscana: qualche cenno in P. S. Leicht, Memorie di M. Leicht, in Rass. st. d. Ris., XXII (1935), pp. 82 s. Per le polemiche sulla sua candidatura al Parlamento cfr. A M. Ghisalberti, recensione a M. Cessi Drudi Carteggi di P. Paleocapa del 1848-49, in Rass. st, d. Ris., XI, (1935), pp. 84 ss. I discorsi parlamentari del C. si leggono in Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislatura IX, sess. 1865-66, I, pp. 308 ss., 869; II, pp. 1060-67; III, pp. 2105, 2108 s.; legislatura X, sess. 1867-68, V, pp. 5033-48, 5055-75, 5083-95, 5202 s.; VI, pp. 6470-78, 6500 ss., 6539; legislatura X, sess. 1869-70, 111, pp. 2281-2310.