CARAFA, Giovanni Battista
Dei baroni di Sant'Arpino e Sessola, nacque nel 1495, quartogenito di Caraffello e di Ippolita Caetani. Sposò Ippolita Rossi, già due volte vedova, sorella di Porzia, madre di Torquato Tasso. Dal matrimonio nacquero tre figli maschi, Fabrizio, Muzio e Marzio. Si dedicò allo studio delle lettere e della giurisprudenza, per cui fu stimato "cavaliere dotto ed erudito assai, e dell'istorie antiche e moderne della città e Regno di Napoli molto inteso" (Tafuri, p. 376). Fu ascritto all'Accademia dei Sereni che, fondata nel 1546 dai nobili del "seggio" di Nido, fu presto sciolta, assieme a quella degli Ardenti, costituita dalla nobiltà del "seggio" di Capilana, dal viceré Pedro de Toledo (1532-1553) che le ritenne preoccupanti focolai di dibattiti politici. Il C. scrisse le Historie del Regno di Napoli, di cui venne pubblicata, a cura del figlio Muzio, la prima parte nel 1572 a Napoli, quando il C. era già morto.
Essa si compone di dieci libri che coprono il periodo che va dal primo anno d. C. fino alla cacciata dei Turchi da Otranto nel 1481. Secondo il Soria lo stampatore, Giuseppe Cacchi, si era impegnato a pubblicare anche la seconda parte dell'opera, che doveva giungere fino al 1570, ma ciò non avvenne, mentre nel 1580 l'editore Orazio Salviani ristampava la prima parte. Di fatto non si sa se il C. abbia portato a termine la sua opera, che, sempre secondo il Soria, fu causa di rivalità tra lui ed Angelo Di Costanzo, autore di una Historia del Regno di Napoli (Aquila, G. Cacchi 1581). L'opera del C. vuole essere innanzitutto una difesa dell'aristocrazia regnicola dall'accusa del Collenuccio di scarsa fedeltà verso le dinastie succedutesi a Napoli. Pur adducendo, nel proemio alle sue Historie, vari episodi di lealismo dei nobili napoletani (come in occasione della spedizione del Lautrec e della guerra tra Paolo IV e la Spagna), il C. ammette sostanzialmente la volubilità politica del baronaggio, nel momento in cui la imputa al costante malgoverno dei sovrani. Tra questi fa la sola, parziale eccezione di Carlo I e Carlo II d'Angiò, rivelatrice della sua effettiva prospettiva politica e storiografica poiché gli Angioini erano ritenuti a Napoli, nell'opinione aristocratica e in quella di molti storici, come la dinastia più rispettosa delle pretese autonomistiche della nobiltà.
La posizione del C. non è, comunque, indiscriminatamente favorevole al mondo nobiliare napoletano; essa, invece, ha una ben precisa connotazione di difesa ed esaltazione del patriziato cittadino, feudale o non feudale che fosse, ascritto ai "seggi" della capitale di contro alla aristocrazia feudale che non lo era. Il C. affronta, infatti, la questione della nobiltà di "seggio", delle sue prerogative e delle nuove aggregazioni ai "seggi" stessi - che in quegli anni costituiva un punto cruciale degli equilibri politici che si andavano stabilendo nel Regno - polemizzando con Luigi Contarini (Dell'antichità,sito,chiese,corpi santi,reliquie et statue in Roma. Con l'origine e nobiltà di Napoli, Napoli, G. Cacchi, 1569) che aveva sovvertito l'ordine di importanza secondo cui, a parere del C., le famiglie andavano qualificate. Ma ciò che più gli preme è dimostrare l'inesattezza dell'affermazione del Contarini che molte famiglie non si curavano di essere aggregate ai "seggi". Di fatto la nobiltà "fuori seggio" e il baronaggio provinciale avevano fatto notevoli pressioni per ottenere l'aggregazione, che significava soprattutto la possibilità di aver parte nel governo della capitale e, in generale, nella direzione politica del Regno. Durante il viceregno del Toledo si era verificata una certa omogeneizzazione tra le varie componenti aristocratiche, ma alla morte del Toledo la situazione cambiò, come sembra indicare la rivendicazione ad opera del C. della tradizionale prerogativa, confermata da Ferdinando il Cattolico e da Carlo V, per cui in materia di nuove aggregazioni ogni decisione spettava ai reggitori ed ai cavalieri dei "seggi" stessi. Traspare evidente da ciò l'arresto, nell'ultimo scorcio del XVI secolo, del processo di convergenza tra patriziato cittadino e baronaggio provinciale precedentemente verificatosi. Va, infine, notato come il C. accentui la polemica antifeudale e la posizione di resistenza conservatrice del patriziato cittadino nei confronti di qualsiasi apertura che potesse compromettere la posizione di potere e di privilegio che questo ultimo deteneva nell'ambito del governo della capitale. Riecheggiando una posizione di stampo umanistico il C. afferma che la vera nobiltà consiste "nell'arme e nelle lettere" e non nell'esser dotati di titoli e feudi. "Il medesimo han voluto essequire i nobili di Seggio perché hanno havuto in preggio più la virtù dell'animo che qualsivoglia ornamento de corpo... et piacesse a Dio che mai tramontani fossero passati in Italia, che son stati quelli che portaro questi titoli di posseder città et terre. Perché sarebbero d'altra maniera governate et s'attenderebbe hoggi di più al ben comune ch'al particolare..." (proemio).È probabile che il C. avesse intenzione di ritornare con un altro suo scritto sulla questione della nobiltà di "seggio" operando una distinzione tra quella delle "piazze" di Capuana e Nido, che oltre ad essere le più antiche raccoglievano anche la più alta aristocrazia, e quella di Montagna, Porto e Portanova. Su quest'opera non si hanno notizie, tuttavia l'Apologia di tre Seggi illustri di Napoli di Marco Antonio Terminio (Venetia 1581) - che sembra vada identificato con Angelo Di Costazo - fu scritta con lo scopo specifico di dimostrare, contro quanto aveva intenzione di fare il C., che non esistevano differenze di nobiltà tra i "seggi" napoletani: una polemica, questa, nella quale si rifletteva il contrasto dei ceti all'interno della stessa classe aristocratica. La tesi del C. era, infatti, a favore del più alto patriziato cittadino, in difesa delle sue prerogative ed in senso decisamente antifeudale, mentre il Di Costanzo esprimeva una posizione prettamente filofeudale che lo spingeva ad assumere la difesa dei tre "seggi" di Montagna, Porto e Portanova soprattutto perché questi si dimostravano meno esclusivistici di quelli di Nido e Capuana nell'accogliere le richieste di aggregazione provenienti dalla aristocrazia feudale "fuori seggio".
Le Historie del C. non riscossero gran successo tra gli storici contemporanei. Tommaso Costo afferma che se non si è avvalso del C. nella sua opera, al contrario di quanto ha fatto con il Di Costanzo, ciò "è stato per essersi accorto che egli non si è guardato di servir[si] poco men che sempre delle proprie parole, nonché de' concetti del Collenuccio". È un giudizio forse eccessivamente severo, che può essere meglio inteso sia tenendo conto della diversa posizione politica del Costo rispetto al C. sia del suo carattere brusco e dell'inimicizia da lui nutrita per quasi tutti gli storici suoi contemporanei. Del resto, il fatto che il C. si sia servito dell'opera del Collenuccio come traccia generale delle sue Historia non contraddice all'impostazione polemica nei confronti del Collenuccio stesso, e di ciò il Costo non sembra tener conto. Il Summonte, pur consentendo con il C. contro l'opinione del Contarini a proposito della aspirazione della nobiltà recente a ottenere l'aggregazione ai "seggi", afferma che al C. "alle volte li fallisce la mercantia" (p. 148). Giudizio che è sostanzialmente condiviso dal Napoli Signorelli, il quale lo rimprovera di aver "tratto tratto" riempito "i vuoti della propria materia con racconti alieni".Al C. vengono, infine, attribuite dallo Zazzera una traduzione dal latino delle Istituzioni imperiali di Giustiniano e la composizione, su richiesta di Paolo IV, di una genealogia di casa Carafa, ma nessuna delle due opere risulta pubblicata.
Non si conosce con precisione la data di morte del C. ma, secondo il Soria, essa avvenne, come si è detto, anteriormente al 1572.
Fonti e Bibl.: T. Costo, Comp. dell'Ist. del Regno di Napoli di M. Pandolfo Collenuccio da Pesaro e di Mambrin Roseo da Fabriano con giunta per tutto l'anno 1566, Venetia 1591; F. Zazzera, Della nobiltà dell'Italia, II, Napoli 1628, pt. II, pp. non num.; B. Aldimari, Historia geneal. della fam. Carafa, Napoli 1691, II, pp. 49 ss.; G. A. Summonte, Hist. della città e Regno di Napoli, I, Napoli 1748, p. 148; G. B. Tafuri, Ist. degli scritt. nati nel Regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, p. 376; F. A. Soria, Mem. storico-critiche degli storici napol., Napoli 1781, pp. 152 s.; P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura nelle Due Sicilie, IV, Napoli 1785, p. 191; A. Solerti, Vita diTorquato Tasso, I, Torino-Roma 1895, p. 4.