CARACCIOLO, Giovanni Battista (al secolo Francesco Saverio)
Nato a Napoli il 29 dic. 1695 da Lucio, duca di San Vito, e da Vittoria Castigliar dei marchesi di Grumo, studiò nel collegio di S. Giuseppe tenuto dai teatini. Spinto da vocazione religiosa entrò nel 1712 nella stessa Congregazione e il 17 dic. 1718 venne ordinato sacerdote. Proseguendo la sua formazione culturale approfondì lo studio della logica e quello delle lingue classiche, che indirizzò verso i testi dei matematici greci, per soddisfare il suo genio speculativo "volto al cupo ritiro e alla solitudine" (Vezzosi). Per merito personale, quindi, e non solo per l'appoggio del suo potente casato, presente per tradizione antica nelle cariche più importanti dell'Ordine, fu nominato lettore di filosofia presso il seminario napoletano dei teatini.
Nel 1723 fu costretto ad abbandonare Napoli dalla indignata reazione dei nobili napoletani e della sua stessa famiglia, per aver pubblicato, sia pure anonima, un'epistola in esametri "alla maniera di Giovenale" (Vezzosi), indirizzata al padre; in cui stigmatizzava il malcostume del bel mondo napoletano (Epistola ad patrem Neapolitanae Urbis nobilium mores graphice describens, Neapoli 1723). Rifugiatosi a Firenze, conservò il lettorato di filosofia presso il seminario fiorentino dell'Ordine, incarico che tenne fino al 1730 anno del suo trasferimento alla cattedra di logica dell'università di Pisa. Di questi anni è la sua opera letteraria e agiografica.
Nel 1729 pubblicò una traduzione in endecasillabi sciolti delle due Ifigenie di Euripide con testo greco a fronte (Le due Ifigenie in Aulide,e in Tauri..., Firenze 1729). Sempre a Firenze, anche se compiuta nel 1731, elaborò la prima traduzione latina delle epistole di Gregorio di Nissa; Sancti Patri Nostri Gregorii episcopi Nyssae epistolae septem., Firenze 1731, e preparò l'opera agiografica su s. Gaetano di Thiene, fondatore della Congregazione dei chierici minori. L'opera non fu però pubblicata immediatamente dopo la sua stesura, in quanto il generale dei teatini, Giuseppe Brembati, gli preferì quella di Antonio Caracciolo, protostorico dell'Ordine. Fu edita più tardi, emendata, nel 1738 a Pisa (Vita divi Caietani Thienis institutoris Ordinis Clericorum Regularium..., Pisis 1738).
A Pisa il C. tenne per dieci anni la cattedra di logica per poi passare a quella di algebra universale (Fabroni, p. 421). Le sue opere matematiche, che videro tutte la luce nel periodo pisano, possono essere considerate dispense universitarie rispecchianti fedelmente il livello dei suoi corsi: cosa tra l'altro confermata dalla lettera dedicatoria indirizzata a Gastone de' Medici premessa al De lineis curvis (Pisa 1740). Ma nonostante fosse preso dalle cure del suo ufficio, egli non esaurì la sua vena letteraria: pubblicò infatti a Firenze nel 1750 un'altra traduzione dal greco, gli Avvenimenti tra Erona e Leandro, poema del poeta Museo.
Risale al primo periodo del suo insegnamento a Pisa l'amicizia con Bernardo Tanucci, allora titolare della cattedra di giurisprudenza e di diritto naturale nella stessa università. Secondo lo Spiriti e il Fabroni, fu proprio il C. a presentare a Firenze il Minucci al conte di Santo Stefano, aio e maggiordomo dell'infante Carlo di Borbone nel 1734. A sua volta il Tanucci, divenuto primo ministro del Regno di Napoli, fece richiamare in patria il C. e lo fece creare vescovo di Aversa. Comunque il C. già da tempo aveva assunto incarichi di sempre maggiore responsabilità in seno all'Ordine. Nel 1756 era stato nominato procuratore generale e nel 1759 preposito generale. Sempre più frequenti si facevano quindi i suoi soggiorni a Firenze e a Roma: e questa è la ragione per cui la sua maggiore opera matematica fu pubblicata a Roma (Geometria algebrica universa quantitatum finitimarum et infinite minimarum tomiduo, Romae 1759).
Nominato vescovo il 16 febbr. 1761 e consacrato il 22 febbraio a Roma dal cardinale Spinelli, si deve pensare che egli accettasse il nuovo ufficio come una sinecura.
Neppure il cronista della peste e della carestia che afflissero duramente la diocesi nel 1763-64, il francescano Matteo Pellegrino di Pareta, lo può citare tra i prelati e i nobili che si prodigarono per alleviare i disagi della popolazione: lo stesso Parente (con solerzia agiografica afferma che "a dispetto del silenzio del cronista non è lecito supporre, che il Caracciolo non abbia saputo allora gareggiare con la generosità de' privati", II, p. 678) sull'attività del C. può citare soltanto la rimozione dall'insegnamento nel seminario di Arcangelo Padricelli (sostituito con M. Sagliocco) e la risoluzione di un grosso debito contratto dal predecessore Innico Caracciolo. Anche la visita pastorale del 1763-64 vide protagonista il vicario generale Lorenzo Potenza, cui in pratica commise la cura della diocesi.Si ritirò infatti dal 1763 nel monastero dei padri di Monte Vergine a Casamarciano, per attendere in quiete ai suoi studi. Qui morì il 6 genn. 1765 lasciando tutti i suoi libri e le sue carte alla biblioteca del seminario di Aversa.
Il costante richiamo alla geometria intuitiva greca e alla sillogistica segna il limite della sua attività di matematico (le altre opere da lui pubblicate furono i Problemata varia mathematica,Accedit examen machinae motus perpetui, Florentiae 1755, e Gnomicae, Pisis 1756). Lo stesso Vezzosi ci informa che il C. lesse i "moderni analitici" solo dopo la trentina. Cercando di attenersi ad una assiomatica di tipo euclideo, egli tentò di enucleare, nella sua trattazione eminentemente geometrica del calcolo integrale, una serie di postulati con cui definire la indiscernibilità di grandezze differenti e da cui dedurre regole di calcolo e teoremi. Il risultato fu che i concetti di limite e di continuità, base logica più o meno consaputa del calcolo differenziale e integrale, restano seppelliti in un'amalgama di postulati spesso inutili e arbitrari. Il suo contributo al progresso qualitativo e quantitativo delle teorie matematiche è quindi praticamente nullo. Lo stesso C. si rese conto più della incoerenza che della insufficienza della sua impostazione, e nella lettera dedicatoria premessa al De lineis curvis dichiara di voler usare il "metodo analitico" quanto meno possibile, ritenendo insuperabile, e dal punto di vista logico e da quello pedagogico, il "metodo sintetico". I suoi studi su curve particolari, proprio perché analisi condotte col "metodo sintetico", mostrano comunque una abilità non indifferente.
Fonti e Bibl.: Novelle letter. di Firenze, I (1740), coll. 802-806; A. F. Vezzosi, Iscrittoride' cherici regolari minori,detti teatini, Roma 1780, I, pp. 200-208; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 421 s.; G. Parente, Origini e vicende eccles. della città diAversa, Napoli 1857, I, p. 447; II, pp. 676-78; C. Fedeli, L'insegnamento della fisica nell'univers. diPisa, Pisa 1915, p. 8; M. Schipa, IlRegno diNapoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano 1923, I, pp. 296-98; E. Viviani della Robbia, B.Tanucci ed ilsuo più importante carteggio, Firenze 1942, pp. 44, 242; F. Fabris, Geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. XIV.