CAMBIASO, Giovanni Battista
Nacque a Genova il 19 luglio 1711 da Giovan Maria e da Caterina Roncalli, in una famiglia, ricca e nobile, che ottenne l'iscrizione al libro d'oro, per deliberazione del Maggiore e Minore Consiglio, soltanto il 19 maggio 1731, il C. e il fratello Nicolò Maria, di lui minore di sei anni, vi furono ascritti, pochi mesi dopo, il 6 dic. 1731.
La tarda iscrizione della famiglia Cambiaso si spiega forse col fatto che essa non era originaria della Liguria: infatti proveniva da Verona, dalla stirpe degli Scaligeri, un cui ramo, accorso attorno al 1318 in aiuto dei ghibellini del Polcevera, finì per stabilirsi in questo territorio a nord di Genova occupandovi vasti possedimenti. Il patrimonio dei Cambiaso divenne sempre più esteso ed ampio, tanto che - secondo testimonianze autorevoli - il C. e la sua famiglia elargivano in elemosina 366.000 lire ogni anno.
Il C. ricevette un'educazione vasta e raffinata; compì da giovinetto anche un viaggio in Francia e in Inghilterra, ove venne accolto nelle corti suscitando l'interesse e la simpatia dei ministri e degli stessi sovrani. Tornato a Genova, intraprese, accanto all'attività mercantile, la carriera politica cui la famiglia lo aveva avviato. Dette la prima impegnativa prova delle proprie doti nel 1746, allorché, essendo Genova impegnata nella guerra contro gli Austro-sardi, venne inviato quale governatore a Savona, mentre l'attacco nemico, alla fine dell'agosto, veniva portato lungo due direttrici: il generale A. Botta Adorno, comandante degli Austriaci, marciava su Genova, inviando ad assediare Savona il contingente piemontese concessogli da Carlo Emanuele III. Savona mancava quasi totalmente di difese e disponeva di un'unica fortezza verso il mare: il C. organizzò perciò leve militari tra i contadini e li pose di rinforzo alle truppe sui vari passi; di lui personalmente si ammirò la costante presenza sul posto di combattimento.
Tuttavia il merito che Savona sia capitolata dopo Genova, che certa storiografia encomiastica attribuisce al C., non va tanto alla difesa da lui organizzata quanto a un preciso atto politico del Senato genovese, che preferì arrendersi agli Austriaci per impedire che le truppe piemontesi potessero avere il tempo di entrare in Genova: non a caso, il giorno dopo la capitolazione, Genova poteva far pervenire aiuti in armi e viveri a Savona.
Non sappiamo quando con precisione il C. rientrò in Genova, ma, certo, dopo la conclusione della pace di Aquisgrana. Il 2 luglio 1751 si sposò, nella cattedrale di S. Lorenzo, con la nobile dama genovese Maria Tomasina Balbi: dal matrimonio nacquero nove figli, di cui sei femmine (Maria Camilla, premorta ai genitori, Anna Maria, Maddalena, Geronima Pellegrina, Giovanna Maria, Teresa) e tre maschi (Gian Maria I e Gian Maria II, entrambi premorti ai genitori, e Gaetano). Nei vent'anni che intercorrono tra il matrimonio e la sua elezione a doge, il C. ricoprì più volte la carica di protettore del Banco di S. Giorgio e fu scelto quale sindicatore supremo; contemporaneamente continuò a dimostrare interesse e amore per la cultura e le lettere, entrando nella colonia arcadica ligure col nome di Oronte: in seno ad essa, in occasione dell'incoronazione ducale, venne festeggiato con la composizione di un Serto poetico comprendente varie decine di sonetti, canzoni, anacreontiche, versi sciolti in italiano e in latino e alcuni anche in inglese e in francese: un sonetto, tra gli altri, reca la firma del nipote Michelangelo, destinato egli pure agli onori ducali.
Il 16 apr. 1771 il C. fa eletto doge con 276 voti su 366, e incoronato con una fastosa cerimonia in S. Lorenzo l'8 febbraio del 1772.
Tanto il discorso pronunciato in S. Lorenzo dal frate Prospero de Grassi, prevosto di S. Donato, quanto quello pronunciato in palazzo ducale dal magnifico Giustiniano Giustiniani insistevano sull'ossequio a quelle doti di splendidezza e di magnificenza che i Cambiaso tenevano a dimostrare. Tra l'altro, il C. spese tra banchetto ed elargizioni quasi mezzo milione di lire, di cui 250.000 andarono alle Opere pie della città.
Durante il dogato il C. fece riordinare a sue spese il palazzo ducale, facendone nuovamente stuccare ed indorare le sale e rinnovandone tutte le vetrate. Ma l'unica opera veramente importante fu l'apertura della strada che, lungo la Val Polcevera, partendo da Sampierdarena, doveva unire Genova a Novi attraverso Campomorone. In realtà questa opera pubblica (tale venne dichiarata il 3 giugno 1772) rientrava anche negli interessi privati del doge, poiché i possedimenti terrieri suoi e della sua famiglia si estendevano appunto nella Val Polcevera: tuttavia essa era di indubbia utilità, e comportò, con un notevole onere finanziario per il doge (che vi impegnò personalmente due milioni e mezzo), un utile risparmio per la Repubblica e un'occasione di lavoro per gli ottocento operai che vi vennero utilizzati. Il magistrato di S. Giorgio, quale riconoscimento di tanta generosità, esonerò il C. e la sua discendenza dal pagamento di ogni pedaggio; inoltre il Senato della Repubblica decretava al C., ancora vivente, l'erezione di una statua, che venne poi inaugurata il 10 marzo 1776nel gran salone del palazzo ducale: in seguito, durante i primi moti giacobini, tale statua andò distrutta.
A dieci mesi dalla sua incoronazione, il C. cadde improvvisamente malato e morì il 23 dic. 1772.
Fonti e Bibl.:Genova, Civ. Bibl. Berio, F. Ant. Gen. D 1: Serto poetico tessuto dagli Arcadi della Colonia Ligustica (testo a stampa); Ibid., ms. 13: L. Della Cella, Famiglie di Genova (1782), cc. 456 ss.; L. Grillo, Elogi di liguri illustri, III, Torino 1846, p. 68; M. Accinelli, Compendio delle storie di Genova, III, Genova 1851, pp. 8, 71, 74-75; A. M. Stokvis, Manuel d'histoire, VII, Leide 1893, p. 756; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, II, Genova 1913, p. 389; L. Levati, I dogi di Genova dal 1771al 1797, IV, Genova 1916, pp. 7-14; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, pp. 438 s.