ALTOVITI, Giovanni Battista
Figlio di Bindo e di Fiammetta Soderini, continuò degnamente a Roma la tradizione familiare di grande banchiere e mecenate d'artisti e protettore di esuli toscani; con lui, morto senza eredi il 19 dic. 1590, si estinse la casa bancaria romana degli Altoviti.
Ancora in giovane età aveva partecipato con gli Strozzi al tentativo, fallito a Montemurlo, di ristabilire le libertà a Firenze; seppe poi, con efficace eloquenza, persuadere i fuorusciti toscani e in particolare i Fiorentini residenti in Roma a dichiararsi apertamente nemici del duca Cosimo I, dimostrando che "quello che faceva suo padre ed egli ancora, che avevano tanto da perdere, molto meglio lo potevano loro che avventuravano il poco per il molto".Nel frattempo una sua sorella era andata sposa in casa Strozzi. L'A. si accordò con gli esuli fiorentini e con Piero Strozzi "compartendo tra loro gli uffizi e gradi della città di Fiorenza, ma la sconfitta di Marciano (2 ag. 1554) fece svanire le incaute illusioni: si salvò con la fuga, mentre la maggior parte dei suoi amici venne fatta prigioniera e consegnata dal marchese di Marignano al duca di Firenze. Questi dichiarò l'A. pubbilco ribelle, il 17 sett. 1554, e soltanto nel 1560 gli concesse il perdono, dopo che la moglie sua Clarice Ridolfi si fu umiliata a intercederlo dall'altera duchessa Eleonora.
Perduta ogni speranza di riscattare la patria libertà, attese con successo all'attività finanziaria e fu molto stimato specialmente dal pontefice Pio V, che il 6 febbr. 1566 lo nominò suo depositano generale e segreto; continuò a servire negli affari di banca la Camera apostolica anche durante la lega di Lepanto. Stimò opportuno investire sempre più in beni immobili i suoi capitali; così nel 1586 acquistò per 21.500 scudi la tenuta del "Buon Ricovero" sulla via Cassia.
La famiglia Altoviti godeva privilegi e onori singolari: quando il corteo delle sue carrozze si recava alla vicina chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, da Castel S. Angelo veniva salutato con trenta salve di artiglieria la sera della vigilia e con venti la mattina della festa di S. Giovanni Battista.
Il possesso di alcuni beni paterni gli fu conteso aspramente dal fratello Antonio, arcivescovo di Firenze, che era sostenuto dal granduca di Toscana; tuttavia, quando il fratello morì nel dicembre del 1573, ne onorò la memoria con un sepolcro eretto nella chiesa fiorentina dei SS. Apostoli; per se stesso l'A. aveva già provveduto, facendosi concedere dai frati di Trinità dei Monti il 9 marzo 1573, in cambio dell'usufrutto di alcune case, una cappella dove fu sepolto nel 1590.
Non avendo avuto figli dalla moglie Clarice, sorella del cardinale Ridolfi e nipote di Leone X, aveva chiamato da Firenze Alessandro di Giacomo Altoviti, ma non lo lasciò erede perché gli rimproverava di essere troppo dedito al gioco; trasferì quindi, con testamento in data 8 nov. 1590, la sua eredità a Giovanni figlio di Bernardo Altoviti, dal quale un anno dopo. l'eredità passò a Pierozzo figlio del senatore Ridolfo Altoviti.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vaticano, Segr. Stata, Firenze, 2, ff. 421 e 436 e.; G. Alveri, Della Roma in ogni stato, II, Roma 1664, pp. 102 C 104-106; A. Di Montalvo, Relazione della guerra di Siena, a cura di C. Riccomanni, Torino 1863, pp. 37 s., 71, 117-121 e 222 a.; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Altoviti, Firenze 1871, pp. 63 s.; D. Gnoli, Le demolizioni in Roma. Il palazzo Altoviti, in Arch. stor. dell'arte, I (1888), pp. 204-211; C. Belloni, Diz. stor. dei banchieri ital., Firenze 1951, pp. 14-15 G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-ecclesiastica, LXXXVIII, pp. 73-74.