BONO, Giovanni Battista Agostino
Nacque a Verzuolo (Cuneo) il 26 genn. 1731 (0 1738?) dal medico Giovanni Antonio e da Anna Maria. Frequentò l'università di Torino fra il 1750 e il 1756, laureandosi in utroque iure. Fu suo maestro il Chionio, che tenne la cattedra di diritto ecclesiastico fino al 1754, quando fu espulso per aver sostenuto proposizioni richeriste nel trattato De regimine ecclesiae.
Questa vicenda ebbe certamente influenza sulla formazione del Bono. Alla cattedra del Chionio, il quale, nonostante la disavventura, non scomparve tuttavia completamente dai quadri dell'università torinese, in quanto nel 1772 compariva ancora fra i doctores ordinarii, subentrava Carlo Sebastiano Berardi, l'altro autorevole maestro del B., e con il Campiani uno dei maggiori canonisti del '700, autore tra l'altro di un'operetta, l'Idea del governo ecclesiastico, che lo colloca pienamente nella tradizione giurisdizionalistica del Piemonte.
Il B., come il Baudisson, e più tardi lo Spanzotti, raccoglie quindi gli elementi di questa cultura, giurisdizionalistica e anticurialista, che a Torino si sommava all'influenza di una precisa e piuttosto notevole presenza giansenista, legata a uomini come Francesco Berta e all'abate Bentivoglio. Dopo la laurea, specializzatosi in diritto canonico, nel 1768 fu chiamato a sostituire il Berardi, alla morte improvvisa e immatura di questo.
Negli anni precedenti la sua ascesa alla cattedra era stato in relazione con il diplomatico inglese Louis Dutens, residente a Torino e amico del Berta, del Bentivoglio e del cardinal Gerdil. Il frutto più rilevante della collaborazione del Dutens con gli intellettuali piemontesi fu la partecipazione del B., un giurista ormai stimato, all'edizione delle opere del Leibniz (6 voll., Ginevra 1768). Egli curò la parte giuridica (la terza parte del t. IV, Opuscula ad iurisprudentiam pertinentia): illavoro s'inserisce nella storia della fortuna del Leibniz in Piemonte, come spiega il Bulferetti "per l'affinità alla corrente teologico-cartesiana a cui apparteneva Malebranche... per la professata concordanza fra religione, morale e diritto".
Nella prefazione al lavoro si vede come il B. abbia accolto il nucleo filosofico leibniziano, tanto che questa appare spesso una parafrasi riassuntiva del filosofo tedesco. Più che a una discussione sulla filosofia del diritto di Leibniz, il B. sembra interessato ai problemi di diritto pubblico, inserendosi in quell'interesse tipico dei giuspubblicisti e storici piemontesi del '700 verso prerogative proprie del diritto imperiale come il vicariato. Era fra l'altro un modo per rivendicare l'esercizio dei diritti imperiali in Italia e per contrapporsi, come i principi germanici, alla potenza asburgica. In questo senso nasce l'attenzione del B. per Leibniz, che fondava sul patrimonialismo il concetto di indipendenza dei principi tedeschi.
La prefazione alle opere giuridiche di Leibniz è quindi importante non solo perché costituisce un contributo alla più famosa ed ancor utile edizione settecentesca del filosofo di Hannover, ma anche come testimonianza di una scelta filosofica e più ancora politica. Inoltre fin da allora, quest'opera, pubblicata nello stesso anno della sua successione alla cattedra del Berardi, riprende con maggiore chiarezza ed esplicitamente le lezioni dei suoi maestri.
Gli inizi della sua carriera universitaria sono legati al clima di attesa del nuovo sovrano, Vittorio Amedeo III, alla stanchezza del regime burocratico di Carlo Emanuele III e alle speranze di un certo rinnovamento politico e intellettuale. Nel 1770 ebbe uno scontro all'interno della facoltà con il professor Bruno per questioni di precedenza, sintomo ed avvisaglia di una certa inquietudine e frattura fra i membri dell'università (Torino, Archivio di Stato, Regia Università, mazzo 2 add.) .
Le opere del B., a differenza di quelle del Berardi, e prima ancora, del Campiani, non erano scritte per un mercato intellettuale molto vasto: sono infatti tutti trattati universitari che venivano utilizzati dagli studenti. La Tractatio de criminibus (s.d.), divisa in tre parti: De criminibus ecclesiasticis in genere,De criminibus in specie,De poenis ecclesiasticis, riprende l'opera del Van Espen; la tesi De praebendis et dignitatibus si ispira, oltre che al canonista di Lovanio, al lavoro dei propri maestri, sviluppandolo soprattutto per quanto riguarda la materia beneficiaria e l'organizzazione della Chiesa. Accanto a queste due opere, segnalate dal Bufferetti, senza data e spesso senza note tipografiche, vere e proprie dispense universitarie, occorre ancora ricordare le Orationes in inauguratione Clarissimi Ludovici Cotti Tauriniensis Comitis... Oratio habita VI Kalendas iunii anno 1780 (Torino 1781), in cui, rifacendosi ad uno dei suoi più illustri predecessori, il Campiani, esalta la funzione intermedia e regolatrice delle leggi, fra potere sovrano e popolo soggetto.
È interessante come inizio di un discorso politico che porterà il B., dopo un primo tentativo di agire all'interno delle strutture dello Stato di Vittorio Amedeo III, a farsi giacobino e a partecipare al governo provvisorio. Il B. cioè ha un periodo di attesa in cui si illude di poter partecipare a un'esperienza di rammodernamento e di collaborazione fra sovrano e una nuova classe dirigente, illuminata ed attiva, che si preparava non solo all'università, ma nelle varie società letterarie e scientifiche, dalla Filopatria alla Sampaolina, alla Accademia delle scienze. In questo periodo ha rapporti con uomini come P. Balbo, G. Vernazza, V. Spanzotti, I. Baudisson e G. Morardo. C'è la traccia di una sua partecipazione alla seduta pomeridiana della Patria società letteraria del 15 maggio 1786 accanto a Bossi, Tenivelli, Somis, Balbo, Vasco.
Con il Baudisson è impegnato anche nel tribunale metropolitano e quindi partecipa attivamente alla politica ecclesiastica sabauda. È appunto di questo periodo, ancora vivo di speranze, la concezione dello Stato in cui l'elemento della legge fa da mediazione fra sovrano e popolo. Ma qualche anno dopo, proprio mentre cominciava ad avere un certo numero di allievi, i suoi rapporti con Vittorio Amedeo III si guastarono. Da una parte la Chiesa lo identificava come il polemista più ardente nelle cause del tribunale ecclesiastico, dall'altra lo Stato ripiegava in una dimensione sempre più conservatrice di fronte alla Rivoluzione francese. Fra il 1790 e il 1791 comincia la sua disgrazia presso il sovrano che si concluderà con la rimozione dalla cattedra.
Nel gennaio del 1790 (Torino, Archivio di Stato, Regia Università, mazzo 3 add.) la censura colpiva duramente Gaspare Morardo, allievo del B., autore di un'opera sui testamenti, che aveva pubblicato un testo diverso da quello sottoposto alla revisione. Anche il B., che prima era consultato come il massimo esperto in materia di giurisprudenza canonica, veniva ora isolato di fronte all'opposizione curiale. Fra le altre accuse gli fu mossa quella di essere un seguace di Rousseau.
Per difendersi scrisse una Memoria nella quale il prof. B. giustifica l'opinione intorno l'origine del potere sovrano (se ne conoscono tre copie: due alla Bibl. Reale [Varia 247] e una all'Arch di Stato di Torino, P. I.,R. Università, mazzi da inventariare). La copia autografa è segnata in alto nella prima carta con la data 21 giugno 1791.
Il B. spiega come l'accusa che egli abbia insegnato dalla cattedra le teorie di Rousseau sia in realtà rivolta a screditarlo come canonista. Quindi esamina le varie teorie della sovranità, confutando quella di Rousseau, teorico di un patto sociale distruttivo della sovranità, ma più ancora Giannantonio Bianchi, l'avversario del Giannone, accusato di essere un monarcomaco. L'elemento interessante di quest'operetta è costituito però dal riflesso dei contemporanei avvenimenti francesi. Il B. osserva che in Francia nel 1515 il terzo stato aveva sostenuto, contro nobiltà e clero, che il potere sovrano derivava direttamente da Dio. Oggi le parti sono rovesciate, nel senso che il primo e il secondo stato difendono la divinità della monarchia, mentre il terzo cerca di deprimerla. Ciò avviene perché ormai il popolo francese, cioè il terzo stato, è così forte da voler ridurre la potestà monarchica che prima lo proteggeva. Anche questo mutamento di opinione degli stati in Francia mostra come l'idea della sovranità che nasce da azione diretta di Dio non sia confortata dalla ragione, né sempre favorevole alla monarchia. Conclude esaminando le proprie opere per dimostrare come non abbia mai difeso, né nel trattato De potestate ecclesiastica, composto fra il 1789 e il 1790, né nelle tesi De criminibus, le opinioni di Rousseau. In realtà i re di Francia e di Spagna, aiutando gli Americani, hanno giustificato per primi le teorie del potere al popolo. Inoltre non le opinioni perverse o sbagliate di un filosofo hanno creato la Rivoluzione francese, "ma bensì l'enorme somma di debiti, la quale indusse il re a convocare primo li notabili e poi l'assemblea...".
Nella stessa Varia 247 c'è la traccia del suo ultimo lavoro al servizio sovrano: scritture sull'Ordine di S. Maurizio, sull'abbazia di S. Biagio (17 ag. 1791), sull'abbazia di S. Simone in Novara. Ormai però la repressione era in corso. Di ciò vi è una eco nella sua Oratio habita die 30 aprilis anno 1795 pro inauguratione ad lauream Ioannis Hyacinti Bertolotti (Torino 1795), ove c'è tutta un'appassionata difesa della funzione della scienza e un'implicita polemica contro il clima di repressione che si era instaurato in Piemonte dopo il 1789, soprattutto con l'avvicinamento all'Impero e alla Chiesa in funzione antifrancese.
Due anni dopo Carlo Emanuele IV, in uno degli ultimi atti di sovranità, destituì il B. e il Baudisson. Il primo fu colpito per alcune tesi della sua opera sul diritto matrimoniale, De coniugiorum iuribus theses ad tit. De sponsibus et matrimonio. De iure principis circa matrimonium. Contro il B. si era mosso il Bruno, professore di teologia dogmatica e suo antico avversario e successivamente il canonico Ghio. La giunta ecclesiastica, ora più ascoltata dal sovrano, intervenne nella polemica, determinando non solo la giubilazione del B., ma anche il suo controllo sulle cattedre di diritto ecclesiastico (Torino, Archivio di Stato, Regia Università, mazzo 3 add., Parere della giunta eccles. del 14 ott. 1797). Il sovrano in data 17 ottobre approvò il progetto, ordinando che si spedissero le giubilazioni al B. e al Baudisson "al primo col titolo di professore emerito e con intiero suo stipendio senza alcuna ritenzione, al secondo semplicemente e nella forma solita della giubilazione" (ibid.). La giubilazione è datata 24 ottobre. Due giorni dopo una riunione del Magistrato della riforma stabiliva di controllare strettamente la frequenza alla comunione dei professori e una rigorosa applicazione delle regie costituzioni. La giubilazione metteva a riposo il B. con una pensione di 400 lire annue.
Dopo la disavventura della cattedra il B. si era schierato con i giacobini, che fra il luglio e il dicembre del 1798 appoggiarono la Francia. Il 12 dicembre, dopo la partenza del sovrano, costituitosi il governo provvisorio, egli veniva chiamato a farne parte. Pochi mesi dopo, il 14 marzo 1799, moriva a Torino, proprio quando si preparava l'annessione alla Francia. Il 24 dello stesso mese la memoria del cittadino B. era dichiarata cara alla patria dal presidente Carlo Botta. Non essendo riuscito a portare a termine i suoi lavori filosofici, la sua fama rimaneva così legata, più che all'attività di scrittore o alla sua funzione di politico, all'influenza diretta che ebbe su allievi come Gaspare Morardo, Michele Bessone, Vincenzo Spanzotti, il canonico Marentini, la propaggine giansenistica che si collega con le prime aspirazioni nazionali.
Anzi, sarà proprio il Morardo, libellista acre e non sempre attendibile, a portare avanti una specie di culto del prof. B., testimoniando fra l'altro, oltre l'attività di giurista, i suoi interessi filosofici. Autore di un Elogiodell'abate A. B., perdutosi, ma segnalato nella sua Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'ateneo di Torino (Torino 1804), rimprovera al Baudisson, collega del B. dal 1772 in istituzioni canoniche e suo compagno di sventure, di non aver pubblicato una biografia e le opere inedite affidategli. Fra queste indica "un'opera analitica delle facoltà dello spirito umano, delle passioni, del diritto di natura e delle genti..." e dei consulti legali.
In realtà solo questi ultimi non sono rintracciabili, in quanto l'opera sul diritto delle genti potrebbe essere quella sull'idea del potere sovrano di cui si è parlato. Tutti gli scritti filosofici sono alla Biblioteca Nazionale di Torino (Q 2 III 20-24). I primi quattro codici, ordinati da Prospero Balbo e inviati al Vernazza il 14 apr. 1814, contengono gli appunti informali di un'opera riguardante il problema della conoscenza: il primo tratta i processi conoscitivi, il secondo affronta il problema del principio vitale, il terzo raccoglie argomenti di maggior interesse per la morale, il quarto contiene un prospetto di tutta l'opera da cui si può vedere come l'impianto rimanga cartesiano, con una certa accentuazione materialistica del cartesianesimo e una influenza del sensismo. Il superamento del cartesianesimo in direzione sensistica è però più evidente nell'operetta a cui alludeva il Morardo, Delle passioni (Q 2 III 24). Mentre gli scritti precedenti sono il frutto di un lavoro risalente, secondo il Morardo, al 1780, quest'operetta, il cui indice è ornato dai simboli rivoluzionari: liberté,verité,égalité, risente chiaramente del clima in cui è stata concepita. A Cartesio, Spinoza, Leibniz contrappone un'interpretazione sensistica e materialistica di tipo epicureo delle passioni. Come la sede delle operazioni mentali è il cervello, così quelle delle passioni sono il cuore e l'epigastro. Su questo materialismo un po' rozzo e schematico il B. costruisce una teoria della funzione sociale delle passioni, a cui è significativamente riportato lo stesso amore e timore di Dio. Quest'operetta non sembra completa, ma è certo un documento interessante della trasformazione di una cultura che dal razionalismo cartesiano - malebranchiano - leibniziano passa all'antintellettualismo, all'antinnatismo, al sensismo, non senza sviluppare - in questa valutazione dell'azione sociale delle passioni - un elemento tipico della cultura preromantica europea.
Bibl.: G. Morardo, Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'ateneo di Torino e catalogo storico di tutte le opere dell'autore…, 1804, pp. 44, 48, 109, 123; Id., Elogio storico del teologo Ludovico Pagano, Torino 1808, pp. 41, 48; H. Grégoire, Essai historique sur les libertés de l'Eglise gallicaine, Paris 1818, p. 422; C. Denina, Delle rivoluzioni d'Italia libri XXV, VII, Torino 1829, p. 274; G. Casalis, Dizionario geografico storico statistico commerciale degli stati di Sardegna, XVII, Torino 1848, pp. 760 s.; XXV, ibid. 1854, p. 58; T. Vallauri, Storia delle università degli studi del Piemonte, Torino 1875, pp. 541 s.; Carlo Botta a Corfù.Scritti inediti, a cura di C. Dionisotti, Torino 1875, p. 84; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, p. 289; G. Piovano, La facoltà teologica,il clero di Torino e il giansenismo, in Atti d. Acc. d. Scienze di Torino, XLIV (1928-29), pp. 123-140; M. Gorino, G. V.Spanzotti. Contributo alla storia del giansenismo piemontese, Torino 1931, p. 157; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, p. 259; Id., Le adunate della Patria società letteraria, Torino 1943, p. 89; L. Bulferetti, A. B. giurisdizionalista piemontese editore e critico degli scritti giuridici di Leibniz, in Rivista di filosofia, XXXV (1947), pp. 130-141; A. Bertola, Di un'opera inedita di C. S. Berardi sul governo della Chiesa e dello stato, in Atti d. Acc. d. Scienze di Torino, XCI (1956-57), p. 440; A. Bersano, L'abate F. Bonardi e i suoi tempi, Torino 1957, p. 305; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel sec. XVIII, Torino 1958, passim; C. S. Berardi, Idea del governo ecclesiastico, a cura di A. Bertola e L. Firpo, Torino 1963, pp. 12, 54; Il giansenismo in Italia. Collez. di documenti, a cura di P. Stella, I, 1, Piemonte, Urich 1966, p. 22.