BARISELLO, Giovanni
Popolano parmense di parte guelfa. Di professione sarto, visse nel sec. XIII; proveniva da famiglia contadina, in quanto suo padre era mezzadro di casa Tebaldi.
Il B. partecipò alle lotte fra i guelfi. e i ghibellini della sua città, emergendo nell'occasione di uno dei tanti disordini che agitarono Parma verso la metà del secolo causato dalla minaccia d'un tentativo ghibeflino, appoggiato da Oberto Pallavicino, d'impadronirsi della città, allora guelfa. A quanto racconta Salimbene fu soprattutto merito del B. se i guelfi, dapprima intimoriti, disposti in parte addirittura a lasciare volontariamente Parma, finirono col dominare la situazione prevenendo le mosse avversarie. Il B., infatti, raccolti cinquecento armati, presi il Vangelo e la Croce, percorse la città costringendo i ghibellini sospetti di tradimento a giurare obbedienza alla parte della Chiesa e obbligando quanti non si prestavano al giuramento a lasciare la città. Lo stesso Salimbene ci fa sapere come i suoi concittadini mostrarono al B. la loro riconoscenza: anzitutto lo fecero ricco, mentre era povero; gli dettero in moglie una donna di nobile casato, della famiglia Comazzano; gli garantirono un posto permanente al consiglio del Comune senza bisogno di elezione, in riconoscimento, tra l'altro, del suo buon senso naturale e delle sue virtii oratorie; infine lo autorizzarono a raccogliere sotto il suo nome una società militare, che poi Manfredino di Sassuolo, podestà modenese di Parma, nel secondo semestre del 1268 e nel primo del 1269 sciolse "nolens quod a tali nomine denominarentur Parmenses". Salimbene è l'unico a tramandare il racconto dell'impresa del B., di cui tuttavia troviamo indirettamente conferma in un capitolo degli Statuti di Parma riformati nel 1266, quando era podestà Alberico Suardi da Bergamo: in esso è detto testualmente che "ad honorem Dei et Societatis Cruxatorum et tocius partis Ecclesie" e per la conservazione dei fedeli, il podestà di Parma presente e futuro, si impegnava a pagare "Iolianni Barixello de Capite POntiS" 25 lire imperiali da reperirsi "de bonis Cominunis et de denariis Communis provenientibus de bonis bannitoruin", "pro remuneracione, substentacione, remedio et labore que substinet et supportat in amorem et servitium tocius partis Ecclesie".
L'Affò considera questo capitolo degli Statuti come chiarificatore ai fini della datazione dell'impresa del B., da porsi perciò nel 1266, in relazione con le agitazioni parmensi della primavera di quell'anno, dal giorno di Pasqua, 28 marzo, al 20 aprile. Anche gli storici posteriori condividono l'opinione dell'Affò (cfr. Ronchini, pp. XVI-XVII; Holder-Egger, pp. 372-75; Bernini, p. 73). là lecito tuttavia esprimere dubbi su questa datazione, poiché vi sono elementi che possono far pensare più verosimile una data antecedente al 1266. Innanzitutto Salimbene dichiara esplicitamente di essere stato presente a Parma all'impresa del B., e non sembra che nell'anno 1266 Salimbene si trovasse in questa città (cfr. Diz. biografico degli italiani, I, pp. 228-31); il primo capitolo poi in cui Salimbene inizia la narrazione relativa al B. (sei sono i paragrafi ad esso dedicati), è intitolato: Quod Parmenses pacem fecerunt ad invicem post mortem imperatoris [Federico II], sed parum duravit pax illa, il che fa pensare che l'azione del B. si sia sviluppata all'indomani della morte, di Federico II, avvenuta il 13 dic. 1250, e non già sedici anni dopo la medesima; inoltre in altri due capitoli, successivi a quello citato, alludendo alla distrpzione di Borgo S. Donnino, avvenuta alla fine del 1268 (Chronicon Parmense, p. 267), Salimbene ricorda che avvenne qualche tempo dopo la sommossa cui partecipò il B.; sempre Salimbene afferma che la società militare posta sotto il comando del B. durò per molti anni prima di essere sciolta da Manfredino di Sassuolo; ulteriore elemento, da non trascurare, il fatto che Salimbene non parla della Pasqua come del giorno in cui sarebbe avvenuto il tumulto in Parma, mentre questo particolare avrebbe dovuto colpire la sensibilità del frate cronista cosi incline ad avvertire il segno del trascendente nelle vicende storiche. Sembrerebbe perciò possibile avanzare un'altra ipotesi, e cioè che l'iniziativa del B. si sia manifestata durante la sommossa del 1253 seguita al tentativo di pacificazione tra i guelfi di Parma e i ghibellini esuli a Borgo S. Donnino, di cui dà breve notizia il Chronicon Parmense (p. 20). In questo quadro meglio si capirebbe anche l'evoluzione della Società dei Crociati, ben nota per l'importanza che ebbe ne a successiva vita del Comune di Parma, e le sue relazioni con la Societas del B.: nata in un primo tempo come milizia popolana quasi personale del B., sarebbe stata poi riorganizzata nel 1266 ufficialmente - di questo anno sono i primi capitoli degli Statuti che la riguardano - al servizio del Comune sotto la direzione d'un capitano, che non fu però il B.: il Comune in riconoscimento e in ricompensa ("pro remuneracione... pro remedio") avrebbe concesso al B. la ricordata rendita di 25 lire imperiali a titolo di pensione che avrebbe dovuto nello stesso tempo rendergli onore e persuaderlo a stare tranquillo.
Nel 1269, come risulta da un capitolo degli Statuti emanato il 17 maggio di quell'anno, il B. fu scelto come mallevadore per un contratto stipulato dal Comune. Dopo il 1269 non si ha, fino al tempo della sua morte, alcuna notizia relativa al B. il quale, sciolta la sua milizia, era tomato, senza fare opposizione, al suo umile lavoro di sarto, mantenendo in tal modo stima e prestigio presso i suoi concittadini, a quanto dice Salimbene, e come dimostra l'atto citato del 1269; le tragiche circostanze della morte del B. sono schematicamente registrate nel Chronicon Parmense (pp. 78 s.): nell'agosto 1298 Rolandino da Marano fu imprigionato sotto accusa di tradimento e, per aver salva la vita, indicò i nomi dei suoi complici, veri o presunti, nelle persone di Bernardino della Porta, di Pietro Sanvitale e del B., già banditi da Parma probabilmente in quanto partigiani di Obizzo Sanvitale vescovo della città, il quale era stato allontanato nell'agosto del 1295. Sottoposti a feroci torture perché confessassero i nomi degli altri congiurati, veri o presunti, il B. morì sotto i tormenti, mentre Pietro Sanvitale, pur avendo resistito senza parlare e protestato la sua innocenza, venne poi giustiziato illegalmente, nonostante il podestà di Parma, Raniero Gatti da Viterbo, fosse fuggito dalla città per non partecipare alla ingiusta esecuzione. Il B. fu forse implicato nella congiura di Manfredotto Cornazzano, alla cui famiglia egli si trovava imparentato in seguito al suo matrimonio.
Fonti e Bibl.: Statuta Communis Parmae, a cura di A. Ronchini, in Monumenta hist. ad provincias Parmenseni et Placentinani pertinentia, I, Parmae 1855, pp. XVI-XVIII, 470 s.; II, ibid. 1857, M. XV, 207 S.; Cronica fratris Salimbene de Adam ordinis Minorum, a cura di O. Holderegger, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXII, Hannoverae et Lipsiae 1905-1913, pp. 372-375; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di F. Bernini, Bari 1942, pp. 536-541, che riproduce fedelmente il cod. Vat. lat. 7260, quasi certamente autografo; Chronicon Parmense..., in Rer. Italic. Script., 2 ediz., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 20, 78 s.; C. Sigonio, Opera omnia, II, Mediolani 1732, coll. 1017 s.; I. Affò, Storia della città di Parma, III, Parma 1793, pp. 272-293; IV, ibid. 1795, DI). 72-116; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura di Italia, I, Torino 1845, p. 305; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, Milano 1936, p. 72 (erroneamente lo chiama Giacomo); F. Bernini, Storia di Parma, Parma 1954, p. 73.