BARBARIGO, Giovanni
Patrizio della Repubblica veneta che servì in pace con numerosi incarichi di governo e in guerra con fortunate imprese sul mare, nacque intorno al 1334 da Gabriele del confino di S. Geminiano. Nulla si conosce di lui fino all'età di quarant:anni (anche se un G. Barbarigo appare viceconsole in Puglia nel 1347 circa, e un testamento del 1365 parla di un G. Barbarigo sposato a Franceschina, con una figlia di nome Elisabetta già maritata a ser Nicoletto: si tratta dell'omonimo senatore veneziano, vissuto nello stesso periodo, che morì qualche anno più tardi di questo e che ugualmente si distinse nella guerra di Chioggia?). Sappiamo solo con certezza che sposò una donna chiamata Elena, e che ebbe da lei due figli: Andrea e Antonio (quest'ultimo gli diede tre nipoti: Marco, Gabriele e Paolo) e una figlia, Agnesina, monaca in S. Chiara. Doveva essere un esperto di affari e un abile negoziatore perché nel 1374 ebbe l'incarico di stipulare con il sultano d'Egitto un patto commerciale che assicurava ai mercanti veneziani larghe protezioni (una sola clausola egli rifiutò: quella che gravava il console veneto a Damasco dell'obbligo di segnalare ogni trama ostile all'egitto che fosse venuta a sua conoscenza).
Durante la guerra di Chioggia il B. si mise in luce come uno dei più arditi capitani: non contento, come gli era stato comandato dal doge, di custodire con le sue barche il porto di S. Nicolò, verso il quale si dirigevano i Genovesi muovendo da Malamocco, e poi di presidiare le acque di S. Giorgio Maggiore, mentre tutti si rifiutavano di attaccare il nemico per paura di una nuova irreparabile sconfitta, egli assalì di sorpresa una galea e due altri vascelli genovesi che erano alla custodia del forte di Montalbano tenuto dai Padovani, li prese, li incendiò e condusse a Venezia (rianimando di speranze la città e meritando più tardi una lode anche da parte di storiografi genovesi) 150 prigionieri (secondo il Priúli, fu il B., e proprio in questo scontro navale, ad impiegare - primo in Italia - le artiglierie). Nel 1387 portò a termine un'impresa che, seppure favorita dalle circostanze (si adoperarono con trattative sia una legazione inviata da Urbano VI, composta dal cardinale Nicola Caracciolo, Raimondo delle Vigne da Capua, Domenico Zavaglia vescovo di Nizza e Simone di Lopa vescovo di Molfetta, sia il Comune di Zara), gli assicurò una larga fama e ambiti riconoscimenti: Sigismondo d'Ungheria aveva chiesto l'aiuto di Venezia per liberare Elisabetta e Maria d'Angiò catturate a tradimento da Giovanni d'Horvath, bano di Croazia e da Giovanni Palisna priore di Laurana, e detenute nel castello di Novigrad. La Repubblica mandò il B. ad incrociare nel mare di Dalmazia, per impedire il trasporto della principessa Maria (Elisabetta era morta durante la prigionia) a Napoli. Giunto sul posto, egli decise un'azione di forza: assalì il priore di Laurana e lo costrinse a consegnargli la futura regina di Ungheria che condusse al sicuro a Segna. Maria, divenuta sposa di Sigismondo, fu grata al B.: lo creò cavaliere, chiese alla Repubblica il permesso di donargli le città di Sebenico, Traù e Spalato, e, non avendolo ottenuto, gli assegnò una provvisione annua di 600 ducati d'oro. Sempre più numerosi e importanti furono in seguito gli onori che il B. meritò in patria: nel 1389 fu uno dei quattro membri dell'ambasceria che Venezia inviò in omaggio al pontefice; nel 1398, insieme con Pietro Emo, Michele Steno, Carlo Zen e Ramberto Quirini, rappresentò la Repubblica nelle trattative per arrivare alla lega contro il Visconti, e fu fatto procuratore di S. Marco.
Nel 1400 il B. sfiorò l'elezione al dogato: nei primi due scrutini, che poi diedero il nome di Michele Steno, ottenne -prova evidente della fiducia di cui egli godeva - 20 voti. Nel 1404 fece parte di una commissione nominata dal governo per liquidare ogni pendenza con Genova; l'anno successivo, quando Francesco da Carrara tentò, per salvarsi, trattative estreme con la Signoria, fu il B. a notificargli l'impossibílità dell'accordo. Nel 1409 andò ambasciatore a Ladislao di Durazzo, perché Sebenico ed altre città dalmate avevano inalberato il gonfalone di Sigismondo, complicando le trattative per il passaggio delle stesse sotto Venezia: il B. ottenne che la questione fosse rimessa alla decisione dei pontefice. Si profilava intanto (1410) anche il pericolo della calata di Sigismondo d'Ungheria (attesa,, con speranze di vendetta, dai piccoli signorotti come Brunoro della Scala e Marsilio da Carrara); la Repubblica gli inviò incontro il B. e Tommaso Mocenigo, che tuttavia non riuscirono ad impedire la guerra. Nei primi giorni del 1414 il B., ormai vecchissimo, partecipava all'elezione di Tommaso Mocenigo; alcuni mesi più tardi, come si legge nel testamento da lui dettato il 7 ottobre, fu colto da grave infermità. Morì, quasi certamente, nello stesso anno, e il suo ritratto fu posto, a titolo di onore, nella sala del Maggior Consiglio.
Fonti e Bibl.: Venezia, Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 3781, G. Priuli, Pretiosi frutti..., I, ff. 18-19; Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, I;Ibid., G. A. Cappellari, Famiglie Venete,ms.; Ibid., Testamenti,Della Torre (1062, perg. 233), Scapuzzi (962, Perg. 132); Venezia, Civ. Museo Correr, cod. Cicogna 3117, perg. II; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia,a cura di S. Predelli, III, Venezia 1883, 1. VII, n. 787; 1. VIII, nn. 173, 196, 255, 266, 353; 1. IX, n. 276; IV, ibid. 1896, 1. X, nn. 84, 88, 90, 232; Ex Chronico Yo. Bembi,in Rer. Italic. Script.,2 ediz., XII 1, a cura di E. Pastorello, 1). 405; Raphayni de Caresinis Cronica, ibid., XII,2, a cura di E. Pastoreuo, pp. 37, 41, 68; Galeazzo e Bartolorneo Gatari, Cronaca Carrarese, ibid., XVII, 1, a cura di A. Medin e G. Tolomei, pp. 258, 285 s.; Daniele di Chinazzo, Chronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi,a cura di V. Lazzarini, Venezia 1958, p. 91; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, IV, Venezia 1834, p. 609; VI, ibid. 1853, p. 71; F. C. Hodgson, Venice in the thirteenth and fourteenth centuries,London 1910, pp. 529, 540; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1912, pp. 276, 284, 314, 329; IV, ibid. 1913, pp. 30, 58; G. Praga, Storia di Dalmazia,Padova 1954, pp. 130 s., 138 s.; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e Privata,Milano 1960, p. 152.