BALDASSERONI, Giovanni
Nato a Livorno il 27 nov. 1795, da Ascamo e da Anna Margherita Bertolli, abbandonò nel 1812 gli studi giuridici, ai quali lo aveva indirizzato il padre, ed entrò nella amministrazione pubblica come "commesso" alla prefettura di Livorno.
Distintosi per probità e zelo, nel 1824 fu chiamato a Firenze presso il ministero delle Finanze. Nel 1833 fu nominato soprintendente generale all'Ufficio delle revisioni e dei sindacati, quindi, nel 1838, amministratore delle Regie Rendite. Per la fama acquistata come integerrimo amministratore, l'8 nov. 1845, fu nominato ministro senza portafoglio e gli fu affidato per incarico il dicastero delle Finanze nel gabinetto presieduto da Francesco Cempini.
Nell'esercizio di queste funzioni il B. riuscì, a dispetto della tenace opposizione della burocrazia toscana e dell'ambiente moralmente inerte, ad imprimere nuovo vigore all'amministrazione pubblica, ad imporre un maggior rispetto alle formalità burocratiche ed una più seria osservanza delle leggi, guadagnandosi l'epiteto di "Catone delle Gabelle". Epiteto del quale egli stesso, ignorandone il tono satirico, si compiacque.
Questo inconsueto rigore morale, unito a un profondo sentimento religioso, delinea già la sua personalità. Fondamentalmente autodidatta, rimasto lontano da quel vivo centro di studi che era l'università di Pisa, tutto preso dallo studio e dall'ammirazione per i classici greci e latini, fu portato da una severa educazione religiosa ad accentuare la naturale inclinazione al rigorismo morale e al rispetto del principio di autorità, rimanendo estraneo ai nuovi indirizzi ideologici e culturali che andavano sviluppandosi in Italia e in Europa.
La sua forma mentis rimase quella del solerte amministratore leopoldino, volto a migliorare le condizioni della regione nell'ambito ristretto dei suoi limiti politici e dei suoi bisogni immediati, e, se ebbe il merito di dare notevole sviluppo alla costruzione delle linee ferrate del granducato, il suo spirito rimase legato all'ammirazione di una vecchia gloriosa tradizione, chiuso alla comprensione di una più ampia politica, delle sorgenti ideologie liberali e nazionali.
Dalla tradizione leopoldina il B. mutuò pure quel senso pratico e quell'eclettismo che spingevano i dirigenti toscani a far propri e a piegare alle necessità del paese e del momento i nuovi indirizzi economici e politici, sempre che fossero conciliabili con la tradizione e la struttura politica della Toscana. Così egli, pur rimanendo intimamente estraneo ai principi liberali, più che attenersi ad un rigido conservatorismo, ritenne che la Toscana, stato piccolo e male, armato, non poteva fare una politica propria ma doveva adattarsi ai tempi e alle circostanze, adottando una prassi di governo liberale e costituzionale se in Italia prevalevano la libertà e il regime costituzionale, seguendo invece una strada opposta, se in Italia prevalevano idee e correnti politiche conservatrici.
Nel 1847 il B., "conservatore moderato", come egli stesso si definiva, "disposto ad accogliere un beninteso progresso, con le novità necessariamente conseguenti, ma restio ad andare dietro a tutte le innovazioni forestiere oltre il bisogno e fuori dell'opportunità", fu incline all'accettazione delle richieste dei liberali, considerate come espediente necessario per rafforzare il vecchio regime e non come mezzo per inaugurare un nuovo corso. Frutto di questa politica furono la legge del 4 maggio 1847, che concedeva una certa libertà di stampa, il motu proprio del 24 ag. 1847, che ampliava le attribuzioni della R. Consulta e l'istituzione della guardia civica.
Nominato ministro delle Finanze il 24 ag. 1847, il B. avvicinò il Capponi, capo del gruppo dei "moderatissimi" toscani, il quale condivideva con lui lo stesso desiderio di conservazione sociale e la stessa aspirazione a caute riforme delle istituzioni politiche lungo la direttiva della tradizione toscana. Frutto anche di questo incontro fu la creazione di una commissione, nominata col motu proprio del 31 genn. 1848, che avrebbe dovuto dare alla Toscana un regime rappresentativo. Senonché, sotto la spinta degli eventi e la pressione dei democratici e dei liberali, il B. fu indotto invece a provocare l'emanazione dello statuto di tipo "francese" del 17 febbr. 1848. Certamente avrebbe preferito l'istituzione di una assemblea con funzioni puramente consultive; tuttavia, divenuto ministro costituzionale, si piegò lealmente all'osservanza della legge statutaria e collaborò cordialmente con i nuovi colleghi, finché fu travolto, assieme ai moderati, dalla montante marea del movimento democratico e si ritirò in campagna, nella villa di Usigliano di Palaia, ove il 23 ag. 1848 lo raggiunse la nomina a senatore.
Gli eventi ulteriori, culminati con la fuga del granduca a Gaeta, trovarono il B. spettatore, finché il 24 maggio 1849 recatosi a Gaeta, su richiesta di Leopoldo, venne da questo incaricato di formare il nuovo ministero, nel quale oltre alla presidenza egli tenne anche i ministeri delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici.
Giova a questo punto rilevare come il B. non ebbe nessuna responsabilità nell'occupazione da parte delle truppe austriache del granducato: quando egli fu chiamato a Gaeta esse erano già in Toscana, e quando egli tornò a Firenze trovò il paese occupato. Si adoperò, comunque, per alleggerire il peso dell'occupazione: dopo lunghe trattative, il 24 apr. 1850 fu firmata una convenzione fra Toscana e Austria per la quale il corpo di spedizione, fissato a 10.000 uomini, doveva essere armato e pagato dall'Austria, mentre a carico del granducato restavano il vitto e l'alloggio. Il ritiro degli Austriaci era rimesso a successivi accordi.
Il programma del B. dopo la restaurazione, tracciato a Napoli nel maggio 1849, era improntato, sul piano internazionale, alla ricerca di un'ampia autonomia e alla necessità di una lega fra gli stati italiani per sostegno reciproco contro i nemici interni ed esterni; sul piano intemo, ad un'ampia tolleranza nonché all'impegno di mantenere lo Statuto, contro ogni tentativo di abrogarlo o di ampliarlo.
Questo programma mancava però dei presupposti necessari per la sua attuazione: l'approvazione del granduca e la acquiescenza dell'Austria. Mancava poi nel B. una vera adesione ai principî liberali per cui di fronte alle invincibili opposizioni del granduca, dell'Austria e dei reazionari toscani egli finì per abbandonare il programma moderato e seguire un indirizzo conservatore-reazionario. Infatti, pur avendo nel maggio 1849 strappato al granduca la promessa di conservare lo Statuto, non riuscì due anni dopo ad impedirne l'abrogazione, mentre il tentativo di stringere una lega italiana fallì per la opposizione dell'Austria e del Borbone di Napoli.
Anche i rapporti fra lo Stato e la Chiesa presentavano estreme difficoltà. Il B., spirito profondamente religioso, era incline a conservare una netta separazione fra il potere spirituale e quello temporale, e perciò, pur desiderandone un riavvicinamento, non intendeva sacrificare i diritti di questo a favore di quello. Nel concordato firmato a Roma il 25 apr. 1851 si rispecchia la sua tendenza al compromesso. In effetti, le concessioni fatte alla Chiesa si limitarono alla censura preventiva di opere che trattassero ex-professo di questioni religiose, alla limitazione di pene pecuniarie per alcuni reati commessi da ecclesiastici, alla libertà di stampa e di predicazione ai religiosi; per le altre materie vennero conservate le leggi leopoldine. Ma, proprio perché frutto di un compromesso, il concordato non soddisfece né i liberali né i clericali.
Dopo l'abrogazione dello Statuto, ridotta oramai la Toscana a provincia dell'impero, il B. non fu in grado di frenare le inclinazioni reazionarie del granduca e fu costretto, dopo aver in un primo tempo offerto le dimissioni, ad accettare la limitazione dei diritti degli ebrei e degli acattolici e il ripristino della legge sulla pena di morte. Il regime granducale, tuttavia, per la moderazione del B. e l'innata bontà del granduca, conservò sempre un indirizzo fondamentalmente tollerante.
Larga attenzione dedicò il B. alle finanze; attraverso rigide economie e alcune intelligenti operazioni finanziarie riuscì a risanare il bilancio dello Stato, tanto che quando la Toscana fu unita al Regno d'Italia essa era l'unica regione che godeva di una buona situazione finanziaria.
Il B. non comprese la vastità e la profondità delle aspirazioni nazionali che andavano diffondendosi in Toscana, indotto in questo errore anche dalle informazioni del ministro dell'Interno, Landucci, che tendeva a rappresentare la situazione in tono eccessivamente ottimistico. Perciò il governo granducale si lasciò cogliere impreparato dagli eventi.
Nell'aprile del 1859, palesatasi la gravità della situazione, il B., cui non sfuggivano le gravissime conseguenze per il granducato di una guerra fra l'Austria e il Piemonte, tentò di impedire la caduta del regime lorenese, consigliando il ripristino della costituzione e l'abdicazione di Leopoldo II; ma ormai il popolo chiedeva l'alleanza col Piemonte e la guerra all'Austria, alleanza e guerra che i Lorena non potevano accettare. La notizia dell'ultimatum austriaco a Torino sorprese e spaventò il governo toscano, che avvertì infine l'imminenza del pericolo. Ogni autorità era però ormai sfuggita dalle sue mani e soltanto un residuo sentimento regionalistico dei moderati dette vita agli ultimi tentativi per salvare la dinastia. Ad essi il B. partecipò attivamente, anche se con scarsa fiducia.
La notte del 26 aprile egli rimise al granduca alcune lettere che annunciavano rivoluzioni e moti di piazza in tutta la Toscana, accompagnandole con un laconico biglietto insistente sulla necessità che fosse "dato un cenno, detta una parola, fatto un atto capace di calmare l'eccitamento". Secondo il B. ormai solo la dinastia poteva salvare se stessa, con un coraggioso provvedimento. Ma questo non vi fu. Il 27 mattina il popolo si riunì per chiedere l'alleanza col Piemonte o l'abdicazione. Leopoldo II optò per questa soluzione e partì colla famiglia alla volta di Bologna.
Ritiratosi a vita privata, il B. si chiuse nella fede, negli affetti familiari, nei ricordi del passato. Mori a Firenze il 19 ott. 1876.
Il B. pubblicò un opuscolo su Livorno e il suo porto franco considerato nel presente e nell'avvenire da un vecchio livornese socio dell'Accademia Labronica,Livorno 1863, e il volume Leopoldo II Granduca di Toscana e i suoi tempi,Firenze 1871. Lasciò pure delle Memorie (1833-1859),pubblicate postume nel 1959.
Il libro su Leopoldo II, benché di carattere apologetico, è sorretto da un equilibrato senso storico e condotto sulla base di una vasta documentazione, per cui fu accolto con favore anche da studiosi liberali (Tabarrini) e costituisce, ancor oggi, un'utile opera di consultazione per chi voglia studiare la Toscana sotto il governo di quel granduca. Le Memorie hanno un tono meno apologetico; non sono taciuti, in esse, né gli errori del principe, né i limiti della classe dirigente lorenese, a causa dei quali il granducato, allontanandosi dalla gloriosa tradizione leopoldina, si avviava stancamente al tramonto.
Fonti e Bibl.: M. Tabarrini, Diario 1859-60,Firenze 1959, v. Indice; C. Casali, Alcune Parole sulla vita di G. B.,Firenze 1878; A. Gori, Il ministro B. e il 27 aprile,in Il Risorgimento ital., II (1909), pp. 232-236; R. Mori, Il Concordato del 1851 fra la Toscana e la Santa Sede,in Arch. stor. ital., XCVIII (1940), pp. 41-82, passim;E. Baldassaroni, G. B. uomo di stato (1795-1876),in Bollett. stor. livornese, V (1941), pp. 32-41, 119-135; Id., Il ministro B. e l'anticipata reversione di Lucca alla Toscana, ibid., VI (1942), pp. 58-64; R.Moscati, Austria, Napoli e gli Stati conservatori italiani (1849-1852),Napoli 1942, v. Indice; S. Camerani, La Toscana alla vigilia della rivoluziene,in Arch. stor. ital., CIII CIV (1945-1946), pp. 113-183, passim; E. Artom, L'abolizione dello Statuto toscano (1852),in Rass. stor. d. Risorg., XXXIX (1952), pp. 366-382, Passim;A. D'Addario, I problemi della politica estera toscana dal maggio 1849 all'aprile 1850, in Rass. stor. toscana, II (1956), pp. 15-31, passim; R. Ciampini, Il '59 in Toscana,Firenze 1958, passim;R.Mori, Introduzione a G. B., Memorie (1833-1859), Fireze 1959.