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BAGLIONE, Giovanni

di Roberto Longhi - Enciclopedia Italiana (1930)
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BAGLIONE, Giovanni

Roberto Longhi

Pittore e storico dell'arte, famoso ai suoi tempi, nato in Roma circa il 1573, ivi morto nel 1644. Già nel 1604 il van Mander lo cita fra i migliori artisti di Roma, e nei primi decennî del secolo lo vediamo partecipare alle principali imprese pittoriche locali: uno dei grandi altari di San Pietro (circa 1606); affreschi nella cappella Paolina a Santa Maria Maggiore (1611-12); affresco nella cappella Gregoriana a San Pietro (1628). Fatto cavaliere da Paolo V; più volte principe dell'Accademia di San Luca; tra il 1621 e il '23 chiamato a dipingere alla corte di Mantova; sue opere s'inviano alla corte di Francia (dove sono anteposte a quelle del Rubens), in Olanda, in Spagna; altre ancora (per tacere delle molte nelle chiese minori di Ro1na) si spargono nella provincia italiana dal nord (Savona), al centro (Spoleto, Perugia, Gubbio, Macerata, Loreto), e al sud fino a Napoli, dove il B. fu da giovine per due anni (circa 1590-92), stringendovi rapporti con Pietro Bernini. L'evento più drammatico della sua vita, nel quale il B. fu sicuramente trascinato nonostante il suo umor pacifico, fu il violento contrasto con il Caravaggio; contrasto che s'inasprì in satire, zuffe, e culminò in una vertenza giudiziaria (1603), a quanto pare composta o presto sopita, dove figurano per una parte i settatori del Caravaggio, per l'altra l'unico allievo del Baglione, Tommaso Salini.

La motivazione estetica del contrasto deve, a nostro parere, esser colta nel fatto che, proprio a quei giorni, il B. s'ingegnava d'accostarsi ai modi del Caravaggio, ma con taluni temperamenti e alterazioni in senso accademico e rettorico che dovevano sicuramente muovere a sdegno l'incomoda tempra dell'inventore di quello stile. Oggi il tentativo ritorna a lode del B., tanto più rilevando che, ancor fresco di tirocinio manieristico (dipinti di S. Maria dell'Orto e di S. Nicola in Carcere, a Roma), egli è il primo a provarcisi. I primi accenni son già nell'affresco di San Giovanni in Laterano (1600), che è il solo a far spicco entro la turba dei manieristi circostanti; e, subito dopo (certo innanzi il 1603), l'Amor Sacro dipinto per il cardinal Giustiniani, oggi nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, ha tale accento di sincerità naturale nella figura del Cupido rovesciato al suolo, da giustificare fino a un certo segno perché mai potesse più tardi, e per tanto tempo, credersi dello stesso Caravaggio. La medesima cosa si dica per il suo San Francesco morente con l'angelo, già nella galleria Borghese, inciso nel '700 dal Basan sotto il nome del Caravaggio; e probabilmente anche per la grande Resurrezione di Cristo del 1603, cui il Caravaggio rimproverava goffaggine; mentre piuttosto si trattava d'una mescolanza un po' aspra tra le parti di maniera e quelle dal naturale, come si nota, proprio negli stessi anni, anche nelle prime opere romane del Rubens; con un'affinità, anzi, così spiccata, da far sospettare, tra i due artisti, contatti effettivi che importerebbe indagare partitameme. Rimanga fermo, in ogni caso, che il B. è solitamente migliore quando, anche più tardi, si riprende al fare caravaggesco. Citeremo a riprova il Presepio e l'Epifania di Spoleto (chiesa di Loreto, 1609), i Ss. Cecilia e Valeriano a Roma (Santa Maria degli Angeli, circa 1612), il San Sebastiano in Santa Maria dell'Orto (1624), la Natività della Vergine a Loreto (senza nome, nei depositi della Quadreria Apostolica); opere dov'è facile rilevare altri rapporti con i caravaggeschi minori, per esempio col Borgianni e col Gramatica, il quale ultimo si trovò a lavorare col B. per la corte di Mantova.

Codesti escorsi e ricorsi caravaggeschi, dove si può cogliere la forma più sincera e diretta dell'artista, si alternano tuttavia con altri casi nei quali il B. tende a impiantare una "maniera propria" di cui gli venne fatto credito dai contemporanei: l'avverte, p. es., il Mancini. Mentre la motivazione parzialmente pratica di questi nuovi tentativi è chiara dal fatto ch'essi coincidono con le occasioni di lavori particolarmente ufficiali, è tuttavia interessante notare come il B., per l'arte, non torni già, con essi, alle forme manieristiche, ma si appoggi a quelle che segnano, per quanto cautamente, l'avvio al barocco. Una parentela col Cigoli venne già notata dal Lanzi, che crediamo alludesse alla grande Tabita di San Pietro (perduta, ma in copia fedele del '700 a Santa Maria degli Angeli); fisionomia toscana fu pure nel perduto affresco della Lavanda dei piedi anche in San Pietro, come si trae dal modello firmato e datato 1628 nella galleria Barberini. Analogamente si potrebbe notare come, poco dopo l'esempio lasciato da Guido Reni nel catino dell'abside celimontana, il B. si affretti a riprendere quel motivo sfogato per tutta una vòlta (quella della cappellina di S. Francesca, in S. Maria Maggiore, 1611-12), con effetto ditettamente illusionistico e non più ornamentale. Purtroppo queste prove, non essendo sollevate e spinte da un soffio vivacemente personale, rimangono come a mezz'aria; finché, sopraggiunta la vecchiezza, e incapace di reggere alla diastole sempre più dilatata del vero barocco - il B. è sui sessant'anni quando s'inizia la prima grande impresa pittorica pienamente barocca, la vòlta del Cortona nel palazzo Barberini - egli scade a una cifra abitudinaria, ma piena di refusi e di scorrezioni, perché ormai distratta e sfiduciata. Dopo l'affresco del Vaticano che è del 1628, potremmo infatti citare parecchi dipinti del B., ma di buoni, nessuno.

Il Baglione storico dell'arte. - Negli anni tardi, quando il B artisticamente infievolito, si ritrae dalle maggiori competizioni pittoriche, viene in luce la sua attività di storico e di periegeta romano, cui dobbiamo Le nove chiese di Roma (1639), e le Vite degli artisti contemporanei (1642). Quest'attività venne deprezzata dai contemporanei, dal Bellori soprattutto, per artata malignità; dai posteri per abitudine; e soltanto da poco sembra farsi luogo una considerazione più equa.

Il volumetto su Le nove chiese, nonostante l'esterna limitazione indotta da un precetto di devozione, è, invece, al confronto dei suoi precedenti (la lunga serie delle Mirabilia, i Tesori nascosti, il Ristretto del Totti) la prima guida schiettamente artistica delle chiese di Roma, stesa da un vero conoscitore; inaugura perciò la serie delle guide moderne, non potendosi dar questo merito alla Memoria del Celio, pubblicata un anno prima, ma colma di errori.

Il contrasto così patente tra la restrizione votiva dell'opera e la trattazione esclusivamente storico-artistica e, per la prima volta, esauriente del materiale, fa credere che in questo volumetto noi non abbiamo che un excerptum d'un più ampio lavoro cui il B. di certo già attendeva a questa data. Cio vale a illuminare la genesi metodica della seconda opera del B., uscita nel 1642, col titolo di Vite de' pittori, scultori, architetti, ed intagliatori, dal pontificato di Gregorio XIII del 1572, fino a' tempi di papa Urbano VIII nel 1642. Da uno studio attento del congegno di questo libro è possibile indurre che il B. lo concepì originariamente, non già come silloge di vite di pittori, ma soltanto come guida di Roma moderna, di cui le Nove chiese sarebbero un frammento avanti lettera. La trasformazione in Vite avvenne, sospettiamo, in un secondo tempo per l'ambizione del B. di figurare come un continuatore del Vasari e del Borghini; fu cioè, su un fondo positivo, un'amplificazione rettorica in senso barocco, parallela a quella già notata dal sincero naturalismo di talune sue pitture al protobarocco di altre pitture più ufficiali.

Prove di tale asserto si possono facilmente raccogliere in copia. Basti accennare che il B. giunge ad inserire fra le vite persino quella di Francesco Bassano, che in Roma non fu mai, perché non intendeva lasciar cadere la citazione, raccolta durante la redazione della sua guida, delle due opere di costui al Gesù e a S. Luigi de' Francesi; e che le sue citazioni si riferiscono, salvo pochissime, alle sole opere in pubblico e di destinazione permanente (in prima linea affreschi ed altari delle chiese; in seconda affreschi di palazzi principali); che le citazioni nelle chiese recano spesso l'indícazione dell'ordine della cappella; che, talora, alla citazione di un dipinto in una cappella segue l'indicazione dell'architetto della cappella stessa, che il racconto delle vite è diviso per "giornate", come già in certi precedenti delle Mirabilia. Una controprova delle nostre induzioni viene poi, trent'anni dopo, dall'abate Titi; il quale, cavando ad litteram dal B. un indice delle opere per luoghi, si trovò ad aver bell'e fatta la prima guida di Roma moderna; e non fece che ristabilire l'aspetto originario dell'opera del B.

Quando poi il B. pensò di trasformare il suo lavoro in una silloge di vite, egli, come è facile immaginare, seguendo l'idea barocca della mascheratura della fisionomia primitiva del lavoro, giunse alla partizione delle vite in gruppi a seconda della morte degli artisti in questo o quel pontificato, le cui particolari iniziative artistiche, specie architettoniche, sono dichiarate in introduzioni che formano il prospetto o la facciata d'ogni gruppo. E senza dubbio questo è il lineamento più schiettamente barocco impresso dal B. al suo libro; come idea che bene risponde al carattere collettivo della volontà artistica di quel periodo.

Asserì il Bellori che la stesura delle Vite sarebbe fatica del poeta Tronsarelli: è un'invenzione maligna che non regge al confronto con lo stile già pienamente barocco del Tronsarelli, cui saremmo disposti ad ascrivere, tutt'al più, la redazione della dedica al cardinal Colonna, e dell'Avviso al lettore, che precedono la prima edizione delle Vite.

Né si conviene nell'affermazione corrente che dalle pagine, sia pure in prevalenza documentarie, del B., non possa cavarsi alcun lume per l'interpretazione di quell'epoca d'arte. Il rifiuto del naturalismo caravaggesco potrà esser condannato, potrà sospettarsi venato di fatto personale; ma è pure un punto di vista, e quanto evidente, dalle pagine del B.! Un termine così importante come quello di "tocco" viene in campo soltanto in tema di caravaggeschi. Non vi risalta meno l'importanza che lo studio e la pratica del restauro delle sculture antiche ebbe per la formazione della scultura di passaggio al barocco. E si noti la bella distinzione tra i paesi di maniera di Fabrizio Parmigiano e quelli del Carracci, "onde i Fiamminghi videro la strada di ben formarli". Si rammenti, per ultimo, che il B., sebbene cresciuto in ambiente prebarocco, e non essendo nell'occasione di scrivere vite di artisti del barocco pieno, trova pur tempo e modo di esprimere ammirazione sia per la fabbrica cortonesca di San Luca, sia per il baldacchino del Bernini in San Pietro, e persino per la "vaga e capricciosa architettura" di Francesco Borromini nel convento delle Quattro Fontane; rivelando uno spirito tutt'altro che retrivo, anzi, all'opposto del Bellori, favorevole allo svolgimento quasi indefinito delle nuove tendenze artistiche.

Si togliessero questi meriti, resterebbe all'opera del B. l'altro, sempre stupefacente, della sua precisione e ricchezza informativa, chiaro prodotto d'esame diretto e di non comuni facoltà di conoscitore.

Opere storiche del B.: Le nove chiese di Roma di Giovanni Baglione Romano dell'habito di Cristo. Nelle quali si contengono le historie, pitture, scolture, et architetture di esse, Roma 1639; Le Vite de' pittori, scultori, architetti ed intagliatori, dal Pontificato di Gregorio XII del 1572, fino a' tempi di Urbano VIII, nel 1642, scritte da Giovanni Baglione Romano, Roma 1642; id., Roma 1649 (ristampa della 1ª ed., diversa solo per il frontespizio e per l'aggiunta d'un'allegoria disegnata dallo stesso B. e incisa dal Greuter, e del ritratto del B. che non reca indicazione, ma pare dello stesso bulino); id., Napoli 1733, con la Vita di Salvator Rosa del Passeri; un Indice degli oggetti, dei luoghi e dei nomi delle Vite del B., a cura di C. Gradara, Velletri 1924, è condotto senza metodo e gremito di errori. E per la loro fortuna: J. v. Schlosser, Kunstliteratur, Vienna 1924, pp. 411-412 (con bibliografia).

Bibl.: Per la bibl. più antica vedi: Posse, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, II, pp. 355-356; A. Luzio, La Galleria dei Gonzaga, Milano 1913; R. Longhi, in L'Arte, XVII (1914), p. 7 segg.; id., ibid., XIX (1916), p. 246 segg.; id., in Vita artistica, 1927, pp. 5, 89, 91; id., Precisioni nella Gall. Borghese, Roma 1928.

Vedi anche
Giovanni Pietro Bellòri Scrittore d'arte (Roma 1613 - ivi 1696). Fu commissario per le antichità di Roma, sotto Clemente X, e antiquario e bibliotecario di Cristina di Svezia. L'opera sua più nota sono le Vite de' pittori, scultori et architetti moderni (1672), continuazione dell'opera di Giovanni Baglione, in cui tratta degli ... Pietro Bernini Scultore e pittore (Sesto Fiorentino 1562 - Roma 1629), padre di Gian Lorenzo. Lavorò come pittore, collaborando con A. Tempesta nel pal. Farnese di Caprarola. Verso il 1589 si recò a Napoli ove collaborò con M. Naccherino (fontana dell'Immacolatella a S. Lucia, statue della cappella Ruffo ai Gerolamini, ... Giovanni Lanfranco Pittore (Terenzo, Parma, 1582 - Roma 1647). Allievo di Agostino e quindi di Annibale Carracci, geniale nell'invenzione, amante degli scorci audaci e degli spettacolari effetti di luce, assertore di una libertà pittorica in netto contrasto con la corrente classicistica, fu tra le personalità artistiche ... Vincenzo Giustiniani Mecenate e collezionista (1564 - 1637). A Roma formò una notevole raccolta di marmi antichi e di quadri, descritta da lui stesso in due volumi corredati da incisioni di J. Sandrart (1631), poi dispersa. I dipinti, prevalentemente del sec. 17º, passati a Parigi, furono acquistati, nel 1814, da Federico ...
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    Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)
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Vocabolario
baglionato
baglionato agg. [dal fr. bâillonné, propr. «imbavagliato», der. di bâillon «bavaglio»]. – In araldica, attributo degli animali che tengono in bocca un osso o un bastone.
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